Andrea Laffranchi, Corriere della Sera 28/6/2012, 28 giugno 2012
E chi l’ha detto che una critica deve essere per forza costruttiva? Fine 2008. Giovanni Allevi, pianista e compositore diventato fenomeno pop, viene invitato a dirigere il concerto di Natale al Senato
E chi l’ha detto che una critica deve essere per forza costruttiva? Fine 2008. Giovanni Allevi, pianista e compositore diventato fenomeno pop, viene invitato a dirigere il concerto di Natale al Senato. Uto Ughi, numero uno del violino nel mondo, lo distrugge. Lo definisce «modestissimo musicista», autore di composizioni «musicalmente risibili» ed esecutore che «in altri tempi non sarebbe stato ammesso al Conservatorio». Una stroncatura senza appello. Allevi risponde accusando la «casta» che governa la classica. Poi ognuno per la sua strada. Strade che tornano a incrociarsi, seppure indirettamente. Il 14 novembre al Carlo Felice di Genova, infatti, Allevi dirigerà la prima assoluta mondiale di un concerto per violino e orchestra (biglietti in vendita in questi giorni) che lui stesso ha composto. Non vorrebbe Ughi come violino solista? «Con la direzione del Carlo Felice abbiamo pensato di affidare la parte a uno de vincitori del concorso Paganini, la più importante competizione per violino nel mondo. Ci sono passaggi di autentico virtuosismo». Lei è diplomatico. Ma vorrebbe il suo critico in sala? «Lo inviterò, ma non in gesto di sfida. Piuttosto questa è una sfida a Ciajkovskij. Sono convinto che Ughi impazzirebbe per quella musica anche se di sicuro non sarebbe felice di sapere che sono stato io a comporla». Che le è rimasto della sua disputa con Ughi? «È alla base di questo concerto». In che senso? «Il suo obiettivo era quello di annientare la mia credibilità di musicista e mettermi contro l’establishment e il mondo accademico». Ce l’ha fatta? «Sì, ma è andato oltre. Ho avuto un blocco artistico totale. Avevo il silenzio nella mente, il dramma della pagina bianca. Questa situazione mi ha mandato in depressione profonda. Sarebbe finito l’Allevi compositore, la mia ragione di vita». Analista? «I fan che mi stanno vicini svolgono una funzione terapeutica. E poi ho avuto qualche buon consiglio e qualche buon libro da leggere da un’alleviana psicoterapeuta». Come ha reagito? «Per prima cosa mi sono buttato nel tour di Alien. Avevo bisogno di uscire dal palazzo e sentire l’incontro con la gente. Sull’aereo per il Giappone ha fatto un sogno, anzi un incubo». Lo racconti... «Ricordo una casa con scale, tappeti rossi e velluti da cui non riesco a uscire. Lì dentro ho uno scontro fisico, non un amplesso, con una donna. Mi sono svegliato con in testa una melodia per violino, lo strumento simboleggiato dal maestro Ughi. Quella melodia è diventata un concerto per violino e orchestra con una forma rigorosamente classica ma dai contenuti ritmici più vicini agli adolescenti di oggi: quindi quella musica classica contemporanea che è l’oggetto della mia ricerca e del mio desiderio». Ha ringraziato il suo denigratore? «Forse se non ci fosse stata quella critica feroce non ci sarebbe il concerto». Sente ancora il peso delle critiche? «In maniera differente. Adesso mi dico "mi avete distrutto, ma resto un ribelle"». Ha buoni rapporti con qualcuno del mondo accademico? «Sono stati dalla mia parte Franco Scala, direttore dell’Accademia internazionale di Imola, Claudio Scimone, direttore dei Solisti veneti, il musicologo Piero Rattalino e Andrea Bocelli. Mi ha colpito soprattutto che i giovani musicisti siano stati i più restii a schierarsi contro». Sente che l’Italia è un paese per vecchi? «Ci sono freni a mano ideologici che portano all’immobilismo. I giovani temono che gli porti via spazio e in un momento di crisi si aggrappano a un passato rassicurante. Mi seguono quelli che sono giovani dentro, indipendentemente dall’età». Bocelli ha subito i suoi stessi attacchi. Avete mai pensato di lavorare assieme? «Per ora è un amore a distanza, chissà se riuscirà a manifestarsi in musica prima o poi». Che rapporto ha con il violino? «Mai preso in mano. Lo vedo come un prolungamento dell’anima, ha qualcosa di dannato in sé. Per me il violino è Paganini, primo musicista ad attirare il consenso delle folle. E quel successo non gli venne perdonato. Non a caso ho scelto Genova, la sua città, per la prima assoluta». Paganini non ripete... E Allevi? «Lui era talmente sicuro di sé da potersi permettere di non soddisfare le richieste di bis. Non accettò nemmeno l’invito di Carlo Felice. Io invece le sento come dimostrazioni di affetto e non mi sottraggo». Andrea Laffranchi