Federico De Rosa e Fabrizio Massaro, Corriere della Sera 28/6/2012, 28 giugno 2012
MILANO —
Il rimescolamento nell’azionariato di Unicredit è piaciuto alla Borsa. Il blitz del Pamplona global financial fund è valso un rialzo del 4,67% ai titoli di Piazza Cordusio. Si è intanto chiarito meglio il contorno dell’operazione e anche i dettagli degli accordi del fondo londinese, di proprietà russa, con Deutsche Bank che ha finanziato in parte l’acquisto del 5,01% di Unicredit. Quota che fa di Pamplona il secondo azionista privato della banca. Il fondo aveva già una quota dell’1,9% di Piazza Cordusio accumulato in occasione dell’ultimo aumento di capitale. Dunque l’istituto guidato da Federico Ghizzoni era già da tempo nel radar dei russi. In quanto agli accordi con Deutsche, la banca tedesca ha delle opzioni per rilevare la quota di Pamplona e dalle comunicazioni Consob è emersa l’esistenza di altre «call», con controparti diverse dal fondo britannico, su un ulteriore 1,059% del capitale di Piazza Cordusio, che portano la partecipazione potenziale di Deutsche Bank al 6,07%. Le opzioni, ha spiegato la banca tedesca, sono «regolabili in tranche per consegna fisica o differenziale in denaro a scelta della controparte, in un periodo compreso tra un anno e dieci mesi e due anni dal 26 giugno 2012». Tuttavia Deutsche ha fatto sapere che «in nessun caso nell’esecuzione dell’operazione acquisterà e manterrà azioni UniCredit».
Federico De Rosa
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Era da tempo a un soffio dal 2% in Unicredit, Pamplona capital management, realtà finanziaria londinese ma con solide radici e investitori in Russia nel gruppo degli oligarchi. Si sarebbe avvicinato alla banca di Piazza Cordusio già a fine 2011, durante l’aumento di capitale: anche ai gestori di Pamplona, a cominciare dal fondatore e presidente Alexander Knaster — natali russi, cittadinanza Usa, 1,4 miliardi di dollari di patrimonio secondo Forbes — la squadra di Federico Ghizzoni avrebbe proposto di investire nella maxi ricapitalizzazione da 7,5 miliardi, una delle più grandi mai varate da una istituzione finanziaria in Europa, e soprattutto in un periodo di enorme turbolenza sui mercati. Una scommessa accettata: l’1,99% di Pamplona in Unicredit sarebbe stato raggiunto proprio nell’aumento di capitale dal fondo Pamplona global financial institutions, creato appena a novembre 2011, attraverso il veicolo Pgff Luxembourg sarl. Prima e finora unica operazione, l’ingresso in Unicredit.
Fino all’altro ieri il fondo era rimasto silente, non aveva fatto parlare di sé e neppure si era presentato in assemblea. Così l’annuncio di martedì di essere salito al 5% — dunque con un investimento più che raddoppiato e arrivato a valere 750 milioni di euro su 1 miliardo a disposizione del fondo — ha colto di sorpresa il mercato, ma non così la banca. Alla struttura di Piazza Cordusio la mossa sarebbe stata comunicata in anticipo, anche se non si sa quanto tempo prima.
Tuttavia ieri, di fronte agli interrogativi suscitati anche per via di quell’operazione in derivati con Deutsche Bank, gli emissari del fondo avrebbero avviato un’azione diplomatica anche presso gli azionisti per spiegare qual è la loro strategia e soprattutto che cosa non vogliono fare: non faranno valere interessi nella governance né chiederanno posti in consiglio di amministrazione, né avranno un approccio «attivista» circa la gestione della banca. E questo nonostante il 5% li proietti al secondo posto tra i soci forti, subito dopo Aabar (fondo sovrano di Abu Dhabi) al 6,5% e accanto ai libici (5,4% totale), a fronte del 12% in mano alle Fondazioni storiche. In sostanza, i russi si presentano come gli azionisti ideali: investitori «di medio periodo» che scelgono sulla base del valore del titolo, che a dicembre era talmente sottovalutato da renderlo «molto interessante», come ha spiegato ieri a Radiocor una fonte vicina al dossier.
D’altronde a seguire le tracce di Pamplona e dei suoi investitori si arriva ad Alfa Bank (di cui Knaster è azionista e amministratore) e alla controllante Alfa Group, la maggiore conglomerata russa di cui è primo azionista con il 36% l’oligarca Mikhail Fridman, sesto uomo più ricco del Paese con 13,4 miliardi di dollari di patrimonio. Accanto a lui, i soci e sodali German Khan, Alexei Kuzmichev, Petr Aven. Alfa Group, dentro Pamplona fin dalla fondazione nel 2005 e investitore principale nel fondo che ha preso Unicredit, controlla tra le altre cose la joint venture petrolifera Tnk-Bp, nel cui board siede Knaster, e Vimpelcom, il colosso telefonico russo che ha rilevato Orascom e dunque, in Italia, controlla Wind. Insomma i legami con l’Italia sono forti, tanto che lo stesso fondo Pamplona, come private equity, aveva già provato a rilevare prima la società di betoniere Cifa e poi l’anno scorso la Rhiag (componenti per auto). A sua volta Unicredit è molto radicata in Russia, dove possiede una banca (Zao Unicredit) che è uno dei punti di forza del piano di crescita internazionale. E in Russia Unicredit trova anche clienti importanti: una delle ultime operazioni con in mezzo gli oligarchi ha riguardato, lo scorso dicembre, la vendita della Gancia al magnate Roustam Tariko, assistito da Piazza Cordusio. «Non mi dispiacerebbe comprare una banca italiana», dichiarò allora Tariko, «oggi sono valutate dal mercato appena il 15-20% del loro valore effettivo». Che sia entrato in questa partita però non è dato saperlo.
Fabrizio Massaro
G.PAO. SULLA STAMPA
È cittadino americano dal 1976, Alexander Knaster,. Quando i suoi genitori, di origine ebraica, emigrano dall’allora Unione Sovietica negli Stati Uniti. Ma con la Russia ha mantenuto solidi legami. Al punto che una parte considerevole dalla sua fortuna personale, valutata da Forbes in 1,4 miliardi di dollari - è alla posizione 993 tra i miliardari mondiali, secodno la puntuiale classifica pubblicata dalla stessa rivista - arriva da attività basate in Russia. Dopo gli inizi nell’industria petrolifera Usa - e un master in Business administration ad Harvard - si deidca alla finanza con Deutsche Morgan Grenfell.
Torna in Russia a metà degli anni ’90 per mettere in piedi l’ufficio di Mosca del Credit Suisse First Boston. Lì stringe relazioni che gli saranno molto utili negli anni a venire con la nascente casta degli oligarchi, giovani e aggressivi manager-impreditori in quegli anni intenti a prendersi pezzi dell’immenso patriomonio statale ex sovietico. Dal Credit Suisse passa infatti ad Alfa Bank, la prima banca commerciale privata russa, della quale è amministratore delegato dal 1998 fino al 2004. Lascia Alfa Bank con una quota di azioni nella banca - che ha in portafoglio partecipazioni importanti dal petrolio alle telecomunicazioni - per trasferirsi a Londra, dove nella seconda metà degli anni 2000 mette in piedi Pamplona Capital. L’obiettivo dichiarato è quello di portare investitri dai peasi dell’ex Unione Sovietica sui mercati occidentali. Per ora il lavoro gli sta riuscendo abbastanza bene: i vari fondi gestiti dal suo team - private equity e hedge funds - hanno asset per circa 6 miliardi di euro, con sottoscrittori che spaziano da fondi pensioni a grandi gruppi multinazionali fino a patrimoni personali di superricchi, come recita il sito della società. Chi siano i sottoscrittori del fondo che è entrato in Unicredit - un fondo dedicato agli investimenti in istituzioni finanziarie nato alla fine del 2011 - lo sanno solo negli uffici al 25 di Park Lane dove ha sede la Pamplona Capital. «Ma non è un mistero che adesso i capitali che arrivano nella City arrivano in larga parte dai paesi ex-Cis», spiega un banker che opera da Londra sul mercato europeo. Oltre che in Alfa Bank, Knaster siede anche nel cda di Tnk-Bp, la tribolata joint venture anglo-russa dalla quale gli inglesi hanno deciso di chiamarsi fuori per i conflitti ormai insabili con il socio russo. Ovvero Mikhail Fridman, primo azionista di Alfa e finanziatore iniziale, secondo i rumors londinesi, proprio di Pamplona.