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 2012  giugno 28 Giovedì calendario

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE

MADRID — È finito il tempo per l’orgoglio, per le cortine fumogene a protezione del buon nome del Paese, per le sottigliezze lessicali. Sarà un salvataggio? Sarà un prestito? Non importa più. Importante è che i 100 miliardi concessi a parole dall’Europa arrivino davvero. Madrid ha bisogno di soldi, tanti e subito. Entro luglio almeno quaranta miliardi per le quattro banche già nazionalizzate. Soldi che nelle casse statali non ci sono.
Gli sherpa economici stanno setacciando i regolamenti comunitari in modo da far spuntare quei miliardi con qualche meccanismo provvisorio in attesa del maxi prestito vero e proprio. La Commissione europea è disposta ad aspettare. Quali artifici si useranno è tutto da definire, ma è interesse di tutti che le banche spagnole non crollino in attesa del prestito. La verità, comunque, è che Madrid non è in grado di sostenere il suo sistema finanziario. Non ce la può fare senza stampare moneta da sola. Non ce la può fare dal momento che, ieri, ha dovuto promettere un interesse del 6,8% ai compratori dei suoi Bonos a 10 anni. Scrivere nella prossima Finanziaria un aumento del deficit di 40 miliardi pagato con il 6,8% di interessi, significa fallire.
«La questione più urgente — ha affermato ieri il premier Mariano Rajoy — è il finanziamento. Non possiamo continuare a chiedere prestiti al mercato molto a lungo con questi prezzi; ci sono molte istituzioni ed enti finanziari — Comuni, Province, Regioni, banche, casse di risparmio, autostrade, consorzi, municipalizzate, ndr — che non hanno accesso ai mercati».
Sul tavolo del vertice europeo di oggi e domani, in cambio di soldi, la Spagna è pronta a mettere l’aumento dell’Iva, dell’elettricità, delle imposte sulla casa e misure di austerità ancora più draconiane. Intanto si è presa la porta in faccia del rifiuto dell’Eurogruppo di finanziare direttamente le banche invece di passare dal debito statale. Sarà la Spagna e quindi i suoi cittadini-contribuenti a garantire il prestito miliardario. Un boccone amarissimo per Rajoy.
Eppure non è più tempo da schizzinosi quando l’economia nazionale, avverte Banca di Spagna, si è contratta nel secondo trimestre ancora più dello 0,3% di fine marzo. Il dato verrà divulgato a luglio, ma i musi lunghi fanno trapelare la paura. In recessione arrivano meno tasse, più deficit, più interessi, più tagli e ancora più recessione.
Il report di Banco de España parla di calo di consumi, vendite di auto, produzione industriale, esportazioni a «un ritmo più intenso» dei mesi precedenti. La disoccupazione resta realtà per uno spagnolo su quattro, il 24,4%. L’obbiettivo dichiarato di deficit per il 2012 è del 3,5%. Ad oggi è già arrivato al 3,41. Numeri che parlano da soli.
Sul suo conto Twitter, il premier Rajoy ammette che molti messaggi sono curati dallo staff. Ieri, però, un tweet sembrava essere davvero farina del suo sacco. Un sacco al limite della disperazione: «Potersi finanziare sui mercati è essenziale. Le decisioni del Consiglio europeo devono essere rapide e incisive».
Mentre l’Italia punta sugli eurobond per condividere il debito e trovare risorse per la crescita, la Spagna ha l’impellente problema delle banche. Ieri ha inviato finalmente la richiesta formale di aiuto. Dopo tanto tergiversare è stata l’ammissione di una sconfitta. Per giorni prima e dopo la concessione, in linea di principio, dei 100 miliardi, Rajoy ha tentato di evitare che la ciambella gettata al sistema finanziario, finisse per annegare contribuenti e conti pubblici. Da qui la disputa sul fatto che si trattasse oppure no di un «rescate», salvataggio all’irlandese con tanto di «uomini in nero» a controllare i conti spagnoli. L’Eurogruppo ha detto chiaro che sarà lo Stato a garantire. E che Madrid sarà sottoposta a controllo dei conti da parte del Fondo monetario internazionale. Ma il premier spera ancora: «Continuerò a cercare di ottenere una ricapitalizzazione diretta delle banche».
La strategia diplomatica spagnola oscilla da mesi. A volte prevale la vicinanza ideologica con il rigorismo della cancelliera Merkel, altre l’interesse immediato di un fronte per la crescita con Parigi e Roma. Madrid è disposta a cedere sovranità come vuole Berlino a favore di un’unione finanziaria europea che forse potrà diventare anche fiscale. Parigi parla di semplice coordinamento. Un pendolo che entro venerdì dovrà pur fermarsi su qualche decisione.
Andrea Nicastro