varie, per VoceArancio, 27 giugno 2012
Azione. Titolo che esprime il possesso di una parte del capitale di una società. La persona che compra un’azione ne diventa socio
Azione. Titolo che esprime il possesso di una parte del capitale di una società. La persona che compra un’azione ne diventa socio. Ce ne sono di ordinarie e di risparmio. Quando le cose vanno bene, di solito, le società distribuiscono agli azionisti una quota dei propri utili (divedendo). Fare attenzione che l’andamento del prezzo delle azioni sul mercato secondario (quello successivo al loro collocamento) non è più legato (se non in termini di immagine) con la società che le ha emesse: quella incassa i soldi solo la prima volta, poi tutte le negoziazioni successive avvengono tra privati o tra privati e altri soggetti. Bond. Inglese di obbligazione. O anche titoli di stato quando si tratta di obbligazioni governative. È il modo più diffuso con cui un’azienda privata o un ente pubblico raccolgono soldi. In pratica chiedono un prestito per svolgere la loro attività. Rispetto alle azioni le obbligazioni danno il diritto alla riscossione di un interesse calcolato precedentemente (cedola, generalmente semestrale) e, a scadenza, al rimborso del capitale investito. In pratica con le azioni si diventa soci, con le obblligazioni creditori. L’obbligazione darà più interessi quanto meno è solida la società che la emette perché dovrà offrire maggiori guadagni agli investirori per convincerli a prestargli i soldi. Viceversa se è molto solida si potrà permettere di offrire bassa remunerazione perché gli investitori sarano attirati dall’assenza di rischio. Rating. Indicatore del grado di affidabilità di una società, in pratica una pagella. I rating sono periodicamente pubblicati da alcune agenzie internazionali specializzate: Standard & Poor’s, Moody’s, Fitch. Il voto è espresso in lettere. Ad esempio per S& P le classi di rating vanno da AAA (elevata solidità) a D (società insolvente). Per Moody’s da Aaa (livello minimo di rischio) a C (società insolvente). Spread (Btp-Bund). Altro non è che la differenza tra i rendimenti del Bund a 10 anni e del Btp della stessa durata. Ovvero si prendono gli interessi annuali che lo stato italiano paga a chi ha deciso di finanziarlo e ci si sottraggono quelli che paga lo stato tedesco. Esempio Il Btp paga interessi del 5,30% e il Bund lo 0,80%: 5,30-0,80=4,50, trasformato in centesimi viene uno spread di 450 punti. Altro esempio Il Bund rende il 2 per cento e il Btp il 6. Comprando 10.000 euro di Bund, fra un anno il capitale lordo sarà di 10.200 euro; se invece prendo 10.000 euro di Btp, fra un anno ci saranno 10.600 euro. La differenza di 400 euro è causata dal fatto che lo stato italiano è considerato meno affidabile di quello tedesco. In pratica quando lo spread Btp-Bund aumenta significa che i titoli di stato italiani perdono prezzo perché percepiti sempre più rischiosi, e il governo nazionale, per venderli, deve offrire immediatamente cedole più elevate. Finanza a progetto. Sono quei finanziamenti che servono a realizzazione uno specifico investimento. Ad esempio, un’azienda che vuole acquistare un macchinario, o un ente che vuole realizzare un’opera infrastrutturale. In questi casi è possibile raccogliere soldi indebitandosi attraverso un prestito obbligazionario la cui finalità (il progetto) è noto a priori. I vantaggi di quest’operazione: 1) l’investitore sa come saranno impiegati i suoi soldi; 2) l’impresa riesce a raccogliere fondi a un costo minore e con più facilità del mezzo bancario. Sotto tre esempi di finanza a progetto intorno ai quali, ultimamente, sembra giocarsi molto del futuro degli stati europei. Eurobond Sarebbero le obbligazioni emesse dalla Comunità europea. Se ne è iniziato a parlare all’inizio degli anni ‘90. Allora avrebbero dovuto finanziare progetti infrastrutturali, ora verrebbero utilizzate soprattutto per la ristrutturazione del debito pubblico degli stati aderenti. Poiché garantite dalla Comunità europea nel suo complesso, e non dai singoli stati, godrebbero di garanzie tali da poter spuntare tassi bassi. I singoli paesi potrebbero dunque indebitarsi, invece che direttamente sul mercato, tramite gli eurobond, ottenendo risparmi sul costo e sulla stabilità finanziaria. Il vantaggio andrebbe maggiormente a quelli deboli, mentre gli stati virtuosi ne ricaverebbero molti oneri (nell’ipotesi peggiore accollarsi la restituzione degli eurobond di un paese finito in default). Inoltre, gli stati probi vedrebbero aumentare il peso del debito rispetto al Pil mettendo a rischio la loro valutazione per le agenzie di rating, con impatto negativo sul costo delle emissioni proprie. È per questi motivi che, principalmente Francia e Germania, sono contrari alla creazione degli eurobond, mentre è vista con favore da Spagna e Italia. Project bond Obbligazioni a progetto europee. Con queste si vorrebbe rilanciare, a livello unitario, la competitività su aree strategiche (trasporti, reti telematiche, trasmissione di energia). Permettererebbero di trovare il denaro senza andare a gravare sui bilanci degli stati membri e quindi sul loro debito pubblico. Le garanzie di Bei e Unione europea invoglierebbero investitori istituzionali (ad esempio banche, compagnie di assicurazione, fondi pensione) a comprarle e la liquidità per rimborsale verrebbe dai flussi di cassa che tali opere produrrebbero nel tempo. Minibond Obbligazioni emesse dalle Pmi italiane (non quotate in borsa) per finanziarsi. Lo strumento è stato previsto nel decreto legge Crescita (approvato a giugno dal goveno Monti). Lo possono fare a condizione di essere assistite da uno sponsor, di avere ricevuto la certificazione dell’ultimo bilancio e che i titoli circolino tra investitori qualificati. I minibond esistevano già, solo che nessuno li emetteva. Si è pensato che questo fosse dovuto al trattamento fiscale, così si è abbassata la tassazione al 12,5%, stesso trattamento dei titoli di stato. Derivato. È uno strumento finanziario ma non è conseguenza di una vera attività economica. Il suo valore dipende direttamente dall’andamento di un’altra attività finanziaria, che viene chiamata «sottostante», un indice ad esempio. Nato come strumento di copertura, si è poi trasformato in prodotto speculativo. In altre parole si tratta di stabilire oggi, con modalità diverse da strumento a strumento, un prezzo per una transazione che avverrà in futuro. Tra loro ci sono future, opzioni, certificates, covered warrant, forward, swap. Il loro successo è dato dalla possibilità di sfruttare il cosiddetto «effetto leva». Esempio: con 1.000 euro si possono comprare a) 100 azioni della società Gamma al prezzo di 10 euro l’una; b) 500 opzioni sulla stessa azione al costo di 2 euro. Qualora il prezzo del titolo salisse a 15 euro, nel primo caso si sarebbero realizzati 500 euro di guadagno, nel secondo caso avremmo l’opportunità di acquistare a 10 euro ognuna delle 500 azioni che adesso valgono 15, con un guadagno al netto del costo delle opzioni (2.500 meno 1.000) di 1.500 euro, il triplo. La leva, ovviamente, ha lo stesso funzionamento anche in caso di perdita. Hedge funds. Strumenti finanziari (fondi) altamente speculativi. Nascono negli Stati nel 1950, quando un certo Alfred Jones si mise a vendere azioni allo scoperto per ridurre la volatilità del portafoglio e per tutelarsi da degli eventuali ribassi. Impiegano il denaro raccolto su strategie non convenzionali (spesso non adottabili dai fondi comuni per motivi regolamentari). Tra i pochissimi a dare la possibilità di cogliere opportunità da tutti i movimenti dei mercati (investendo sia al rialzo che al ribasso). In Italia per comprare quote di questi fondi bisogna essere investitori qualificati e disposti ad investire almeno 500 mila euro. Stock Options. Contratti con i quali l’azienda incentiva i propri dipendenti. L’operazione consiste nel «prenotargli» un certo numero di azioni ad un dato prezzo. Dopo un certo numero di anni (prestabilito), il dipendente può esercitare il diritto d’opzione (trasformazione delle sue options in azioni). Se a questo punto il prezzo dell’azione è più alto di quello nel momento in cui erano state «prenotate», ecco che le options si trasformano in reddito. È uno strumento molto utilizzato per incentivare il management a creare valore per l’azienda. Blue chips. Termine per indicare le società ad alta capitalizzazione azionaria. Sono i componenti degli indici più popolari, come l’Ftse Mib, il Dow Jones, Euro Stoxx 50, l’S&P 500, il Nikkei 225 etc. Le origini del nome derivano dal gioco d’azzardo: nel poker la blue chip (gettone blu) è la fiche cui si attribuisce il valore più alto. Indici di borsa Esprimono con un solo numero l’andamento di un mercato. Ogni giorno il gioco fra domanda e offerta fa cambiare il valore dei singoli titoli e per capire come sta andando il mercato nel suo complesso o un certo gruppo di azioni, si usano questi indici. Un indice può comprendere sia titoli di uno stesso paese, di un preciso paniere, del medesimo settore ecc. Servono anche da base per alcuni contratti derivati. Per creare un indice di borsa, si fa una media tra le società quotate, tenuto conto delle dimensioni e della capitalizzazione delle stesse. Per farla semplice, più è grossa la società in termini di azioni circolanti sul mercato e più peso ha sull’indice considerato. Il Ftse Mib è il paniere delle società più importanti della borsa italiana. Misura la performance dei 40 titoli con maggiore capitalizzazione (da soli fanno l’80% del mercato interno). Poi c’è il Ftse Italia Mid Cap che comprende le prime 60 società per capitalizzazione escluse quelle dell’indice Ftse Mib. In Europa, indici simili al Ftse Mib sono: - l’Euro Stoxx 50, indice di titoli rappresentativo delle le maggiori società appartenenti all’eurozona». - il Cac40, l’indice principale del mercato azionario francese. È costituito da 40 titoli selezionati in base alla capitalizzazione di mercato e al livello di liquidità. - il London Ftse 100 rappresenta le 100 società più capitalizzate e quotate al London Stock Exchange. - il Dax 30 per la borsa di Francoforte, costituito dai principali 30 titoli tedeschi a maggior capitalizzazione. Negli Stati Uniti il Dow Jones è il più noto indice della borsa di New York e anche quello più antico del mondo (risale al 1896). Il paniere che lo compone è rappresentato da 30 società a grande capitalizzazione, leader di mercato nei rispettivi settori. L’S&P 500 raggruppa le prime 500 società americane. L’indice Nasdaq che rappresenta le società tecnologiche e della new economy.