Malcom Pagani, il Fatto Quotidiano 26/6/2012, 26 giugno 2012
ARTURO ARTOM ECCO A VOI IL NUOVO CONTE MAX
Chi lo conosce ha coniato un neologismo. Arturista. “Arturo il ballista”. O, secondo un’altra corrente di pensiero, “Arturo l’artista”. A determinate vette, la millanteria è un pezzo da collezione. Della bugia, Arturo Artom è maestro. Quaranta-sei anni, barba rossa, incarichi in serie. Consigliere di Assolombarda, consulente di Accenture, presidente del Forum per la Meritocrazia. La sua ultima invenzione con cui, spergiura, farà “tremare la casta”. Negli ultimi 20 anni questo Zelig dagli umili natali ha indossato ogni abito. Un titolo alla settimana. Una balla al mese. “Ho fondato Artom Challenge, sarò all’America’s Cup”. “Ho già un accordo con Miramax, comprerò Small World”. “Lancio la sfida italiana a Youtube nella Silicon Valley”. Dichiarazioni intervallate da fughe precipitose o assoluta inazione. Artom urla, i giornali pubblicano e lui occupa lo spazio dell’annuncio senza dar seguito a un solo proposito. Ha capito che se una cosa è stampata diventa quasi sempre legge.
Lo zio celebre e inventato
Giorni fa, dopo due pagine apologetiche sul Sette del Corriere(“Siamo in 100mila contro i raccomandati”), Artom il situazioni-sta è approdato anche alla Camera. Dibattito trasversale sul merito con Gianfranco Fini in vena di rivelatorii lapsus vocali: “Ringraziamo Artum”. Sull’equivoco del cognome, Arturista gioca da una vita. In sua assenza chiama affettuosamente Guido Artom, storico imprenditore del tessile, “zio”. Grado di parentela che all’epoca del primo incarico in Fondiaria vantava, con identica faccia di bronzo, con un altro Artom: Eugenio, già al vertice della compagnia assicurativa. Che Arturista avesse visto i due legittimi titolari solo in copertina era secondario. Più importante sapere che nulla intimidisce più del soffio della dinastia. Va in tv dalla Gruber ed esagera: “Il logo del Forum della meritocrazia me l’ha suggerito Steve Jobs”. Ridisegna la realtà: “Ne parlavo ieri con Monti”. Abbatte le differenze anagrafiche: “Il mio amico di infanzia Andrea Agnelli” (di 9 anni più giovane). Un po’ Bel Ami: “Al Gore mi diceva di recente”. Un po’ Fregoli: “L’altra sera ne discutevo con Montezemolo”. Un po’ Conte Max: “La mia villa a Santa Margherita” (due stanze, senza ascensore).
Nato a Torino nel ’66 da madre svedese e da Auro, impiegato della Stet, Arturo evase in fretta dalle proprie origini. A metà anni ’90 sfruttò il know-how paterno per infilarsi nelle pieghe del monopolio Sip con la minuscola Telsystem. Grazie all’Antitrust di Giuliano Amato, vinse la causa e incassò 4 miliardi di lire: “Senza Giuliano non ce l’avrei mai fatta”. Liquidò Telsystem, ottenne un incarico in Olivetti, approdò in Omnitel e con un’ultima giravolta entrò a Viasat, prima di essere cacciato da Roberto Testore. Il suo nome era sui giornali. I cronisti, benevoli. Così, senza contraddittorio, da ad di Viasat delirò di “crescita annuale del mille per cento” e in pochi mesi fondò Netsystem, salutato così dall’autorevolezza di Peppino Turani: “Il moderno profeta del satellite… l’Italia, grazie a gente come Artom, è oggi all’avanguardia per soluzioni Internet avanzate”.
Bluff da new economy
Il primo operatore internet a banda larga del Paese, Netsystem, fu accolto da articolesse spietate. Repubblica, ottobre 2000: “Artom cel’hafattaconunastrategiafatta di mosse fulminee, abilità e fortuna (…) notevolissima competenza, passione divorante per il lavoro”. Tanto consumante da dover fuggire all’alba dall’Hotel Westin di Milano in pieno crac Netsystem e chiudere la stessa nel 2008. Perdite per oltre 40 milionidieuro.Perilrequiem,ilpresidente Artom scelse (facendo furbescamente firmare l’atto dall’ad Pierluigi Corvi Mora, uscito psicologicamente devastato dall’imbroglio) chi, per meriti sul campo, si intendeva di funerali: Netsystem concluse la sua parabola nelle mani di Pietro Terenzio, esperto di “bare fiscali”, già arrestato e condannato per truffa e riciclaggio nel 2001. Ad Artom non importava.
Meglio di Youtube
Durante l’agonìa di Netsystem (che provò invano a quotare in Borsa), lui era già altrove. Con il sito bufala “Your Truman Show”, collettore di video amatoriali chiuso in sei mesi, che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto fare concorrenza a Youtube di Chad Harley. Con l’altrui prosa in poppa (“Il ragazzo che giocava con gli aeromodelli e sognava la California, si gode il suo pezzo di American dream”, Massimo Gaggi, Corriere della Sera, 2007), Arturo varò la panzana della passione velista, annunciata dai severi Cinelli e Fubini sempre dalle stanze di via Solferino: “Non stacca nemmeno in vacanza. Anche se agli amici assicura che si tratta (sic) solo di un divertissement nato sulle nevi di Cortina con Vasco Vascotto, Artom ci crede ed è pronto a lanciare la sua sfida all’America’s Cup”.
Infine la meritocrazia. L’ennesimo bluff di Arturista. Chiacchiere vacue che, con la complicità dei media, il pirandelliano Artom propina da mesi. È stato a “Matrix”, “Ballarò” e “Otto e mezzo”. Vespa,sestosensoinsetoladicinghiale, non l’ha voluto. Arturista non si è perso d’animo. Fiutando il tempo. Sollevando cartelli indignati in diretta. Riscoprendo poliglottismo e supercàzzole che avrebbero commosso Monicelli: “Networking”. Fumo sparso ad arte. Arturo il sedicente esperto di filari: “Il nostro vino è un’eccellenza del made in Italy”, il creatore di lampade high-tech, il trombettiere di inesistenti società biomediche. Anni fa Arturista immise sul mercato “Muvis”. Un lume salutato dai quotidiani con lucida sobrietà: “La rivoluzione del design”. “Giugiaro e Artom, squadra vincente di geni”. Artom impiantò la sede nel suo appartamento, assoldò due dipendenti, provò a irretire Gismondi di Artemide (che lo mandò via in 5 minuti) e poi serrò la baracca con conti da censura.
L’amico Enrico Letta
Quando non allenta il guinzaglio alla fandonia, Artom plana sul sociale. “Voglio un manifesto per l’immigrazione. Lo straniero che compie il percorso scolastico da noi deve diventare italiano”. Colpi d’ala che gli servono a esistere e a prolungare il rumore di fondo. Mente sull’affiliazione a Confindustria in un’intervista a La Stampa del 2009? No problem. Il board degli industriali biasima, ma tace. Così Arturista detto anche “Fanfan la tulipe”, continua a cenare dalle dame (Sospisio, Camerana, Gabriella Dompè), abbracciare imprenditori che non sanno chi sia, frequentare Enrico Letta (con cui, dalla trentina “VeDrò” a “People in touch”, la comunanza di vedute è totale), far lobby impastando la fantasia. Ogni tanto tenta il colpo in pellicceria. Va da Tivioli con la fidanzata e improvvisa: “Regalatemela, ho dietro i paparazzi, è tutta pubblicità!”. Anche senza ermellino, dal 2007, in occasione del ricevimento al Quirinale, Artom risulta nella lista degli amici personali di Giulio Napolitano, figlio di Re Giorgio. Il suo “amico” Jobs, citando Leon Battista Alberti, lo diceva: “L’uomo può ciò che vuole”. Arturista lo sa. In attesa di candidarsi in Parlamento (blatera di “essenziale controllo del Forum” sulle liste bloccate del Porcellum), l’unico autentico erede della lezione collodiana produce documentari e medita conquista culturali. Le vesti, neanche a dirlo, quelle di Gesù: “Con Arnoldo Mondadori farò un film sui misteri delle chiese italiane sulla scia di Dan Brown”. Gli angeli necessari. I demoni inevitabili. Arturo è già salito in Paradiso. Il merito è il merito. Di “tornare nella merda”, sussurra a chi conosce il suo segreto, non ha alcuna intenzione. Sincero. Finalmente.