Marco Lillo, il Fatto Quotidiano 26/6/2012, 26 giugno 2012
LA TRATTATIVA E LE MUTANDE DEI BOSS
Questa è la storia di una trattativa iniziata con una lettera dei familiari dei boss in cui si parla di mutande e biancheria per far calare le braghe allo Stato. Una trattativa che la pubblicistica in voga vorrebbe sia stata chiusa dall’allora ministro Giovanni Conso con il rilascio di 334 mafiosi, usciti dal regime dell’isolamento nel novembre del 1993 e che invece potrebbe essere ancora aperta, come dimostra la storia di una strage mancata durante una partita di calcio: Roma-Udinese del 23 gennaio 1994.
OGGI PUBBLICHIAMO i documenti che dovrebbero aprire e chiudere le danze della partita a scacchi tra istituzioni e corleonesi, cioè la lettera dei familiari dei detenuti nelle supercarceri spedita nel febbraio 1993 e l’elenco dei ‘graziati’ di Conso del novembre 1993 più altri documenti disponibili sul sito internet Il fattoquotidiano.it che scandiscono i momenti cruciali di quel periodo in cui la storia della mafia e quella della repubblica si sono intrecciate inscindibilmente.
Il punto di rottura degli equilibri decennali tra Stato e mafia è il 31 gennaio del 1992, quando la Cassazione infligge migliaia di anni di carcere ai boss mafiosi imputati al maxi-processo. Il 12 marzo Cosa Nostra uccide Salvo Lima. Il 23 maggio salta in aria la staffetta della scorta di Giovanni Falcone e l’onda d’urto travolge anche l’auto blindata che ospita il giudice e la sua compagna. I boss fanno circolare un elenco di vittime possibili, tra queste spiccano gli ex ministri Salvo Andò e Calogero Mannino. I Carabinieri del ROS, guidati dal generale Angelo Subranni, avviano i contatti con il Consigliori dei corleonesi, Vito Ciancimino. Paolo Borsellino, secondo le testimonianze più recenti in qualche modo è informato. Di certo, dicono tutti i suoi colleghi e amici, si sarebbe opposto con tutta la sua forza a qualsiasi forma di cedimento alla mafia. Secondo i giudici di Caltanissetta, Borsellino sapeva che lo Stato stava scendendo a patti con Cosa Nostra e anche per questa ragione, in quanto si sarebbe opposto, è stato ucciso il 19 luglio del 1992 a via D’Amelio. Cosa Nostra però non si ferma e porta il suo attacco nel “continente”. Il 14 maggio del 1993 c’è l’attentato a Maurizio Costanzo a Roma. Il 27 maggio le stragi di Firenze e Milano e il 28 luglio l’attentato contro le chiese a Roma. Prima dell’avvio di questa seconda ondata di bombe però era arrivato un segnale che solo recentemente è stato valorizzato grazie al libro di Sebastiano Ardita, magistrato di grande esperienza, oggi procuratore aggiunto a Messina e per molti anni al Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, il Dap. Nel libro Ricatto allo Stato, Ardita racconta che nel febbraio 1993 arriva una strana lettera al presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro: “Siamo un gruppo di familiari di detenuti che sdegnati e amareggiati da tante disavventure” è l’incipit. I familiari chiedono al presidente: “quante volte in una settimana Lei cambia la biancheria intima? Quante volte cambia le lenzuola? Lo sa quanta biancheria in un mese noi possiamo portare al nostro congiunto? Soli cinque kg”. Poi si lamentano dei secondini di Pianosa, definiti “sciacalli” e chiedono di “togliere gli squadristi del dittatore Amato”, Nicolò Amato direttore del Dap allora. A impressionare sono gli indirizzi a cui la lettera al presidente , che non si trova negli archivi del Quirinale secondo quello che dice al telefono mentre è intercettato, il consigliere del Capo di Stato, Loris D’Ambrosio, è spedita: il Papa, il Vescovo di Firenze e, tra gli altri, Maurizio Costanzo, oltre a Vittorio Sgarbi e ad altre istituzioni. L’elenco impressiona perché i destinatari sembrano altrettanti messaggi in codice decrittati poi dalle bombe contro Costanzo prima, a Firenze poi e infine davanti al Vicariato di Roma. Lo Stato cede: già nel giugno del 1992 il nuovo capo del DAP Capriotti (Amato è sostituito come chiedevano implicitamente i familiari ) chiede al capo di gabinetto del ministro della Giustizia di non prorogare i decreti per il 41 bis a centinaia di detenuti per i quali il trattamento di isolamento era in scadenza.
A NOVEMBRE del 1993, con una scelta della quale si è assunto la responsabilità davanti ai magistrati, l’allora ministro Giovanni Conso lascia decadere il 41 bis per ben 334 detenuti. Tra questi boss del calibro di Vito Vitale di Partinico e Giuseppe Farinella che poi insieme ad altri 50 detenuti torneranno negli anni successivi al regime che gli spettava.
Queste carte mostrano un segmento importante della sequenza, ma da sole non bastano a spiegare quello che è successo nel braccio di ferro tra mafia e Stato. Non è un caso se nella contestazione del reato di minacce a corpo dello Stato contro il senatore del Pdl Marcello Dell’Utri (stessa accusa contestata anche per Calogero Mannino, all’ex capo del Ros dei Carabinieri Antonio Subranni, al suo vice dell’epoca Mario Mori e all’allora capitano Giuseppe De Donno) non sia definito dalla Procura di Palermo il momento in cui sarebbe terminata la cosiddetta trattativa, che sarebbe meglio definire minaccia allo Stato.
Che la partita a scacchi sia rimasta aperta anche dopo la resa di Conso nel novembre 1993, lo dimostra proprio un’altra partita, stavolta di calcio, ignorata dai giornali di destra e dai politici del Pdl che vorrebbero attribuire la responsabilità del cedimento scellerato dello Stato (che pure per la Procura di Palermo ci fu) solo e soltanto all’ex ministro Conso, governo Ciampi, quindi uomo del centrosinistra.
La partita che fa saltare questo schema è Roma-Udinese del 23 gennaio 1994. Quel giorno, come ha raccontato Gaspare Spatuzza al processo Dell’Utri, dovevano saltare in aria un centinaio di carabinieri. Per fortuna il telecomando non funzionò, ma quel tentativo di strage dimostra che la mafia non era affatto soddisfatta dei 334 detenuti ‘liberati’ dal 41 bis. La trattativa non si chiude a novembre del 1993 e forse non si è chiusa ancora oggi.