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 2012  giugno 27 Mercoledì calendario

UN «PREMIO» PER CAMMARATA: IL SINDACO DEI CONTI IN ROSSO FA IL CONSULENTE ANTISPRECHI


«Possibile sia stata tutta colpa mia?». Diego Cammarata ha ragione a ribellarsi al ruolo di capro espiatorio per l’abisso nei bilanci del Comune di Palermo e delle municipalizzate. Ma la sua investitura al Senato come consulente per i tagli alla spesa degli enti locali è troppo anche per la moralità assai elastica dei Palazzi italiani. A meno che la sua mission non sia quella di spiegare agli altri: fate il contrario di ciò che ho fatto io.
Lo ripetiamo: scaricare tutto sull’avvocato piacione che rientrava nei canoni del candidato ideale del Cavaliere (alto, sportivo, simpatico, elegante, sorriso panoramico...) come è successo nell’ultima campagna per le comunali vinte da Leoluca Orlando dove gli ex-amici, ex-alleati, ex-sodali, ex-beneficiati facevano a gara per fingere di non avere mai avuto rapporti, è stato un gioco indecente.
Diego Cammarata non solo fu scelto, imposto e votato da una coalizione larghissima che in quel 2001 del famoso «cappotto» di 61 parlamentari a zero pensò d’aver scovato in lui l’asso vincente e gli consentì perfino di violare la legge restando insieme sindaco e parlamentare, ma dopo cinque anni di governo fu confermato per un secondo mandato da quella stessa alleanza che prende oggi le distanze con un’ipocrisia pari solo alla disperazione.
E dunque non sta né in cielo né in terra che l’accumulo di dipendenti, le voragini nei bilanci delle municipalizzate, le emergenze rifiuti, i ritardi abissali nei fantasmagorici progetti del berlusconismo in salsa sicula e perfino i contratti demenziali sulla cui base la potatura delle piante tocca ai giardinieri della «Gesip» fino a 249 centimetri di altezza e a quelli del settore giardini dai 250 in su, siano imputati tutti a lui. Troppo facile, troppo comodo.
Certo, i giudizi di alcuni avversari dopo le dimissioni che alcuni mesi fa portarono al commissariamento del Comune, sono comprensibili. Rita Borsellino disse: «La parabola del centrodestra palermitano si è conclusa nel modo più vigliacco. Cammarata si è dimesso per non affrontare l’enorme buco di bilancio. Altro che amore per la città. Ha distrutto la nave e l’abbandona mentre affonda». E il capogruppo del Pd in Regione Antonello Cracolici rincarò: «Cammarata è come Schettino, il comandante della "Concordia". Ha distrutto questa città. L’ultimo suo atto è la fuga, come un topo che tenta di abbandonare la nave che affonda». Cosa poteva dire, di diverso, l’opposizione?
Meno «normali» furono le parole sprezzanti di chi aveva appoggiato il sindaco nelle due campagne elettorali, la seconda delle quali viziata dal sospetto di brogli. «Con le dimissioni di Cammarata si chiude una delle pagine più buie della storia di Palermo», tuonò il coordinatore dell’Udc Gianpiero D’Alia. E Raffaele Lombardo, dimentico di Vito Ciancimino, si spinse addirittura oltre: «Cammarata è stato il peggiore sindaco della storia di Palermo. Ha distrutto una città meravigliosa e oggi fugge tentando di scaricare su altri le evidenti responsabilità della sua pessima amministrazione».
Il tutto come se certe scelte squisitamente elettorali e clientelari, vedi ad esempio l’assunzione di 110 persone destinate a fare gli autisti di autobus all’Amat e tutte 110 senza la patente per autobus, fossero state personali. E prese senza il consenso degli alleati di governo, nella realtà ingordi di poltrone e poltroncine e strapuntini nelle aziende para-pubbliche fino a ridurre quelle società miste e quelle municipalizzate a carrozzoni ingestibili. Col risultato che nel 2009 su 866 milioni l’anno di spese correnti, il Municipio ne tirava fuori 623 (72%) per pagare 21.895 dipendenti: ottomila più di dieci anni prima, un po’ diretti, un po’ indiretti, un po’ precari stabilizzati nelle partecipate. Media: uno ogni 30 abitanti.
Per non dire dei 24 viaggi (ventiquattro!) negli Emirati Arabi compiuti dai vertici della società comunale addetta al pattume per «stringere accordi» in realtà mai firmati. Viaggi extra-lusso che, come raccontò Sara Scarafia su Repubblica di Palermo partendo da una denuncia del Pd che sarebbe sfociata in una condanna della Corte dei Conti, erano costati un occhio della testa per cene «da 500 euro al ristorante Al Fanar di Abu Dhabi, pernottamenti negli alberghi più esclusivi, dall’Hilton allo Sheraton, dallo Hyatt al Millenium» e la sponsorizzazione da 30 mila euro per la scritta «Amia» sulla fiancata del motoscafo del pilota Kalhed Al Mansouri in una gara offshore. Follie accompagnate da una gestione dei rifiuti catastrofica. Che obbligò Berlusconi, terrorizzato dall’idea di rivivere nella capitale della destrorsa Sicilia l’emergenza dell’immondizia napoletana, a tappare almeno in parte i buchi della municipalizzata con 80 milioni di euro infilati tra i mal di pancia leghisti, nel decreto «milleproroghe».
E torniamo al tema: Cammarata ha ragione a rifiutare il peso di essere additato come l’unico responsabile di un decennio di cattiva amministrazione nel solco di altre gestioni troppo spesso scriteriate. Ma se non era d’accordo con l’andazzo, che a sua volta attribuisce alle pressioni altrui, aveva un’opzione cristallina: sbattere la porta.
Non l’ha fatto. E sceglierlo oggi come consulente a Palazzo Madama sulla «spending review» che dovrebbe finalmente mettere ordine nel caos della spesa degli enti locali, al di là del messaggio di questi tempi offensivo, è stupefacente almeno quanto mettere una volpe di guardia a un pollaio. A meno che, dicevamo, non faccia pubblica e solenne ammenda e si presti a spiegare come combattere le altre volpi a difesa di galli, galletti, galline e pulcini. Lo farà? Mah...