Fosca Bincher, Libero 26/6/2012, 26 giugno 2012
SENZA L’EURO LA GERMANIA SI FERMA
Angela Merkel ieri è costata qualche miliardo ai mercati finanziari europei, terremotati dall’ennesima chiusura del cancelliere tedesco agli eurobond e a qualsiasi soluzione di condivisione del debito Ue. Crollata piazza Affari (-4,02%), ma scivolate di più di due punti anche Parigi e Francoforte. La chiusura non era nuova, ma dopo la rivelazione del settimanale Der Spiegel di un documento segreto sui danni che la Germania subirebbe dalla rottura dell’area euro, gli investitori si attendevano un cambio di rotta. Il documento del ministero delle Finanze ipotizzava una caduta del Pil tedesco di 9,2 punti percentuali e un aumento di circa 5 milioni di disoccupati in caso di ritorno alla valuta nazionale del marco. Scenari simili a quelli che da mesi circolano nelle principali banche d’affari internazionali. Per quasi tutte da un’uscita dall’euro la Germania avrebbe solo da perderci, e per alcuni indicatori economici lo choc della rottura dell’Unione monetaria sarebbe più forte a Berlino che nei cosiddetti Paesi periferici (Spagna, Portogallo, Grecia e Italia). L’ufficio studi di Ing, il colosso del credito a base olandese, ha provato a confrontare il rapporto debito/Pil di Italia e Germania in caso di morte della moneta unica. Secondo Ing il ritorno a lira e marco provocherebbe a Roma una impennata inflazionistica in grado di raggiungere punte del 10%. A Berlino però accadrebbe l’op - posto, con una deflazione che metterebbe a serio rischio anche la capacità di export delle imprese tedesche. Salirebbe il Pil italiano con un ritmo in grado di superare la crescita della spesa per interessi, inevitabile con l’uscita dall’euro. Senza euro l’Italia si dirigerebbe di gran corsa verso i parametri di Maastricht e del fiscal compact, mentre la Germania ne uscirebbe. Roma vedrebbe scendere il rapporto debito/Pil dal 120% al 112% entro il 2016. Berlino lo vedrebbe salire dall’82% fino a sfondare quota 100% salvo poi assestarsi intorno al 93-95%. L’economia dei Paesi periferici tornerebbe a tirare,anche con un costo della vita galoppante, mentre quella dell’area centrale si fermerebbe entrando forse in recessione. Per questo la stessa Ing in un rapporto fresco datato giugno 2012 sostiene che la linea Merkel sull’austerità fiscale non può reggere a lungo, e certo non può essere sopportata dagli altri governi europei che hanno usato la leva fiscale «al limite della sostenibilità politica». Gli analisti della cancelliera- sostiene Ing - erano sicuri che i mercati avrebbero premiato i governi che avessero seguito la linea dell’austerità. Solo che le loro economie sono andate in recessione, e i mercati li hanno puniti peggio di prima. Rendendosi conto che oggi la Germania spinge gli altri a fare «tagli troppo grandi per avere successo». Oggi servirebbe l’esatto contrario: «Invece che aumentare, diminuire l’Iva e le imposte dirette per sostenere la domanda interna anemica ». Serve anche un po’ di inflazione concertata a livello europeo. Tutto il contrario di quel che vuole la Merkel, che però dovrà secondo i vari report delle banche d’affari «arrendersi» per non trascinare la Germania nel baratro.