Vari 27/6/2012, 27 giugno 2012
FABRIZIO MASSARO SUL CORRIERE DELLA SERA
MILANO — Con una mossa a sorpresa il fondo russo con sede a Londra Pamplona capital management dichiara di avere il 5,01% di Unicredit e si pone direttamente nel gruppo di testa dei soci, subito dopo il fondo sovrano Aabar (di Abu Dhabi) al 6,5%, e sostanzialmente accanto ai di Banca centrale libica (3,6%) e Libyan investment authority (1,8%). La presenza del fondo nell’azionariato non era finora nota, essendo tenuta all’1,99% e dunque sotto la soglia del 2% che rende obbligatoria la comunicazione alla Consob. Con questi numeri l’istituto vede così rivoluzionato il fronte degli azionisti principali, con le Fondazioni italiane, attorno al 12%, che diventano minoranza rispetto ai soci esteri forti, che sono al 25%.
A guidare Pamplona, 6,5 miliardi di dollari di patrimonio in gestione, è il 53 enne banchiere Alexander Knaster, nato a Mosca, emigrato nel 1976 negli Stati Uniti (di cui ha preso la cittadinanza) e poi, secondo quanto riporta il sito di Forbes, rientrato in Russia dove a metà degli anni 90 è stato prima alla guida di Credit SuisseFirst Boston e poi amministratore delegato di Alpha Bank, che è tra gli investitori di Pamplona. Knaster è accreditato di un patrimonio personale di 1,4 miliardi di dollari (tra qui quote in Alpha Group) e siede fra l’altro nel board del colosso petrolifero anglo-russo Tnk-Bp.
Il veicolo usato per entrare in Unicredit è il fondo Pamplona Global Financial Institutions Fund, costituito nel 2011 con un miliardo di euro proprio per investire nelle istituzioni finanziarie. Piazza Cordusio è il primo investimento di questo tipo e di gran lunga il più importante: ai prezzi di ieri il 5% vale 750 milioni, praticamente il 75% del patrimonio del fondo. Evidentemente l’interesse è alto e gli stessi russi non lo negano: «La strategia del fondo è di investire a medio-lungo termine in istituzioni finanziarie mondiali che sono leader nei rispettivi mercati di riferimento e che siano ben posizionate per poter ulteriormente consolidare la propria posizione nella imminente ristrutturazione del settore bancario europeo». Soprattutto se si tratta di soggetti «sottovalutati», come è Unicredit, che appena sei mesi fa ha concluso un aumento di capitale da 7,5 miliardi e oggi vale appena 14,7 miliardi.
Bisognerà ora vedere se e quanto il fondo vorrà incidere nelle strategie della banca. Non pare che i nuovi soci possano chiedere posti in consiglio, che è stato appena rinnovato con la presidenza affidata a Giuseppe Vita. Certo è che anche il ritorno sulla scena della Libia, che con il presidente del Lia Mohsen Derregia ha manifestato interesse a rappresentanza nel board, ha riacceso i fari sulla governance della banca. A differenza delle enormi polemiche scoppiate nel 2010 quando i libici incrementarono la loro quota fino al 7,5% e che portarono alla defenestrazione dell’amministratore delegato Alessandro Profumo, ieri non si sono viste levate di scudi. «Hanno ritenuto il gruppo molto serio e hanno fatto l’investimento. Mi sembra un fatto importante», ha commentato a caldo Giovanni Puglisi, presidente della Fondazione Sicilia. Anche dalla banca guidata da Federico Ghizzoni, pur senza commenti ufficiali, filtra la lettura che si tratti di una mossa amichevole. Peraltro i gestori del fondo Pamplona ieri hanno dichiarato di credere che «il management team di UniCredit possa orientarsi con successo nella crisi europea per rafforzare ulteriormente la posizione della banca».
Tuttavia per cautelarsi dalle oscillazioni al ribasso del prezzo delle azioni, Pamplona ha scalato Unicredit con una complessa operazione con derivati finita anche sotto scrutinio della Consob, che ha chiesto che ne venissero resi noti i dettagli. L’acquisto del 3% è stato in gran parte finanziato da Deutsche Bank, che «ha venduto a Pamplona opzioni di vendita e ha acquistato da Pamplona opzioni di acquisto» sull’intero 5% intestato al veicolo Pgff Luxembourg sarl (che materialmente possiede le azioni). Il colosso tedesco ha comunque chiarito in una nota che «in nessun caso nell’esecuzione dell’operazione, Deutsche Bank acquisterà e manterrà azioni UniCredit» anche nel caso in cui Pamplona decidesse di rimborsare la banca consegnando le azioni.
Fabrizio Massaro
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FRANCESCO SPINI SULLA STAMPA
Pamplona fa fiesta in Unicredit. Il britannico Pamplona Global Financial Institutions Fund è il nuovo secondo maggior azionista di Piazza Cordusio, subito dietro gli arabi di Aabar. In seguito al rastrellamento di 174,8 milioni di azioni, il fondo «alternativo» con sede a Londra è salito dal precedente 1,99% al 5,01% del capitale del gruppo e, quanto a peso, supera la Fondazione Crt, al 3,85%. Pamplona s’è mosso con una logica da hedge fund: ha approfittato dei corsi depressi del titolo, non distante dai minimi degli ultimi 5 anni, e ha avuto un approccio amichevole nei confronti della banca guidata da Federico Ghizzoni.
Amicizia rinnovata anche nel primo commento ufficiale del fondo: «Siamo entusiasti di questo investimento - hanno detto da Londra - e crediamo che il management team di Unicredit possa orientarsi con successo nella crisi europea al fine di rafforzare ulteriormente la posizione della banca nel proprio mercato di riferimento». Ad assistere Pamplona nell’operazione è stata Deutsche Bank Ag - London Branch. Da cui il fondo ha ottenuto «un finanziamento a medio termine» garantito «per una parte significativa del proprio investimento». In relazione a tale finanziamento Deutsche Bank ha venduto a Pamplona opzioni di vendita (put) e ha acquistato dal fondo opzioni di acquisto (call) «aventi come sottostante le complessive azioni» del pacchetto detenuto. Che ai prezzi di ieri vale poco meno di 700 milioni di euro (419,5 milioni il 3,02% appena acquisito). «Tali opzioni - ha spiegato Pamplona - sono finalizzate sia a garantire un valore minimo delle azioni» sia «a consentire al fondo di trattenere eventuali incrementi del valore delle azioni fino ad un livello significativo al di sopra dell’attuale prezzo di mercato». Deutsche Bank ha precisato che «in nessun caso» nell’esecuzione dell’operazione «acquisterà o manterrà azioni Unicredit». Ma chi è Pamplona? Il fondo che ha eseguito l’operazione attraverso una controllata lussemburghese (Pgff) è stato lanciato nel novembre del 2011, si propone di investire, come azionista di minoranza, «a medio lungo termine in istituzioni finanziarie mondiali che sono leader nei rispettivi mercati di riferimento» e che secondo il fondo sono «ben posizionate per poter consolidare la propria posizione nella imminente ristrutturazione del settore bancario europeo». Se tale Global Institutions Fund ha raccolto suppergiù un miliardo di euro, e con Unicredit è al suo primo investimento, la casa madre è attiva su più fronti. Si tratta di Pamplona Capital Management Llp. Opera come private equity (investe cioè in società non quotate), fondo di fondi hedge e singolo gestore di investimenti alternativi. Ha in gestione oltre 6,5 miliardi di dollari, tra i suoi clienti annovera fondi pensione, gestori di patrimoni, family office e fondi di fondi hedge.
Il fondatore, presidente e amministratore delegato è un russo di nascita ma americano di formazione, Alex Knaster. Inizi da ingegnere sulle piattaforme petrolifere del Golfo del Messico, negli Anni 90,è stato presidente e ad di Credit Suisse First Boston a Mosca, quindi direttore generale della Sidanco, la settima compagnia petrolifera russa. E poi ancora in banca, come ad di Alfa Bank, sempre in Russia. Tra i dirigenti anche un italiano, Marco Lippi. Per lui una laurea a Pisa e una carriera nella finanza internazionale. Con l’arrivo di Pamplona nella parte alta dell’azionariato cresce il peso dei soci esteri: in tutto hanno circa il 25% del capitale. Tra questi Aabar, libici, Blackrock, Capital Research e Allianz. E ora, Pamplona. Per Giovanni Puglisi, presidente di Fondazione Bds, è una notizia «molto buona», una prova di fiducia nella banca. «Non necessariamente tutto si misura in posti in consiglio di amministrazione». Ai posteri l’ardua sentenza.
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ANDREA GRECO SU REPUBBLICA
MILANO
– Mossa di rilievo nell’azionariato Unicredit. È spuntato con il 5,01% Pamplona capital management, fondo lussemburghese regolato dalla Fsa britannica e con gestori e denari russi. L’operazione è amichevole e il management di Piazza Cordusio ne era informato. Si tratta del secondo azionista Unicredit, dopo il fondo sovrano degli Emirati Aabar che ha il 6,5%. Oltre un quarto delle azioni della banca, ormai, sono in mani straniere.
’Siamo entusiasti di questo investimento e crediamo che il management team di Unicredit possa orientarsi con successo nella crisi europea al fine di rafforzare ulteriormente la posizione della banca nel proprio mercato di riferimento’, ha commentato un portavoce della società, che opera nell’asset management alternativo, come fondo chiuso, hedge fund e singolo gestore di investimenti di hedge fund. La società gestisce oltre 6,5 miliardi di dollari di masse. Quello in Unicredit, che ai livelli di mercato vale circa 700 milioni, è il primo investimento di Pamplona global financial institutions, fondo che ha raccolto circa un miliardo di euro con la strategia di investire a medio- lungo termine in istituzioni finanziarie mondiali ’ben posizionate per poter consolidare la posizione nella imminente ristrutturazione del settore bancario europeo’. Una strategia quasi da fondo sovrano insomma.
Ma chi c’è dietro Pamplona? In pochi, a Londra, lo conoscono, forse per la verde età. Il suo fondatore, presidente e ad è Alex Knaster, con un passato in Credit Suisse e poi in Alfa Bank, che ha condotto a essere la maggior banca privata della Russia. Nel cda di questa banca Knaster siede
ancora. Il primo azionista di Alfa Bank è Mikhail Fridman, oligarca delle tlc che è il primo socio di Vimpelkom (la Telecom russa che si è comprata di recente Wind). Questi e altri indizi portano a scrivere che molti dei miliardi che Pamplona investe vengono da Est. Il fondo investitore aveva
già in pancia l’1,99% di ’azioni ordinarie Unicredit’, si legge in una nota. Forse un ricordo della ricapitalizzazione di gennaio, quando diversi investitori, anche stranieri, sono entrati nella banca. Ora ha incrementato con un 3,02%, in forma di opzioni di acquisto su Unicredit. ’Nel contesto attuale
riteniamo sia prudente tutelare il nostro investimento riservandoci la facoltà di riacquistare le opzioni call nell’operazione’, ha aggiunto il portavoce.
L’operazione, finanziata massicciamente dall’ufficio londinese di Deutsche Bank (che ne è anche l’intermediario), contempla un accordo put and call su circa 290 milioni di azioni, regolabili in contante o mediante consegna fisica delle azioni. ’Le opzioni sono finalizzate sia a garantire un valore minimo dell’investimento al fondo sia a trattenere eventuali incrementi del valore dei titoli fino a un livello significativo sopra l’attuale prezzo di mercato’. Presto, oltre alle richieste di rappresentanza nel cda Unicredit dei soci libici (hanno in totale il 5%), l’ad Federico Ghizzoni potrebbe trovarsi davanti anche le - motivate - richieste del socio Pamplona.
(a.gr.)
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SERGIO BOCCONI SUL CORRIERE DELA SERA
Unicredit, con il tetto al possesso pari al 5% eredità della privatizzazione, è «a prova di scalata». Ma la mossa del fondo russo di private equity rappresenta un doppio segnale, alla banca e al mercato. L’istituto di Piazza Cordusio, la banca più internazionale in Italia, ha oggi un nucleo di soci esteri importanti che complessivamente raggiunge il 25% del capitale e supera così ampiamente il nocciolo degli azionisti italiani, costituito da fondazioni più privati «storici» e nuovi.
C’è poi evidentemente un segnale a tutto il mercato: il 5% di Unicredit oggi vale più o meno 700 milioni. Cifre alla portata di investitori che, con liquidità propria o a prestito, fanno ben poca fatica a mettere a segno simili interventi. Se è vero che Piazza Cordusio è una delle società del nostro Paese più monitorate dall’estero, e che restano comunque tutte le cautele legate al rischio Italia, è però altrettanto vero che oggi le dieci banche più grandi d’Italia capitalizzano tutte insieme 43 miliardi, dopo rilevanti rafforzamenti patrimoniali, cioè un decimo di Apple e un quinto di Microsoft. E molto meno di quanto valeva solo Unicredit prima che, nell’estate 2007, esplodesse la crisi dei subprime.
È chiaro che l’incertezza, la volatilità, i timori regnano sovrani sui mercati e che quindi è difficile immaginare parta oggi una stagione delle scalate. Ma il segnale Unicredit non va sottovalutato. L’Italia è rischiosa, ma costa anche molto poco.
Sergio Bocconi
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MASSIMO MUCCHETTI SUL CORRIERE DELLA SERA
Il fondo Pamplona ha annunciato ieri di avere superato il 5% di Unicredit. La notizia è seria, ancorché sia accompagnata dal solito commento d’occasione. Seria per quattro ragioni. La prima è la natura speculativa dell’acquirente: una società di asset management alternativo, autorizzata e regolata dalla Financial Service Authority britannica, famosa per non aver
capito nulla del fallimento verso il quale marciavano alcune delle principali banche del suo Paese. Pamplona, fondato da Alexander Knaster, finanziere russo-americano, investe per conto di private equity ed hedge fund, clienti che non sono certo azionisti stabili. Ora sceglie le banche importanti in vista dell’imminente ristrutturazione del settore bancario in Europa. Già si avverte il profumo degli spezzatini e dei minestroni. La seconda ragione, che esige occhio critico, si ritrova nel soggetto finanziatore: la Deutsche Bank. Pamplona ha il diritto di estinguere il prestito cedendo le azioni Unicredit o rimborsandolo, a sua scelta. La principale banca tedesca ha la facoltà di richiamare i titoli della banca italiana in portafoglio a Pamplona. Merita che i contratti sottostanti a queste opzioni incrociate siano subito disvelati. La Deutsche Bank ha una struttura patrimoniale fortemente squilibrata sulla finanza. È la più americana delle banche dell’Europa continentale. Fu la prima a dare pubblico avvio alla vendita dei titoli di Stato italiani. Ora si dice che voglia migliorare la propria debole rete retail.
La terza ragione, che deve far riflettere, è la situazione di Unicredit. La banca guidata da Federico Ghizzoni vale 14,5 miliardi, soltanto uno in più rispetto alla somma dei tre aumenti di capitale fatti dal 2008. Il mercato valuta meno del 30% i mezzi propri ufficiali. Quando una simile sottovalutazione si protrae nel tempo, ci si deve chiedere se i bilanci diano un’adeguata rappresentazione della realtà aziendale o se sia la Borsa a non saper leggere. In ogni caso, si apre lo spazio per scalate a buon mercato.
La quarta e ultima ragione riguarda le regole di vigilanza. La soglia quantitativa di attenzione è stata alzata dal 5 al 10%, su direttiva Ue. Una misura che facilita le scalate congiunte. Unicredit sarebbe un bersaglio perfetto, da suddividere poi in santa pace: l’Italia di qua, la Germania di là, l’Est Europa, la Turchia. La direttiva Ue è figlia della cultura della contendibilità come valore in sé. La storia ha insegnato che così non è. Ma le fondazioni bancarie hanno ormai l’11-12%. Non sarebbero più in grado di difendere la banca se fosse attaccata. L’unica difesa è nelle mani del governo e della Banca d’Italia se, all’unisono, sapranno interpretare senza complessi di inferiorità verso nessuno i requisiti qualitativi dei nuovi azionisti.
Massimo Mucchetti
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DAGOSPIA
1- LA STAGIONE DEI SALDI È COMINCIATA
Gli uscieri di Unicredit stavano lasciando piazza Cordusio quando ieri sera poco prima di cena è arrivata come una bomba la notizia dell’acquisto del 5% del capitale della banca da parte del fondo straniero Pamplona.
Lo stupore è stato grande non solo per l’entità dell’operazione che comporta un esborso di oltre 419 milioni, ma anche per il nome del soggetto acquirente. Per un attimo gli uscieri hanno pensato che si trattasse di un fondo spagnolo e i più colti hanno ricordato che Pamplona è la città amata da Hemingway e Picasso dove ogni anno tra il 7 e il 14 luglio si festeggia San Firmino con la corsa dei tori che fa imbufalire gli animalisti.
L’idea che gli spagnoli disastrati potessero entrare nel capitale della banca come secondo azionista dopo il fondo sovrano Aabar di Abu Dhabi sembrava incredibile, ma poco prima delle 20 qualcuno degli uscieri ha pensato di smanettare su internet e di andare a cercare la verità nel sito "Linkiesta" che vede tra gli 80 soci sottoscrittori anche Alessandro Profumo.
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È stata un’idea felice perché sul sito sono apparsi dettagli precisi sul fondo Pamplona che ha la sede sociale in Park Lane e non ha nulla a che fare con la finanza iberica.
È un fondo apparentemente britannico che nel 2001 è stato creato da Alex Knaster, un ex-oligarca russo amico di Putin. Questo personaggio di origine ebrea ha un curriculum che lo ha visto attraversare da ingegnere le attività petrolifere nel Golfo del Messico per poi approdare presso il Credit Suisse di Mosca e la banca Alfabank, uno dei principali istituti di quel Paese.
Per la sua attività filantropica si è meritato proprio ieri l’elogio del "New York Times", ma la sua forza d’urto è il fondo Pamplona che gestisce qualcosa come 6,5 miliardi di dollari.
Subito dopo aver letto questa notizia sul sito finanziato anche dall’ex-boyscout Alessandro Profumo, gli uscieri hanno letto il comunicato stampa di Pamplona che esalta l’operazione di acquisto del 5% e spiega come le risorse siano state trovate anche grazie a un finanziamento a medio termine da parte della sede londinese di Deutsche Bank.
"Siamo entusiasti di questo investimento - si legge nel comunicato - e crediamo che il management team di Unicredit possa orientarsi con successo nella crisi europea per rafforzare ulteriormente la posizione della banca". Dopo aver letto queste parole gli uscieri hanno tirato un sospiro di sollievo, ma hanno cominciato a porsi alcune domande. La più importante riguarda il futuro di Unicredit che con l’arrivo dei russi, la presenza di arabi, libici, americani e dei tedeschi di Allianz, accentua sicuramente la dimensione internazionale della banca ma rende quasi irrilevante la presenza delle Fondazioni italiane rappresentate al vertice dal massiccio vicepresidente Fabrizio Pallenzona.
Questo non significa che l’italianità di piazza Cordusio sia compromessa e che si debbano attendere ribaltoni al vertice. Anzi, in una situazione di azionariato straniero così frammentato ed eterogeneo il ruolo di Ghizzoni è destinato a rafforzarsi come è avvenuto ad esempio in BNL quando sono arrivati i francesi di Bnp Paribas e hanno lasciato a Fabio Gallia e al presidente Luigino Abete il compito di difendere il tricolore.
A ben guardare si sta realizzando in maniera amplificata il disegno tanto vituperato di Profumo che aveva spalancato le porte ai capitali dell’Est con l’ambizione di fare di Unicredit una banca da Champions League. C’è però un altro interrogativo ben più importante che andando a cena gli uscieri hanno discusso con le loro famiglie, e riguarda il significato "politico" dell’operazione Pamplona. Non c’è dubbio infatti che il simpatico ingegnere Alex Knaster abbia dimostrato con l’aiuto di Deutsche Bank e del manager italiano Marco Lippi (un genovese 50enne che dal 2007 lavora in Pamplona) un tempismo straordinario.
Unicredit è una banca che in un anno ha perso in Borsa il 72,6% e ha dovuto ricorrere a tre aumenti di capitale; questo vuol dire che nonostante gli sforzi del roseo Ghizzoni e del suo braccio destro Nicastro, è una realtà ancora fragile con una capitalizzazione modesta e può diventare preda di capitali stranieri.
Quando nel capitale sono entrati i libici e gli arabi gli uscieri di piazza Cordusio pensavano che l’Istituto sarebbe finito all’ombra della Mezzaluna, poi si sono aggiunte le voci alimentate da una letteratura quasi folcloristica su possibili complotti angloamericani ispirati dalle tenebre di quei salotti come il Bilderberg dove perfino Lilli Gruber è riuscita ad accedere.
L’operazione così massiccia e tempestiva dei russi di Pamplona fa capire che dopo le "locuste" dei derivati è arrivato il momento degli avvoltoi dall’identità fino a ieri sconosciuta che girano per il mondo con immensi capitali e possono comprare ciò che vogliono.
Parlare di "colonizzazione" della finanza italiana è prematuro, e forse questo discorso si potrà fare in maniera più seria dopo il vertice europeo di fine settimana dove si gioca la partita dell’euro.
Resta il fatto che la stagione dei saldi è cominciata. Adesso è la volta dei russi di Pamplona che ostentano meraviglie su Unicredit. Domani potrebbe toccare alla disastrata MontePaschi dove Alessandro Profumo ha dovuto trangugiare i Tremonti bond che aveva sempre disprezzato.
La campagna d’Italia è appena all’inizio e dopo le banche c’è da scommettere che qualche "colonizzatore" metterà gli occhi anche su quei gioielli come Eni, Enel e Finmeccanica che il trio Monti-Grilli-Passera considera la linea Maginot del capitalismo italiano.