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 2012  giugno 18 Lunedì calendario

Anno IX – Quattrocentoventinovesima settimana Dall’11 al 18 giugno 2012Grecia In Grecia hanno vinto le elezioni di domenica scorsa i conservatori di Nea Demokratia, partito massimamente responsabile del disastro attuale, ma che in campagna elettorale ha dichiarato di non voler uscire dall’euro e di esser pronto ad accettare i sacrifici richiesti

Anno IX – Quattrocentoventinovesima settimana
Dall’11 al 18 giugno 2012

Grecia In Grecia hanno vinto le elezioni di domenica scorsa i conservatori di Nea Demokratia, partito massimamente responsabile del disastro attuale, ma che in campagna elettorale ha dichiarato di non voler uscire dall’euro e di esser pronto ad accettare i sacrifici richiesti. Il risultato ha naturalmente rafforzato la moneta unica, fatto ripartire (prudentemente) le Borse e aperto uno spiraglio nelle fitte trattative in corso tra i potenti della Terra per trovare una soluzione alla crisi.

Risultati Nea Demokratia ha vinto con circa il 30 per cento dei voti (mentre scriviamo lo spoglio non è terminato) seguìto dal raggruppamento Syryza della sinistra radicale e poi dai socialisti del Pasok. In Parlamento, 300 seggi, siederanno sette partiti, e tra questi ci sarà pure Alba Dorata, formazione nazista che ha raccolto il 7 per cento dei consensi. Il sistema greco prevede che al primo classificato si regalino 50 seggi, dote che non basta a Nea Demokratia per arrivare alla maggioranza assoluta. Sarà dunque indispensabile allearsi col Pasok, e dar vita a un ibrido storicamente imbarazzante: ND e Pasok si fanno la guerra da sempre, alternandosi al comando. Con la differenza che i socialisti sono precipitati a un misero 13%, mentre i democristiani sono di nuovo il primo partito. Tsipas, il capo di Syryza, che il Pasok vorrebbe tirar dentro nell’esecutivo, ha annunciato che resterà all’opposizione, dove evidentemente conta di raccogliere punti sufficienti a farlo vincere al prossimo giro (e magari in una situazione meno complicata). La via è obbligata, ma non così facile come sembrerebbe. Il premier sarà probabilmente il capo di Nea Demokratia, Antonin Samaras, un lottatore da strada violentemente antisocialista, a cui la comunità internazionale preferirebbe forse un banchiere ben educato. Ma per questo ci sarà sempre tempo.

Samaras Che succederà adesso? Samaras, una volta formato il governo, volerà a Bruxelles per discutere di finanza. L’accordo attuale prevede che i greci taglino dal bilancio 11,5 miliardi di costi e, in cambio, ricevano a rate un prestito da 130 miliardi. La rata di giugno è di 30 miliardi e, se non venisse versata, già a luglio non ci sarebbero i soldi per pagare pensioni e dipendenti pubblici. Samaras, per tener buono il suo avversario Tsipas, deve ottenere una dilazione nei tagli e nei rimborsi; un abbassamento del tasso d’interesse; qualche promessa di investimenti europei in Grecia per far ripartire il Paese. I ministri dell’Eurogruppo sono rimasti collegati in teleconferenza per tutta la serata di domenica, fino a che il risultato di Atene non è stato certo. La Merkel, per vedere come sarebbe andata a finire, ha perfino rinviato la sua partenza per il Messico, dov’era convocato il G20. Saputo che il partito dell’euro aveva vinto, l’Eurogruppo ha rilasciato un comunicato in cui si apprezzano gli «sforzi considerevoli» del popolo greco e si promette «sostegno» alle politiche di aggiustamento del bilancio.

Crisi Mentre scriviamo è in corso il G20 in Messico, a cui seguirà un vertice a quattro a Roma tra Monti-Merkel-Hollande-Rajoy e, il 28-29 giugno, il Consiglio europeo di Bruxelles. L’ordine del giorno di questi appuntamenti è più o meno sempre lo stesso: bisogna che l’Europa si accolli una parte del debito degli Stati e che in cambio i singoli stati cedano a un organismo sovranazionale il controllo delle politiche fiscali e di bilancio. La Bce deve stampare più moneta e favorire investimenti europei nei paesi in crisi. L’ostacolo principale a questa linea non è costituito solo dai tedeschi che non vogliono farsi carico dei debiti altrui. Ci sono resistenze anche a Parigi, perché i francesi digeriscono male l’idea di cedere una parte della propria sovranità. Preme infine sugli europei, e in particolare sulla Merkel, il presidente Obama: i riflessi americani della crisi europea possono mettere a rischio la sua rielezione.

Monti In questo quadro, appare singolare l’incertezza che circonda il governo Monti. Il consiglio dei ministri di venerdì scorso 15 giugno ha varato un complesso di norme che rendono disponibili per lo sviluppo 80 miliardi subito e un’altra ventina di miliardi tra qualche mese, e il segretario del Pdl Angelino Alfano ha accolto la notizia così: «È solo un miliardo, 79 sono virtuali». Dichiarazione tipica di un partito che sta all’opposizione. E infatti Berlusconi starebbe seriamente pensando di ritirare la fiducia ai tecnici all’indomani del Consiglio europeo del 28-29 giugno, prendendo a pretesto la scarsità dei risultati ottenuti in Europa dal premier. Non è certo, naturalmente, che questa mossa verrà davvero fatta. Ma intanto il centro-destra fa filtrare la notizia ai giornali e cerca in questo modo di esorcizzare sondaggi da paura, che lo danno tra il 15 e il 18 per cento, con tendenza al ribasso. Il Cav è convinto, o dice di esser convinto, che l’emorragia dipenda proprio dal sostegno a Monti, anche se non è affatto detto che ritirandosi il governo cadrebbe: un nucleo di pidiellini, riunito intorno al senatore Pisanu, è pronto a uscire pur di salvare il governo, mossa che darebbe inizio probabilmente alla formazione di un’area di centro (Pisanu-Casini, con contorno forse di Fini) capace magari di attrarre anche la destra del Pd, cioè gli ex della Margherita. Qui si vive male l’alleanza con Vendola e Di Pietro, abbastanza inevitabile se la legge elettorale rimarrà quella di adesso.

Fiducia Per far passare il disegno di legge anti-corruzione alla Camera, Monti ha dovuto chiedere la fiducia tre volte. Il Pdl ha già fatto sapere che al Senato non ci sarà il suo sì se la legge non prevederà sanzioni per i pm che sbagliano. Il ddl anti-corruzione è molto blando, e stabilisce che non si possa essere eletti solo dopo una condanna definitiva (tre gradi di giudizio, campa cavallo). Ciononostante esiste una certa probabilità che questa legge - così come quella sul mercato del lavoro, quella che riforma il sistema elettorale, quella che taglia il numero dei parlamentari – finisca sul binario morto dei veti incrociati tra partiti, a cui neanche i tecnici, a quanto sembra, sono capaci di sottrarsi.

Egitto Giovedì scorso, i militari che tengono in pugno l’Egitto dall’epoca della rivoluzione di piazza Tahrir hanno improvvisamente sciolto il Parlamento, basandosi su una sentenza della Consulta che ha giudicato incostituzionale la legge elettorale. I giudici della Corte costituzionale sono ancora quelli di Mubarak, in Parlamento la maggioranza era del movimento islamico dei Fratelli Musulmani, alle elezioni presidenziali che si sono svolte domenica scorsa la vittoria del candidato islamico era piuttosto probabile (gli scrutini sono in corso). Di fatto la Corte costituzionale e i militari hanno dato vita a un colpo di stato, certo interpretando un sentimento piuttosto diffuso in una parte del paese, dove dipendenti pubblici, magistratura, militari sono ancora quelli dell’antico regime, gente che non vuole mettere a rischio quello che ha.