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 2012  giugno 26 Martedì calendario

IL FUMETTO FILOSOFICO


Si è fatto grande il filosofo dell’umorismo a fumetti, il creatore di Mafalda. Joaquin Salvador Lavado detto Quino sta per compiere ottant’anni il prossimo 17 luglio. Per festeggiarlo Magazzini Salani ha pubblicato
10 anni con Mafalda
(pagg. 190, euro 15), splendida antologia di un personaggio che riesce ad essere attualissimo anche se l’ultima sua vignetta risale a trentanove anni fa. Sentire Quino al telefono da Buenos Aires è come parlare con quella parte della propria coscienza che riesce a non prendersi mai troppo sul serio.
Come ci si sente a un passo dagli Ottanta?
«Ci si chiede: ma dove sono passati? Borges diceva che entrare in questa età è una temerità, una sfrontatezza».
In una sua tavola ha disegnato un gruppo di anziani che si chiede: perché invece di chiamarlo l’autunno della vita non la chiamiamo la primavera della morte?
«Ah, sì. È vero (ride). Quello è puro ottimismo!».
In che maniera gli anni l’hanno cambiata?
«Penso che a tutti gli umoristi capiti lo stesso. Anche Woody Allen nei primi film era più divertente e poi mano a mano si è fatto più pensieroso, più serio. Ho seguito lo stesso processo».
Alcune sue tavole sono tragiche e non farebbero ridere per nulla se lei non giocasse con le espressioni dei personaggi.
«È vero. Ma osservando l’umanità, si rischia di diventare sempre più negativi. Per esempio, se uno credeva nel Vaticano, guarda
quello che è venuto fuori. Si sospettava da tempo, ma è stata una bruttissima sorpresa».
Nella sua vita privata è malinconico come tanti altri suoi colleghi umoristi o comici?
«Nella mia vita privata non sono molto allegro. Con gli amici riesco a divertirmi, non passo il tempo a borbottare. Però nel tempo mi sono spostato verso un punto di vista più politico. Beppe Grillo non ha fatto qualcosa di simile?».
È sempre molto interessato all’Italia?
«Seguo la vita europea, soprattutto quella francese, spagnola e italiana. Quella dei paesi in cui affondano le mie radici».
Ci spiega il giallo delle sue due date di nascita? All’anagrafe c’è scritto 17 agosto, ma lei è nato un
mese
prima.
«Quando nasceva un bambino bisognava andare a iscriverlo all’anagrafe entro tre mesi. Evidentemente i miei genitori si erano dimenticati di me. Con i più piccoli accadono
queste cose...».
Come definirebbe la sua infanzia?
«Molto felice. Abitavo in un piccolo quartiere di Mendoza, una città a più di mille chilometri da Buenos Aires, del tutto agricola, abitata da italiani, spagnoli, siriolibanesi. Così sono cresciuto nel Mediterraneo, più che in Argentina. I miei connazionali li ho conosciuti quando sono andato a scuola ».
E da bambino aveva, come Mafalda, un suo gruppetto di amici?
«No. Ero molto solitario. Anche perché i miei due fratelli erano più grandi di me».
Quindi gli amichetti di Mafalda sono tutti inventati?
«Felipe è ispirato, anche fisicamente, a un amico poeta e giornalista che si è trasferito a Cuba dopo la rivoluzione. È morto un anno fa, si chiamava Jorge Timossi, e diceva di essere di origine genovese».
Lei non era certo Manolito, il ragazzino con l’anima del commerciante.
«Sicuramente quello è il personaggio più lontano da me, anche se mio padre era a capo del reparto casalinghi di un grande magazzino ».
Insomma, si sente un po’ Ma-
falda?
«Un po’ sì, perché sono nato in una casa molto politicizzata. I miei genitori erano repubblicani spagnoli, mentre mia nonna era comunista: quando avevo quattro anni è cominciata la guerra civile in Spagna quindi a casa mia si discuteva di politica tutto il tempo. Si discuteva anche dell’Argentina, di cosa accadeva qui mentre in Spagna si combatteva. Il mondo era diviso in due: o eri dalla parte di Franco o da quella della Repubblica. E lo stesso con la Seconda Guerra Mondia-le: o eri nazista o eri comunista. Abbiamo continuato a discutere. E in quel senso lì sono Mafalda, sì».
Con la differenza che i genitori di Mafalda erano disimpegnati, anche un po’ qualunquisti.
«Sì. A casa mia era molto diverso ».
A diciannove anni è andato a Buenos Aires a cercare fortuna con i suoi disegni.
«Non c’era alternativa. Buenos Aires era la grande metropoli, piena di vita, di automobili, anche il cielo era diverso. E poi c’erano tanti disegnatori. Li ho conosciuti tutti girando le redazioni con la cartellina sotto il braccio».
In un’intervista ha detto che da giovanissimo era un pessimo disegnatore.
«Poi sono migliorato, ma non
troppo.
Però
ho imparato tutto da solo, perché ho fatto solo i primi due anni di Belle Arti. Mi sono detto: ma se devo fare fumetti che studio a fare prospettiva, geometria spaziale, matematica?...
».
È stata una decisione giusta?
«La più sbagliata! Ma non sono stato il solo a prenderla».
Nel 1952 ha cominciato a pubblicare regolarmente le sue tavole e nel 1964 è nata Mafalda.
«Non lo volevo avere un mio
personaggio. Oski, grande autore argentino, mi diceva sempre: “Non farlo perché poi un personaggio ti limita tantissimo. Meglio che continui a fare quello che ti pare”. Ma anche con Mafalda ho continuato a fare le mie tavole libere».
Però nel 1973 ha interrotto la pubblicazione di Mafalda.
«Ero stanco di continuare a ripetere che il mondo funziona male,
che ci sono le guerre e la povertà. Niente è cambiato da allora e questa è una tristezza infinita
».
Nel 1976 è arrivato in
Italia. Perché?
«Perché in Argentina situazione era terribile, e perché a Milano c’era Marcelo Ravoni che aveva tutto il mio materiale. Era la scelta migliore. Comunque non ho mai smesso di pubblicare in Argentina. Neanche con lo sciopero delle poste. Trovavamo sempre il modo
di far arrivare le mie tavole».
La sua vita si è divisa in quattro case: quella di Buenos Aires, poi Milano, Parigi e Madrid.
«Da due anni non ho più quella di Milano. Quella di Parigi è uno studio di appena 42 metri. Però con due bagni».
Perché ha lasciato Milano?
«Perché è peggiorata troppo rispetto a quella degli anni 70. Però forse tutto il mondo è peggiorato. Anche Buenos Aires, anche se una settimana fa abbiamo inaugurato qui il bellissimo Museo dell’Umorismo ».
Perché le cose vanno sempre peggio?
«Per l’ambizione umana di fare soldi. Quando ne parlo mi viene voglia di ritirare fuori il mafaldismo ».
Mafalda è una bambina. Ma lei e la sua Alicia non avete avuto figli.
«È stata una decisione precisa e responsabile: non mettere altri poverini in questo pazzo mondo».