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 2012  giugno 26 Martedì calendario

E IL DUELLO ITALIA-GERMANIA DIVENTA IL FESTIVAL DELLA METAFORA


Propongo una lunga squalifica non per “fuori gioco” ma per “fuori luogo” del calcio parlato e del calcio scritto, di questa epica da bar e da redazione, di Bersani che dice «mi aspetto da Monti un bel gol alla Pirlo», della stiracchiatissima trovata da rotariani saputi che «Goethe ha battuto Omero 4 a 2». E che il cucchiaio sia «una geniale alternativa allo spread» o che il troppo vispo Balotelli debba dare prova di sobrietà tecnica «perché lo vuole l’Europa».
E chissà quali abusi di metafore ci aspettano adesso che «dobbiamo spezzare le reni ai crucchi per battere i mercati» e sfoggiare «la solidità della nostra difesa e del nostro centrocampo in faccia alla solidità di Borsa e banche di Francoforte». Ammorbandolo di traslati, iperboli, metonimie, metasema, spostamenti, sineddoche, allegorie e proposizioni figurate, il nostro calcio è diventato il luogo incantato delle gerarchie rovesciate, l’alibi dell’incapace, il lamento dell’escluso. In questa palla-ubriaca, la nostra impresa ovviamente «dovrà ora essere storica», non un evento gioioso, ma «la vendetta dell’Europa del sud sui i panzer dal vigoroso carattere», la squadra di Prandelli «misurerà la profondità di una nuova speranza italiana», e dobbiamo vincere perché «non è vero che sappiamo solo fare debiti e truccare tutte le partite della vita dal tabaccaio sotto casa», e non è neppure vero che «l’unico fegato di cui siamo dotati è il fegato alla veneziana».
L’idea poi che Buffon sia l’angelo della storia che ferma finalmente “il rigore” e che, molto più di Mario Draghi e Mario Monti, sia Mario Balotelli il nuovo approdo della “devozione mariana” cui affidare lo stellone, non solo non fa più ridere, ma è persino più imbarazzante delle barzellette che raccontava Berlusconi. Riproduce infatti la stessa patologia. Il bisogno malsano di sostituire la politica estera con le corna, le gag, le fughe nella goliardia e nella canzonatura, diventa adesso il calcio come utopia dello sconfitto, come riscatto finto e provinciale. E persino le volgarità sul corpo della Merkel sono state sdoganate da alcuni intellettuali italiani, tutti testa e testosterone.
E va bene che siamo un popolo che non sa resistere alla tentazione della cretinata, ma «ecco finalmente il rigore che piace all’Italia» se la batte alla pari (zero a zero, eh eh) con le vecchie insopportabili e ormai consunte locuzioni «nella misura in cui», «il problema non è questo», «la spiegazione è a monte», «la questione è un’altra», «senza se e senza ma». Sono dunque calcistici i nuovi tic del cretino cognitivo, è ‘euro-pallonico’ il suo nuovo armamentario linguistico: «Fuori Cameron ora tocca alla Merkel», «l’Inghilterra è diventata mediterranea » … Questa ineluttabilità tutta italiana di surrogare la politica, l’economia, la letteratura, la storia e persino la teoresi e la morale con le strategie del simpatico Prandelli, di simulare ad ogni partita di calcio uno scontro di civiltà, è la stessa aria guasta che ci mettiamo tutti a respirare ogni volta che arriva il tempo di Sanremo. Come la canzone ha soppiantato il romanzo di formazione, e Battisti, Gaber e Dalla vengono celebrati e ricordati più di Manzoni, Calvino e Sciascia, così il nostro Pirlo vale la loro Bundesbank, e De Rossi è il nostro incrollabile titolo di Stato, mentre Rivera e Riva, che vinsero 4 a 3, sono la memoria della Patria, i Padri Fondatori dell’Europa, più di Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Alcide De Gasperi. E quella formazione — «Albertosi, Burnich, Facchetti …» — merita i libri di storia molto più del proclama di Armando Diaz. E tutto questo non
nelle osterie, negli stadi e nei saloni da barbiere, ma in Parlamento, nelle redazioni di giornali autorevoli, nei consigli di amministrazione e nelle stanze dei felpati sherpa che avrebbero il dovere di promuovere all’estero un’idea vincente di Italia.
Sono troppi gli intellettuali italiani che ricorrono a questa fenomenologia, a questo eccesso di metafora, a questo abuso di iperbole, Schweinsteiger come Heidegger, Pirlo come Cavour e Diamanti come Garibaldi, Torres come García Lorca… Da due giorni ormai sui giornali, per radio e in rete, trionfa questa retorica nazionalpopolare che in fondo nasconde la pochezza delle argomentazioni e confina definitivamente anche il nostro sport più amato e più bello nell’universo perduto della patacca. E senza la genialità e l’ironia dei tifosi napoletani che, per magnificare la gioia dello scudetto, scrissero a Poggioreale, sul muro del cimitero: «Guagliò, non sapete che vi siete persi».
Ecco: scippato ai tifosi veri, il calcio come metafora è solo stupidità che avanza. E Italia-Germania, trasformata in Kulturkampf saccente, è come la pipa di Magritte: “Questa non è una partita”.