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 2012  giugno 25 Lunedì calendario

LE UNIVERSITÀ SCENDONO IN CAMPO PER TROVARE LAVORO AI NEOLAUREATI


Formare gli studenti, fare ricerca, trasferire le tecnologie e, perché no, «collocare» i neolaureati. Il mondo del lavoro interroga l’università italiana e questa risponde mettendosi in discussione e cercando di capire se il suo modo di fare formazione sia davvero in sintonia con le esigenze del mercato. Un dialogo che, dopo anni di fallimenti, comincia a dare i primi risultati, con la complicità di una riforma universitaria (quella del 3+2 avviata nel 2001) che obbliga gli atenei a introdurre nei corsi di studio tirocini formativi di orientamento, ma anche con quella del mercato del lavoro (legge Biagi del 2003) che consente alle università di fare intermediazione nella ricerca di una prima occupazione, in modo da rendere disponibili a livello nazionale tutte le informazioni raccolte sul funzionamento del mercato del lavoro. Il risultato? Una serie di servizi più o meno strutturati tagliati e cuciti a misura di studente: c’è quindi la borsa del placement che mette in collegamento i responsabili delle risorse umane delle imprese con quelli degli uffici di collocamento degli atenei; c’è la borsa della ricerca che punta, invece, ad essere l’anello di congiunzione tra ricercatori universitari e aziende a caccia di idee. Ci sono, poi, i career days giornate dell’orientamento al lavoro o i più conosciuti stage formativi e infine c’è la carta dell’alto apprendistato finalizzato al conseguimento di un titolo di studio superiore.
Gli uffici del placement. Sebbene le università italiane si occupino da tempo del cosiddetto orientamento in uscita, l’istituzione di un ufficio di ateneo con competenze esclusive sul collocamento dei propri iscritti, quindi di un ufficio placement, è un fenomeno che prende forma soprattutto negli ultimi dieci anni. Lo testimoniano i numeri dell’indagine Censis servizi sull’attività di questi uffici di 21 atenei italiani (circa un terzo del totale) primo step di un progetto di ricerca che si propone di creare un vero osservatorio nazionale per monitorare il fenomeno. I primi risultati dell’indagine dimostrano che 19 atenei sui 21 presi in esame raccolgono e diffondono i dati riguardanti il numero di propri laureati occupati. In alcuni casi, 7 università su 21, mettono in campo iniziative e verifiche di approfondimento della materia. Praticamente tutte le realtà accademiche hanno attivato una banca dati dei curricula dei laureati, che le aziende possono consultare per identificare una figura adatta alle proprie esigenze. Nei 21 atenei presi in considerazione, poi, sono state stipulate convenzioni con circa 37 mila realtà imprenditoriali. Solo l’università di Verona ne ha stipulate 8 mila, seguita da Trento e Pavia (5 mila convenzioni stipulate) e Cagliari, con 3 mila convenzioni.
Gli stage. C’è poi lo stage, un’esperienza formativa cioè realizzata in un contesto lavorativo durante o dopo un periodo di studio universitario. Anche in questo caso a restituirgli un’identità più definita è stata la riforma universitaria del 3+2 che ha reso obbligatorie le esperienze di stage all’interno del piano di studi. Così centinaia di ore di tirocinio sono state inserite all’interno dei curricula formativi degli studenti come obbligatorie o fortemente consigliate. Secondo l’ultimo Rapporto Almalaurea sul profilo dei laureati italiani, queste esperienze sono sempre più diffuse anche perché riconosciuti dal corso di studi a testimonianza del forte impegno delle università e la crescente collaborazione con il mondo del lavoro (oltre l’80 per cento dei tirocini sono stati svolti al di fuori dell’università). Sono esperienze che entrano nel bagaglio formativo di 60 laureati su cento. Ma soprattutto c’è un dato che sottolinea Almalaurea e cioè che questo tipo di esperienza si associa a un più elevato indice di occupazione. L’ultima indagine 2011, invece, sulla condizione occupazionale dei laureati ha accertato che, a parità di condizioni, chi ha svolto questo tipo di esperienza durante gli studi ha il 13,6% in più di probabilità di lavorare rispetto a chi non vanta un’esperienza analoga.