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 2012  giugno 24 Domenica calendario

I PROF FANNO SLITTARE I TAGLI ALLA SPESA


Quale è il miglior biglietto da visita con cui Mario Monti potrebbe presentarsi al fatidico consiglio europeo del 28 e 29 giugno? Una riforma del lavoro che il capo dei datori di lavoro, il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, definisce «una boiata», e che il ministro del Welfare Elsa Fornero è già disposta a modificare dopo che il Parlamento l’avrà approvata? Oppure il decreto con cui finalmente si taglia la spesa pubblica, come ci chiedono da tempo la Banca centrale europea e le altre istituzioni internazionali, sinora sempre rimandato e dal quale dipende la possibilità di non aumentare l’Iva a ottobre? In teoria non dovrebbe esserci partita. Eppure il primo provvedimento sarà trasformato in legge dai vituperatissimi partiti entro la data pretesa dal premier, in modo che così Monti possa presentarsi a Bruxelles con la medaglietta appuntata sul petto. Invece per il decreto di attuazione della spending review, che stabilisce dove e come sarà ridotta la spesa pubblica, la cui responsabilità ricade tutta sul premier e i suoi colleghi di cattedra e di governo, bisognerà aspettare ancora. Anch’esso, per ovvi motivi, avrebbe dovuto essere varato prima del vertice europeo. Ma la sua approvazione pare adesso destinata a subire l’ennesimo slittamento. «Salvo miracoli dell’ultim’ora», raccontano a Palazzo Chigi, «se ne riparlerà il 2 luglio». La colpa viene data alla fittissima agenda di Monti. «Il presidente», dice uno della sua squadra, «è concentratissimo sul vertice del 28 e 29. Lunedì ci sarà il preconsiglio dei ministri. Martedì mattina deve incontrare i rappresentanti delle regioni. Mercoledì parte per Bruxelles. Quindi…». Quindi tutto spostato al lunedì successivo. Sul quale però – altra novità di ieri – pende la preparazione del vertice bilaterale Italia- Germania del 4 luglio, che vedrà Monti ancora impegnato nell’operazione di convincimento di Angela Merkel. Insomma, forse si slitta ancora. In realtà, i problemi del governo sono politici. I sindacati del pubblico impiego sono sul piede di guerra: vogliono capire bene in cosa consiste il ridimensionamento delle piante organiche annunciato dall’esecutivo e se esso prevede tagli lineari ai dipendenti dei ministeri. Cgil, Cisl e Uil hanno chiesto un incontro con il premier e annunciato mobilitazioni. Gli stessi ministri, che hanno ricevuto da Monti l’incarico di individuare risparmi nei settori di competenza, traccheggiano incapaci di portare a termine il compito. Tanto che il premier, seccato, ha dovuto dare l’esempio, presentando in pubblico per primo la lista dei risparmi di Palazzo Chigi e del ministero dell’Economia. «Come segnale e come anticipo ai nostri colleghi di governo», ha detto davanti alle telecamere. Tradotto: se ce l’ho fatta io, che ho mille altri impegni, voi non avete più scuse. Resta il fatto che sinora la leadership di Monti, su questo fronte, è stata quantomeno carente. Eppure si tratta del provvedimento più importante che è chiamato a fare. Un decreto che riducesse subito le spese era tra le principali richieste avanzate all’Italia da Mario Draghi e Jean-Claude Trichet nella lettera inviata il 5 agosto dalla Bce al premier dell’epoca, Silvio Berlusconi: «L’obiettivo dovrebbe essere (…) un bilancio in pareggio nel 2013, principalmente attraverso tagli di spesa». Poco dopo essersi insediato, Monti ha commesso l’incomprensibile errore di affidare la delega per la spending review al ministro per i Rapporti con il Parlamento, Piero Giarda. Il quale il 9 gennaio annunciò che entro la fine di quel mese sarebbero stati varati «i primi interventi di razionalizzazione delle risorse statali». Invece, anche a causa dei contrasti con il viceministro dell’Economia, Vittorio Grilli, Giarda non è riuscito a cavare un ragno dal buco, finendo per lamentarsi sui giornali di essere stato abbandonato: «La spending review è un’operazione complicata alla quale sto lavorando pressoché da solo...». Il risultato è stato che Monti ha dovuto chiamare un nuovo tecnico, Enrico Bondi, a fare quello che i ministri tecnici non si erano dimostrati capaci di realizzare. Un mese fa l’ex amministratore straordinario di Parmalat assicurava che entro giugno sarebbe diventato operativo un primo piano di tagli alla spesa pubblica per un valore di almeno 4,2 miliardi. Indispensabile, a questo punto, non solo per scongiurare il rincaro dell’Iva già messo tra le probabilità, ma anche per finanziare gli interventi di ricostruzione nelle aree colpite dal terremoto di maggio. Pure questo impegno, però, rischia di non essere rispettato. A conti fatti il governo ha perso sei mesi, preferendo dedicare interminabili trattative a provvedimenti come la riforma del lavoro, sulla cui efficacia nessun imprenditore sembra pronto a scommettere.