Carl Bernstein, Bob Woodward, il Fatto Quotidiano 24/6/2012, 24 giugno 2012
WATERGATE DOPO 40 ANNI ECCO LE PROVE
Dal 17 giugno 1972, giorno in cui alle 2:30 del mattino cinque uomini in giacca e cravatta e con guanti di gomma vennero arrestati nella sede del Partito democratico, sono state fornite innumerevoli risposte. DAL 17 GIUGNO 1972, giorno in cui alle 2,30 del mattino cinque uomini in giacca e cravatta e con guanti di gomma vennero arrestati nella sede del Partito democratico di Washington situata all’interno del Watergate Complex che ospitava il Watergate Hotel, sono state fornite innumerevoli risposte. Quattro giorni dopo, la Casa Bianca fornì la sua risposta: “C’è chi potrebbe avere interesse a strumentalizzare questa vicenda”, disse il capo ufficio stampa Ronald Ziegler liquidando l’accaduto come un “furto di terz’ordine”. La storia si incaricò di dimostrare il contrario. Due anni dopo Richard Nixon sarebbe stato il primo e unico presidente degli Stati Uniti a rassegnare le dimissioni per il ruolo svolto in un complotto volto a ostacolare il corso della giustizia.
Da allora ha continuato a circolare, spesso inconfutata, un’altra risposta: quella secondo cui l’attività di insabbiamento e copertura era più grave dei reati che si intendevano coprire. Un’ipotesi che minimizza la gravità dei comportamenti penalmente rilevanti di Nixon. La Commissione Ervin sottolineò l’ordine di grandezza dello scandalo Watergate che aveva rischiato “di alterare il risultato delle elezioni presidenziali del 1972 e, per ciò stesso, il processo attraverso il quale negli Stati Uniti viene eletto il presidente”. E non di meno il Watergate è stato molto di più. Il Watergate è stato infatti l’attacco, sotto la guida di Nixon, al cuore della democrazia americana: la Costituzione, il sistema elettorale e lo Stato di diritto.
Oggi, grazie a documenti venuti alla luce in questi anni, possiamo fornire risposte certe e prove inoppugnabili sul Watergate e sul suo significato. Le trascrizioni di centinaia di ore di conversazioni registrate da Nixon, i verbali delle sedute del Senato e della Camera dei Rappresentanti, le carte dei processi contro 40 esponenti dell’amministrazione Nixon tutti condannati a pene detentive e le memorie di Nixon costituiscono materiale più che sufficiente a chiarire i contorni dello scandalo e a consentirci di affermare che il presidente Nixon fu il regista di una campagna di spionaggio politico, di sabotaggio e di altre attività illegali contro i suoi rivali veri o presunti. Nei suoi cinque anni e mezzo di presidenza, Nixon scatenò cinque guerre: contro il movimento pacifista, contro i media, contro il Partito democratico, contro il sistema giudiziario e infine contro la storia.
LA GUERRA
CONTRO I PACIFISTI
La prima guerra di Nixon fu quella contro il movimento pacifista che si opponeva alla guerra del Vietnam. Il presidente considerava i pacifisti deisovversivienel1970approvòunpianotop-secret,loHustonPlan,cheautorizzavalaCIA,l’FBI e le unità dei servizi segreti militari a intensificare la sorveglianza elettronica degli individui ritenuti “una minaccia per la sicurezza interna”. Il piano prevedeva, tra l’altro, la violazione del segreto postale. Thomas Clarence Huston, il consigliere della Casa Bianca autore del piano, mise Nixon al corrente del fatto che si trattava di attività illegali, ma il presidente lo approvò ugualmente. In un memorandum del 3 marzo 1970, il consigliere Patrick Buchanan parlò al presidente di quello che lui definiva “il potere istituzionalizzato della sinistra concentrato in mano alle fondazioni che appoggiano il Partito Democratico”. A preoccupare Buchanan era in particolare il Brookings Institution, un centro studi con simpatie progressiste. Il 17 giugno 1971 – esattamente un anno prima dello scoppio dello scandalo Watergate – Nixon incontrò nello Studio Ovale il suo capo di gabinetto,H.R.“Bob”Haldeman,eilconsigliereperla sicurezza nazionale Henry Kissinger. All’ordine del giorno un dossier sul modo in cui l’ex presidente Lyndon Johnson nel 1968 aveva deciso la parziale sospensione dei bombardamenti in Vietnam.
“Con questa roba puoi ricattare Johnson”, disse Aldeman. “È vero”, aggiunse Kissinger. “Sono tre anni che Bob e io stiamo tentando di mettere insiemequestodossiercontroJohnson”.EAldeman di rimando: “Huston giura che c’è del materiale interessante al Brookings Institution”. “Bob – disse Nixon – ricordi il Piano Huston? Non devi fare altro che metterlo in pratica. Voglio quei dossier a qualunque costo. Dannazione, li voglio anche se dobbiamo rubarli”. E tredici giorni dopo, come risulta da un’altra intercettazione, il presidente disse a Haldeman e Kissinger: “Entrate al Brookings Institution e prendete quella roba. È chiaro?”.
LA GUERRA
CONTRO I MEDIA
La seconda guerra di Nixon fu quella scatenata contro la stampa che con sempre maggiore insistenza criticava la guerra e appoggiava le ragionideimovimentipacifisti.Suiniziativadelconsigliere della Casa Bianca, John Ehrlichman, fu creata una squadra speciale, “Gli Idraulici”, che in seguito sarebbe stata utilizzata per entrare illegalmente nel Watergate Complex. La squadra fu affidata al comando dell’ex agente della CIA Howard Hunt e all’ex agente dell’FBI G. Gordon Liddy. Hunt fu assunto come consulente dal consigliere politico di Nixon, Charles Colson, un uomo da “non facciamo prigionieri” e proprio per questomoltovicinoallasensibilitàdelpresidente.Primo compito della squadra speciale fu quello di distruggere la reputazione di Daniel Ellsberg che aveva fornito alla stampa nel 1971 i “Pentagon Papers”, una sorta di storia segreta della guerra del Vietnam. La pubblicazione dei documenti da parte del New York Times, del Washington Post e poi di altri giornali, aveva fatto infuriare Nixon che – come risulta dalle registrazioni – si era scagliato con inaudita violenza verbale contro Ellsberg, il movimento pacifista, la stampa, gli ebrei, la sinistra americanaeiprogressistidelCongresso.Sebbene Ellsberg fosse già stato rinviato a giudizio con l’accusa di spionaggio, la squadra speciale sotto il comandodiHunteLiddyfeceillegalmenteirruzione nello studio del suo psichiatra alla ricerca di informazioni da utilizzare per minare la credibilità suaedelmovimentopacifista.“Nonpossiamofargliela passare liscia, Bob”, disse Nixon ad Haldeman il 29 giugno 1971. “Non possiamo permetterechequestoebreolafacciafranca.Haicapito?” E poi: “Alla gente non piacciono questi tipi della costa orientale. Lui ha studiato a Harvard. È un ebreo. Ed è un intellettuale arrogante”.
Le sfuriate antisemite di Nixon erano ben note a tuttiisuoicollaboratori,ancheaquellidireligione ebraica. Il 3 luglio del 1971 parlando con Haldeman, il presidente disse: “Il governo è pieno di ebrei. La maggior parte degli ebrei sono sleali. Sai cosa intendo dire? Con le dovute eccezioni, non possiamo fidarci di quei bastardi”. E le rivelazioni di Ellsberg non fecero che rafforzare i suoi pregiudizi e la sua paranoia.
Già nel 1969 Kissinger aveva ordinato di mettere sotto controllo il telefono di 17 giornalisti e consiglieri della Casa Bianca senza la prevista autorizzazione della magistratura. In una conversazione del 22 febbraio 1971 nello Studio Ovale, Nixon dissechiaramentecomelapensava:“Sulbreveperiodo sarebbe più facile gestire questa guerra in maniera dittatoriale uccidendo tutti i giornalisti e portando avanti le operazioni belliche”.
LA GUERRA CONTRO
I DEMOCRATICI
Le armi della terza guerra di Nixon – quella contro il Partito democratico – furono “Gli Idraulici”, le intercettazioni e le effrazioni. All’inizio del 1972, John N. Mitchell, all’epoca ministro della Giustizia, incontrò al ministero Gordon Liddy il quale gli illustrò un piano, nome in codice “Gemstone”, dal costo di un milione di dollari, per spiare e sabotare gli avversari politici durante la campagna presidenziale. Stando al rapporto del Senato sul Watergate e all’autobiografia di Liddy del 1980, il piano era suddiviso in diverse operazioni: l’“Operazione Diamante” si proponeva di neutralizzare quanti protestavano contro la guerra aggredendoli e, se necessario, sequestrandoli; l’“Operazione Carbone” consisteva nel far arrivare finanziamenti a Shirley Chisholm, una deputata nera del Congresso in corsa per la nomination democratica, allo scopo di creare nel Partito democratico spaccature razziali e di genere; l’“Operazione Opale” aveva compiti di sorveglianza elettronica anche nei confronti di candidati Democratici quali Edmund Muskie e George McGovern; l’“Operazione Zaffiro” aveva lo scopo di ancorare al largo di Miami Beach durante la Convenzione del Partito democratico uno yacht con a bordo diverse prostitute e sul quale sarebbero stati installati microfoni per registrare le conversazioni.
Mitchell respinse il piano e disse a Liddy di bruciare gli incartamenti. Tre settimane dopo Liddy presentò una versione ridotta del piano, ma anche questa fu bocciata da Mitchell che infine, secondo Jeb Magruder, viceresponsabile della campagna, approvò una versione del piano dal costo di 250 mila dollari. Questa circostanza fu in seguito negata da Mitchell sotto giuramento.
Il 10 ottobre 1972 scrivemmo sul Washington Post un articolo nel quale dicevamo che le operazioni dispionaggiocondottedaNixonedallaCasaBianca, in particolare nei confronti di Muskie, erano state numerosissime e che il Watergate non era stato un caso isolato. Nel pezzo dicevamo che almeno 50 agenti, molti dei quali agli ordini di un giovane avvocato californiano di nome Donald Segretti, avevano preso parte alle operazioni di spionaggio e sabotaggio. Qualche giorno dopo scrivemmo che Segretti era stato contattato da Dwight Chapin, segretario di Nixon. Herbert Kalmbach, avvocato personale di Nixon, aveva versato a Segretti per queste attività illegali 43 mila dollari provenienti dai fondi per la campagna elettorale. Durante tutta l’operazione Segretti rimase continuamente in contatto con Howard Hunt. La commissione d’inchiesta del Senato fornì ulteriori prove in ordine alle iniziative prese dagli uominidiNixonperostacolareMuskieche,nel1971 e fino all’inizio del 1972, era considerato dalla Casa Bianca il rivale più pericoloso. L’autista personale di Muskie, Elmer Wyatt, ricevette in quel periodo mille dollari al mese per fotografare promemoria e documenti riservati e fornire informazioni a Mitchell e ai responsabili della campagna di Nixon. In un promemoria del 12 aprile 1972, Patrick Buchanan e un altro consigliere di Nixon scrivevano a Haldeman e Mitchell: “Il primo e principale obiettivo consistente nell’impedire al senatore Muskie di vincere le iniziali primarie e di riunire il Partito democratico alla Convention di aprile, è stato raggiunto”.
Le registrazioni rivelano anche l’ossessione di Nixon per un altro democratico: il senatore Edward Kennedy. Uno dei primi incarichi di Hunt fu proprio quello di sfruttare al meglio l’incidente d’auto nel quale nel 1969 perse la vita a Chappaquiddick una giovane assiste di Kennedy, Mary Jo Kopechne. In realtà Kennedy aveva dichiarato che non intendeva presentare la sua candidatura alla presidenzanel1972,maeraevidentecheavrebbe comunque svolto un ruolo di primo piano nella campagna elettorale e comunque non aveva escluso una sua candidatura nel 1976. “Mi piacerebbe far registrare le conversazioni telefoniche di Kennedy”, disse Nixon a Haldeman nell’aprile del1971.Neisuoidiari,uscitinel1994,Haldeman scrisse anche che Nixon voleva che Kennedy fosse fotografato in situazioni compromettenti.
Equando,nelcorsodellacampagnaelettoraleper il candidato democratico McGovern, a Kennedy i Servizi segreti assegnarono una scorta, gli uomini di Nixon fecero in modo di far entrare tra le guardie del corpo di Kennedy un loro uomo: l’agente in pensione Robert Newbrand. “Ci penso io a parlareconNewbrand”,disseHaldeman.“Luifatutto quello che gli dico di fare”. “Con un pizzico di fortuna possiamo bruciare la candidatura di questo figlio di puttana per le presidenziali del 1976”, rispose Nixon. “Ci sarà di divertirsi”. L’8 settembre 1971, Richard Nixon ordinò a Ehrlichman di incaricare le autorità fiscali di indagare sulla situazione fiscale e patrimoniale di tutti i candidati democratici, Kennedy compreso.
LA GUERRA
CONTRO LA GIUSTIZIA
L’arresto dei cinque “idraulici” sorpresi nel Watergate Complex mise in moto la quarta guerra di Nixon, quella contro il sistema giudiziario americano. Fu una guerra di menzogne e di corruzione che aveva lo scopo di nascondere il ruolo svolto dagli uomini vicini al presidente e dal presidente stesso nelle operazioni illegali che Mitchell, nel corso delle audizioni dinanzi al Congresso, definì “gli orrori della Casa Bianca”. Il 23 giugno 1972, sei giorni dopo l’arresto dei cinque “idraulici”, Haldeman – ne fanno fede le registrazioni – disse a Nixon: “Siamo nei guai perchè non abbiamo il controllo dell’FBI che è riuscita a tracciare il denaro”. Haldeman aggiunse che era necessario sostenere – come suggerito da Mitchell – che la prosecuzione delle indagini da parte dell’FBI rischiavadidivulgareoperazionisegretedellaCIAequindi di compromettere la sicurezza nazionale. Mitchell suggeriva un comunicato stampa della CIA in tal senso.
Nixon si disse d’accordo e gli disse di telefonare al direttore della CIA, Richard Helms, e al suo vice Vernon Walters: “Vacci giù duro”, disse il presidente. “Loro giocano sempre duro e noi dobbiamo fare lo stesso”.
Il 1° agosto 1972, a sei settimane dall’arresto degli “idraulici” e il giorno stesso in cui il Washington Post pubblicava il primo articolo nel quale si diceva, tra l’altro, che sul conto corrente di uno degli arrestati erano stati trovati bonifici provenienti dai fondi della campagna elettorale di Nixon, Nixon e Haldeman parlarono nello Studio Ovale dell’ipotesi di comprare il silenzio degli arrestati. “Li dobbiamo pagare”, disse Nixon. “non c’è altro da fare”.
Il 21 marzo del 1973 inunadelleregistrazioni più memorabili dello scandalo Watergate, Nixon ricevette il consigliere John W. Dean che aveva avuto l’incarico di coprire e insabbiare lo scandalo. “Ci stanno ricattando” sia Hunt che gli “Idraulici”, disse Dean. “Di quanti soldi hai bisogno?”, rispose Nixon. “Direi che nei prossimi due anni questa gente cicosteràunmilionedi dollari”, fu la replica di Dean. “Meglio procurarseli in contanti. So come fare. Non è facile, ma si può fare”, aggiunse il presidente. A quel punto nello Studio Ovale entrò Haldeman e il discorso si spostò sul modo in cui “sistemare la faccenda con quei cretini che stanno in prigione”. I tre parlarono dell’ipotesi di usare un fondo segreto di 350 mila dollari esistente alla Casa Bianca e di servirsi di alcuni sacerdoti per pagare gli “idraulici” riciclando prima il denaro a Las Vegas o presso qualche bookmaker di New York. AllafinedeciserodiaffidareaMitchelllasoluzione del problema.
LA GUERRA
CONTRO LA STORIA
L’ultima guerra di Nixon – in corso ancora oggi ad opera di qualche suo ex consigliere e di alcuni revisionisti e negazionisti di complemento - punta a minimizzare la portata del Watergate. Nixon morì venti anni dopo lo scoppio dello scandalo e in quei venti anni si prodigò con tutte le sue forze per “ripulire” la sua immagine. Pur avendo accettato il perdono presidenziale concessogli dal presidente Gerald Ford, Nixon continuò a ribadire che non aveva commesso alcun reato. Nellacelebreintervistatelevisivaconcessanel1977a David Frost, Nixon disse che “aveva deluso gli americani”, ma che non aveva ostacolato la giustizia. “Non ho coperto nè insabbiato nulla. Se avessi voluto farlo ci sarei riuscito”.
Nel suo libro di memorie, “RN”, uscito nel 1978, Richard Nixon chiarì il suo ruolo nel Watergate: “Le mie azioni e omissioni, ancorché deplorevoli e magari indifendibili, non erano tali da portare all’impeachment”. Dodici anni dopo nel libro “In the Arena” denunciò una dozzina di “miti” sul Watergate e ribadì la sua innocenza. Uno dei miti – scrisse – era quello secondo cui aveva ordinato di pagare Hunt e altri. Eppure la registrazione del 21 marzo 1973 prova chiaramente che ordinò a Dean di pagare Hunt e gli altri.
Ancora oggi c’è chi difende Nixon minimizzando l’importanza del Watergate o sostenendo che agli interrogativi chiave non è ancora stata data risposta. Quest’anno è uscito un romanzo dal titolo “Watergate” a firma di Thomas Mallon. Il romanzo è divertente e alcuni dei personaggi sono reali. Frank Gannon, già consigliere di Nixon che ora lavora per la Fondazione Nixon, lo ha recensito per il Wall Street Journal: “Dal romanzo “Watergate” si ricava che sono ancora molte le cose che non sappiamo sugli avvenimenti del 17 giugno 1972”, ha scritto Gannon. “Chi ordinò l’effrazione nel Watergate Complex? Quale ne era il vero scopo? In che misura la CIA era coinvolta? E come mai un politico scaltro e duro come Richard Nixon si fece travolgere da un ‘furto di terz’ordine?’”. Ovviamente Gannon ha ragione quando dice che ci sono ancore domande che attendono una risposta. Ma non si tratta di domande di grande rilievo. Le coseimportantilesappiamo.Nell’estate1974non furono né la stampa né i Democratici a rivoltarsi contro Nixon, ma il suo partito. Il 27 luglio 1974 i Repubblicani della Commissione Giustizia della Camera si unirono ai Democratici per chiedere l’impeachment di Nixon. Ad agosto fu il senatore repubblicano Barry Goldwater a dire: “Troppe bugie,troppireati”.Il7agostoungruppodisenatori Repubblicani si recò alla Casa Bianca. Nixon chiese su quanti voti potevano contare al Senato e Goldwater rispose “non più di quattro o cinque degli Stati del sud. E io stesso sono tra gli indecisi”.
Il giorno dopo Nixon parlando alla televisione annunciò le sue dimissioni. Ma “perché lo scandalo Watergate?”, si sono chiesti in molti. Il senatore Sam Ervin, stimato costituzionalista, ha risposto: “Il presidente e i suoi consiglieri avevano l’ossessione del potere. Questa ossessione li rese ciechi rispetto a qualunque considerazione di tipo etico e legale e li rese incapaci di ricordare che secondo Aristotele scopo della politica è il bene dell’uomo”.
Il Watergate di cui scrivemmo tra il 1972 e il 1974 era appena una parte di una realtà che si è poi rivelata assai peggiore. Quando Nixon fu costretto a dimettersi, la Casa Bianca era di fatto diventata una associazione per delinquere.
© Washington Post/Distribuzione Adnkronos
Traduzione di Carlo Antonio Biscotto