Giovanni Sartori, Corriere della Sera 26/6/2012, 26 giugno 2012
GLOBALISTI SI’ MA NON TROPPO
Non ieri ma diciannove anni fa (nel 1993) scrivevo che la globalizzazione economica — non quella finanziaria, che è cosa diversa — mi pareva un errore per questa semplice ragione (in condensatissima sintesi): che a parità di tecnologia i Paesi a basso costo di lavoro avrebbero messo in disoccupazione i Paesi benestanti, perché la manifattura si sarebbe dovuta trasferire nei Paesi poveri e così, ripeto, i lavoratori dei Paesi benestanti sarebbero restati senza lavoro.
Ho fatto questo rilievo in parecchie altre occasioni, ma sempre parlando a dei sordi. Eppure l’argomento era semplice e ovvio. Oggi la abnorme disoccupazione dell’Occidente e il trasferimento della manodopera nei Paesi nei quali costa anche dieci volte meno è sotto gli occhi di tutti. Ma gli economisti non l’avevano previsto e ora fanno finta di nulla. La loro ricetta per l’Occidente è di diventare sempre più inventivo e all’avanguardia. Ma è un alibi che non tiene. Anche loro, come tutti, sanno che da gran tempo il Giappone e successivamente anche Cina e India sono tecnologicamente bravi quanto noi. Resta il fatto che ormai la frittata è fatta.
In questa frittata gli italiani sono tra i peggio messi. Noi siamo chiaramente in recessione. Per uscirne e risalire la china la parola d’ordine è: investire-crescere, investire-crescere. Tante grazie; ma i soldi dove sono? Lo Stato è stracarico di debiti e non ha in cassa nemmeno i soldi per pagare i suoi fornitori in tempi ragionevoli. Se si prescinde dalla caccia agli evasori fiscali (sacrosanta ma che acchiappa soprattutto pesci piccoli, perché i grandi evasori sono tranquillamente parcheggiati nei paradisi fiscali) il presidente Monti deve anche lui ricorrere a nuove tasse, più salate che mai. Ma oramai stiamo spremendo sangue da una rapa. Ammettiamo che la rapa sopravviva. Anche così il circolo è perverso: riattiviamo produzioni che per sopravvivere si dovranno, quantomeno in parte, delocalizzare. Così torniamo al punto di prima con sempre più giovani senza lavoro.
Tornare alla lira, tornare alla dracma? Sarebbe, temo, una ulteriore follia. Mentre nessuno ha pensato a una unione doganale dell’eurozona. Nessun dazio, nessuna dogana, all’interno di eurolandia. Ma, occorrendo, dazi e protezioni per salvare, in Europa, quel che non ci possiamo permettere di perdere.
Vale ricordare che il primo Paese industriale è stato l’Inghilterra. E tutti gli altri hanno protetto la creazione del proprio sistema industriale. Allora nessuno disse che questa protezione era una cosa orrenda. Era necessaria e fu benefica. Mi chiedo: come mai nessuno (o quasi) propone una unione doganale europea? Sarà sicuramente una costruzione complicata. Ma come non averla quando Stati Uniti e Inghilterra sono a oggi liberissimi di proteggere se stessi, occorrendo, alzando barriere protettive, o anche svalutando, senza chiedere permessi a nessuno, la propria moneta? È così per tutto il mondo che conta (economicamente). Deve essere proibito solo a noi europei? Perché?
Ho già concesso che la nostra protezione doganale sarà una costruzione difficile. Ma cominciamo almeno a pensarci.