Fabio Monti, Corriere della Sera 26/6/2012, 26 giugno 2012
IL CUCCHIAIO DI PIRLO FA IL GIRO DEL MONDO
Evoluzione dell’arte culinaria applicata al calcio. Dal biscotto, che non c’è stato fra Spagna e Croazia (18 giugno), al cucchiaio di Kiev. Quello di Andrea Pirlo, per dire del rigore battuto con tocco smorzato e centrale, che ha riportato in vita l’Italia, dopo l’errore di Montolivo e il 2-1 di Rooney. Del resto il penalty, battuto a palombella, è nato proprio all’Europeo 1976: il primo a realizzarlo è stato il ceco Antonin Panenka, perito elettrico, classe 1948, che nella finale del 20 giugno aveva calciato così il rigore decisivo (successivo all’errore di Hoeness) contro il portiere della Germania Ovest campione del mondo, Sepp Maier, consegnando il titolo alla Cecoslovacchia, dopo il 2-2 dei supplementari. A favore di Panenka, aveva giocato il fatto che di calcio internazionale in tv se ne vedeva pochissimo. Panenka aveva cominciato a tirare i rigori in quel modo, già con il Bohemians due anni prima, ma, al contrario di quanto accade oggi, dove si vede tutto e si sa tutto di tutti, nessuno lo aveva saputo. Per rivedere un rigore battuto con il cucchiaio in un Europeo, è stato necessario attendere il 29 giugno 2000, con il penalty di Totti nella semifinale contro l’Olanda, che aveva lasciato incredulo Van der Sar e aveva spinto l’Italia verso l’ultimo atto. A insegnargli questa tecnica era stato Rudi Völler alla Roma, ma quello di Totti era sembrato un gesto di audacia, vicino alla temerarietà, come lui stesso avrebbe confessato il giorno dopo: «Se avessi sbagliato, non sarei più uscito di casa».
Forse per questo ieri Totti è stato il primo a complimentarsi con Pirlo («Cucchiaio d’oro, lui rende tutto semplice»). Il rigore, battuto in quel modo, è stato una sorpresa per tutti, anche perché non sarebbe stato facile ricordare in quell’attimo che il regista lo aveva già fatto con Buffon nella Supercoppa 2003, giocata a New York e in un Milan-Reggina 2007. Prandelli ha raccontato: «Al momento anch’io sono rimasto sorpreso da questa scelta, però Andrea ha spiegato che era un modo per mettere pressione agli inglesi e devo dire che è stata un’idea geniale». C’è stata anche una motivazione tecnica alla base della scelta di Pirlo, che in Italia-Francia al Mondiale 2006, aveva invece tirato forte con Barthez in porta (primo rigorista): Hart cercava di occupare il più possibile lo spazio, muovendo molto le braccia, come aveva fatto Dudek con il Liverpool nel 2005: un modo per creare pressione sul tiratore. Pirlo, che non fa mai niente per caso quando si trova in campo, ha ribaltato la situazione e ieri ha raccolto elogi da tutto il mondo, primo fra tutti dall’Indipendent, che lo ha definito «un pianista». E poi, via twitter, ecco Xavi: «Que gran penalty de Pirlo... fenomeno!».
Sui rigori, post partita, il dibattito è aperto. Il presidente della Fifa, Joseph Blatter, ha detto che sarebbero da abolire, senza proporre una valida alternativa; molti li considerano una lotteria; in realtà, pur rappresentando un momento a sé stante, non sono del tutto estranei alla partita. Perché nel momento di calciare i rigori senza più appello, chi va sul dischetto si trascina emozioni, tensioni, fatica, stress, coraggio. È per questo che hanno sbagliato dagli undici metri campioni come Platini (Francia-Brasile al Mondiale 1986), Maradona (Tolosa-Napoli, Coppa Uefa ’86-’87), Roberto Baggio (Italia-Brasile, finale mondiale 1994).
Ci sono situazioni nelle quali la porta sembra restringersi e altre nelle quali si allarga. Lo ha raccontato tante volte Lippi, parlando del momento in cui si era trovato a scegliere i rigoristi nella finale di Berlino con la Francia: «Ho avuto la sensazione che ce l’avremmo fatta a vincere, perché fra i giocatori c’era la corsa a voler battere i rigori. Tutti che dicevano: sono pronto. A volte, quando subentra la paura, c’è la tendenza a defilarsi». Ed è per questo che allenarsi sui rigori è condizione necessaria, ma non sufficiente per riuscire a fare centro. Lo sanno bene gli inglesi e pure Hodgson. Quando il momento è decisivo, è tutta un’altra storia.
Fabio Monti