Paolo Di Stefano, Corriere della Sera 26/6/2012, 26 giugno 2012
Leggere le interviste ai grandi scrittori, quando si tratta di conversazioni ampie e distese, è un piacere impareggiabile
Leggere le interviste ai grandi scrittori, quando si tratta di conversazioni ampie e distese, è un piacere impareggiabile. La Paris Review è, in questo, un esempio di straordinario fascino, perché le sue interviste accompagnano il lettore dentro il mondo privato, le abitudini, il laboratorio, i pensieri e le convinzioni degli autori. Fa dunque benissimo la Fandango a persistere nell’impresa di riproporle ai lettori italiani, giungendo ora al quarto volume, densissimo, come sempre. Meglio che un corso di scrittura, e più economico. Lezione numero 1. Non avere fretta. Quante pagine al giorno scrive William Styron? «Quando procedo spedito in media scrivo due pagine e mezza, tre pagine al giorno(…). Cerco di sentire quello che succede nella storia prima di metterlo su carta, ma poi, in realtà, gran parte di quel tempo di preparazione non è altro che un lungo, fantastico sogno a occhi aperti dove penso a tutto tranne che al lavoro». Lezione numero 2. Non affidarsi al sentimento. Ezra Pound, consigli ai giovani? «Non basta buttare lì i propri mal di pancia e i propri stati d’animo. Come recitava il motto della rivista Punchbowl dell’Università di Pennsylvania: "Qualsiasi emerito stupido può essere spontaneo"». Lezione numero 3. Non sottovalutare lo strumento di scrittura. Paul Auster: «Scrivo a mano, in genere con una stilografica, a volte a matita, specialmente per segnare le correzioni. Se potessi scrivere direttamente a macchina o al computer, lo farei, ma non sono mai riuscito a pensare bene con le dita in quella posizione». Lezione numero 4. Non trascurare il luogo in cui si crea. Jack Kerouac, dove preferisce scrivere? «La scrivania in camera, vicino al letto, con una buona lampada, da mezzanotte all’alba, qualcosa da bere quando comincio a sentirmi stanco, di preferenza a casa, ma se non sono a casa, anche una camera d’albergo o di un motel può diventarlo». Lezione numero 5. Non dare mai nulla per scontato. Philip Roth, Lei deve avere un inizio? «Per quel che ne so, io parto dalla fine. Un anno dopo la mia prima pagina può diventare la duecentesima, ammesso che ci sia ancora (…). La fluidità può essere il segnale che non sta succedendo niente se non addirittura che devo fermarmi, mentre invece quando brancolo nel buio, da una frase all’altra, allora capisco che devo andare avanti». Lezione numero 6. Non essere subito soddisfatti di sé. Murakami Haruki, quante revisioni fa in genere? «Quattro o cinque. Ci metto sei mesi a scrivere la prima stesura e poi sette o otto a riscriverla». Se poi leggete le risposte di Marianne Moore, Wodehouse, Naipaul, Pamuk, Grossman e gli altri, vi convincerete che: 1. è indispensabile lasciar correre la scrittura senza stare troppo a pensarci; 2. il sentimento è tutto; 3. penna o computer fa lo stesso; 4. idem il luogo; 5. è necessario procedere da una idea generativa; 6. la prima redazione è sempre la migliore.