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 2012  giugno 25 Lunedì calendario

Notizie tratte da: Giovannangelo Camporeale, Gli Etruschi. Storia e civiltà, Utet 2011, pp. 616, 39 euro

Notizie tratte da: Giovannangelo Camporeale, Gli Etruschi. Storia e civiltà, Utet 2011, pp. 616, 39 euro.

(riduzione di 5000 battute per La Stampa)

SQUILLI Per gli Etruschi l’uomo non poteva vivere più di 84 anni, la loro civiltà sarebbe durata dieci secoli (ciascuno dei quali poteva però contare 100 anni o di più o di meno), il passaggio da un secolo all’altro annunciato da fenomeni come squilli di tromba dal cielo o l’apparizione di una cometa. Il tutto per volontà e rappresentazione del Dio supremo.

FULMINI/1 Seneca: «Questa è la differenza tra noi e gli etruschi: noi riteniamo che i fulmini siano emessi perché le nubi entrano in collisione, essi invece ritengono che le nubi entrano in collisione per emettere i fulmini».

FULMINI/2 Aulo Cecina precisa che i fulmini sono di tre specie: il primo «consiglia»; il secondo «conferma»; il terzo «ammonisce».

ARUSPICINA Alla volontà degli Dei gli etruschi ci arrivano attraverso l’osservazione e l’interpretazione degli organi interni degli animali e in particolare del fegato (epatoscopia), dei fulmini (arte fulgurale), dei prodigi (arte ostentaria), delle sorti (cleromanzia), del volo degli uccelli (auspicio), del fumo dell’incenso bruciato (libanomanzia), dell’osservazione dell’interno lucido di una coppa o bacinella (lecanomanzia). «Operazioni comprese nel termine generale di “aruspicina” e che competono a professionisti di elevato rango sociale. Essi sono così bravi che sono presenti anche a Roma per essere interpellati su ogni evento eccezionale e un decreto del Senato romano imponeva che dieci giovani romani di nobili origine fossero mandati in Etruria per essere istruiti nella disciplina».

POTERI Il re, detto lucumone, alla testa di ciascun centro etrusco, aveva potere politico, militare, giudiziario, religioso. Insegne del potere come fasci littori, sella, curule, toga purpurea, sono arrivate a Roma dall’Etruria al tempo del re etrusco Tarquinio Prisco. Poi anche in Etruria, tra la fine del VI e primi del V secolo A.C., c’è il passaggio dalla monarchia alla repubblica.

POPOLO Furono un popolo dell’Italia antica affermatosi in Toscana, Umbria e Lazio settentrionale. La loro civiltà nacque nel X secolo A.C. e fu definitivamente inglobata in quella romana al termine del I secolo A.C.

FERRO L’occupazione principale degli Etruschi era la produzione di metalli. Furono i maggiori produttori di ferro del Mediterraneo.

MINESTRA La minestra di farro è il tipico piatto etrusco. Poi lenticchie, ceci, fave; miele, grasso e olio di oliva (arrivato dalla Grecia). Per i più ricchi pure carni bovine, suine, ovine e selvaggina (cervi e cinghiali). Tra i prodotti caseari, rinomati i formaggi di Luni. Nel mar Tirreno pescavano i tonni.

VINO Tra le bevande l’unica di cui si è certi è il vino. Anche questo arrivato dalla Grecia e poi prodotto e largamente esportato. Non è bevuto puro ma mescolato con acqua, in genere in quantità doppia rispetto a quella del vino.

GRASSI Sugli etruschi a tavola hanno espresso giudizi negativi scrittori del II e I secolo A.C.: Posidonio indica fra le cause della loro decadenza il fatto che essi passavano la vita a bere; «le conseguenze della loro dedizione ai piaceri della mensa si colgono nell’immagine dell’etrusco grasso in contrapposizione a quella dell’umbro parco» (Catullo).

IMPASTARE Gli etruschi cucinavano e impastavano il pane con un l’accompagnamento di uno strumento musicale (l’aulos).

DONNE Ai banchetti le donne prendono parte alla conversazione, sdraiate o sedute su un trono, riccamente vestite, e sono oggetto di affettuosa attenzione. Lo sottolinea, con biasimo, pure Aristotele. Greci e romani neanche le facevano entrare. Da qui la nomea spregiativa di forti bevitrici.

PECE Il moralista Teo Pompo accusava le donne etrusche di un’eccessiva cura della persona (arrivando fino ad ossigenarsi i capelli) come pure gli uomini che si rasavano il corpo e lo ungevano con la pece.

ORGE Gli etruschi concludono spesso le riunioni conviviali con incontri d’amore in comune senza che le singole coppie si appartino (in pratica delle orge).

CAPELLI I capelli delle donne sono tirati all’indietro e terminano in trecce. Una lunga quasi fino all’altezza dei piedi, le altre tre o quattro scendono davanti fino all’altezza del petto e terminano in un ricciolo.

PERIZOMA/1 Generalmente i maschi indossano un panno intorno ai fianchi, il perizoma o una veste lunga fino ai piedi di lana (il chitone). Pure le donne indossano il chitone con l’aggiunta di una cintura. Il perizoma cade in disuso nel VI secolo A.C. per influenza greca, ed è sostituito da un chitone cortissimo. Il materiale più largamente usato è il lino. Tra le calzature lo stivaletto, la pantofola, i sandali, poi, successivamente, scarpe con punta rivolta all’insù.

PERIZOMA/2 Rappresentazioni teatrali, in genere satiresche, con personaggi dalla coda posticcia attaccata a un perizoma.

PAROLE «L’interpretazione dell’etrusco come lingua, malgrado l’impegno di centinaia di studiosi in diversi secoli, è una meta ancora lontana. Le incertezze sono numerose soprattutto nel lessico. Se si prescinde dai nomi propri sono veramente poche le parole di cui si conosce il significato».

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Nel mondo etrusco la vita umana, nella molteplicità delle sue manifestazioni pubbliche e private, è regolato da una costante presenza di forze divine, che impongono e condizionano certe azioni. Tutto è prestabilito: l’uomo non può vivere più di 84 anni, la civiltà etrusca deve durare dieci secoli (ciascuno dei quali può contare 100 anni o anche di più o di meno), il passaggio da un secolo all’altro è annunciato da fenomeni straordinari come squilli di tromba dal cielo, o l’apparizione di una cometa. Il mondo nel suo complesso, dal cielo alla terra agli animali e infine all’uomo, è una creazione distribuita per “secoli”, voluta e organizzata dal dio supremo.

Il rapporto tra divinità e uomo può essere colto in tutta la sua essenza in un passo di Seneca sui fulmini: “questa è la differenza tra noi (i romani) e gli etruschi, che sono espertissimi nell’arte fulgurale: noi riteniamo che i fulmini siano emessi perché le nubi entrano in collisione, essi invece ritengono che le nubi entrano in collisione per emettere i fulmini; siccome attribuiscono tutto alla divinità, sono convinti che gli avvenimenti non hanno un significato in quanto tali, ma che accadono per significare qualcosa”. Pertanto, dovere dell’uono è conoscere la volontà degli Dei per poter adeguarvi il proprio comportamento.

A questo si può arrivare attraverso l’osservazione e l’interpretazione degli organi interni degli animali e in particolare del fegato (epatoscopia), dei fulmini (arte fulgurale), dei prodigi (arte ostentaria), delle sorti (cleromanzia), del volo degli uccelli (auspicio), del fumo dell’incenso bruciato (libanomanzia), dell’osservazione dell’interno lucido di una coppa o bacinella (lecanomanzia). Tali operazioni, che possono essere comprese nel termine generale di “aruspicina”, competono a professionisti, quasi certamente di elevato rango sociale. Essi svolgevano il loro compito con tale scrupolo e tecnica che si erano guadagnati una fama che supera i confini nazionali: difatti sono presenti a Roma e sono interpellati su ogni evento eccezionale. Del resto un vecchio decreto del Senato romano, ricordato da Cicerone, da Valerio Massimo e da Tacito, imponeva che dieci giovani romani di nobili origine fossero mandati in Etruria per essere istruiti nella disciplina.

Aulo Cecina precisa che i fulmini sono di tre specie: il primo “consiglia” di compiere o meno un’azione che è stata pensata; il secondo “conferma” se un evento debba avere conseguenze positive o negative; il terzo “ammonisce” su un pericolo da evitare.

Un aspetto evidente nella società dei villaggi nella più antica fase villanoviana è una sorta di egualitarismo, che si manifesta nella generalizzazione della forma di abitazione (capanna), del rito funebre (incinerazione), del tipo di cinerario (biconico), della relativa povertà dei corredi funerari.

Il re, detto lucumone, alla testa di ciascun centro etrusco, re che, come quello di Roma, da prima dovrebbe aver avuto potere politico, militare, giudiziario, religioso, potere che secondo una glossa di Esichio in etrusco era denominato drouna. Del resto le insegne del potere: fasci littori, sella, curule, toga purpurea, sono arrivate a Roma dall’Etruria al tempo del re etrusco Tarquinio Prisco, se ne può dedurre che in Etruria doveva esistere una istituzione analoga alla monarchia romana.

Tra la fine del VI e primi del V secolo A.C. c’è il passaggio dalla monarchia alla repubblica, le cariche da vitalizie diventano annuali o comunque temporanee la magistratura suprema resta unica anche nell’ambito di un collegio

Tra gli sport degli etruschi troviamo una danzatrice che tiene in equilibrio un candelabro mentre un giovane tenta di farne bersaglio con degli anelli, il gioco di Troia (praticato anche a Roma) dove giovanetti di nobile schiatta eseguivano a cavallo complicate che richiamavano il labirinto, ancora un giovane che si arrampica sul palo della cuccagna, infine il gruppo del phersu dove un uomo mascherato, perciò un attore, aizza un cane contro un personaggio con la testa coperta da un sacco

Altri giochi la lotta, il salto in lungo, il lancio del disco, il lancio del giavellotto, la corsa dei carri, la corsa a cavallo, la corsa a piedi. Hanno ovviamente riscontri nel mondo greco. Differenze: le scene di pugilato, presenti in Etruria già dal VII secolo A.C., prevedono la presenza di un auleta che crea un sottofondo musicale. Nella corsa dei carri, in Etruria, il veicolo usato è in genere la triga, l’auriga indossa un corto chitone, le redini sono legato dietro la sua schiena. In Grecia il carro era una biga o una quadriga, l’auriga indossa una lunga veste e le redini pendono dalle sue mani.

Dalla seconda metà del V secolo A.C. diventano frequenti in Etruria le rappresentazioni teatrali. Il genere più diffuso è quello satiresco, i personaggi sono caratterizzati dalla coda posticcia attaccata a un perizoma e dalla barba folta e scomposta. Questo si accompagna alla crescita del culto dionisiaco in Etruria durante il IV secolo A.C.. Spesso il fondo della rappresentazione è reso con una fascia di ovuli.

Nel VII secolo A.C. gli Etruschi passano dalla capanna alla costruzione in muratura.

La capanna. Pianta circolare o ellissoidale o rettangolare con angoli stondati. La superficie è compresa tra mq 30-35 e 80-90. Il materiale è costituito da rami o canne ricoperti di argilla. L’esterno è delimitato da una cunetta che funge da scannafosso. Ingresso unico protetto da un portico. Il pavimento è di terra battuta. Nel centro della capanna si trova il focolare. Porta, qualche finestra e due aperture sul tetto in corrispondenza dei finali del focolare.

Costruzione in muratura. Pianta rettangolare. Fondamenta in pietro mentre il resto è in graticcio o mattoni crudi. I muri potevano essere intonacati con l’argilla. Diversi vani. Il pavimento di terra battuta o di lastroni di pietra.

Divisione degli ambienti: vestibolo (atrio), tablino, cubicolo.

Stando a Plinio i laterizi dovevano essere fissati bene perché in Etruria “i venti soffiavano con tale violenza che potevano spazzare i tetti”.

Sugli etruschi a tavola hanno espresso giudizi negativi scrittori del II e I secolo A.C.: Posidonio indica fra le cause della loro decadenza il fatto che essi passavano la vita a bere; le conseguenze della loro dedizione ai piaceri della mensa si colgono nell’etrusco grasso in contrapposizione a quella dell’umbro parco (Catullo, pag. 181).

La minestra di farro è il tipico cibo degli etruschi.

Lenticchie, ceci e fave.

Carne di bovini, suini, ovini e di selvaggina (cervi e cinghiali).

I ritrovamenti di ami e di pesi da rete per la pesca dei tonni del mar Tirreno.

Latte e prodotti caseari. Rinomati i formaggi di Luni.

Miele, grasso e oliodi oliva (arrivato dalla Grecia). Tra le bevande l’unica di cui si è certi è il vino (anche questo arrivato dalla Grecia e poi prodotto e largamente esportato nel Mediterraneo). Non è bevuto puro ma mescolato con acqua, in genere in quantità doppia rispetto a quella del vino.

Gli etruschi cucinava e impastavano il pane con un accompagnamento musicale (l’aulos era lo strumento).

Ai banchetti le donne prendono parte alla conversazione, sdraiate o sedute su un trono, riccamente vestite, e sono oggetto di affettuosa attenzione. L’affermazione di Aristotele che le donne, in Etruria, banchettavano con i mariti, si giustifica se si tiene presente che nel mondo in cui viveva il filosofo mogli e mariti non banchettavano assieme. Da qui la nomea spregiativa di forti bevitrici delle donne etrusche.

Gli etruschi spesso concludevano le riunioni conviviali con incontri d’amore in comune senza che le singole coppie si appartassero e senza curarsi degli sguardi dei presenti (in pratica un’orgia).

I capelli delle donne sono tirati all’indietro e terminano in trecce. Una lunga quasi fino all’altezza dei piedi, le altre tre o quattro scendono davanti fino all’altezza del petto e terminano in un ricciolo detto ittita.

Dalla seconda metà del vi secolo si afferma lo specchio.

Il moralista Teo Pompo accusava le donne etrusche di un’eccessiva cura della persona (arrivando ad ossigenarsi pure i capelli) come pure gli uomini che si rasavano il corpo e lo ungevano con la pece.

I maschi indossano un panno intorno ai fianchi, il perizoma o, meno frequentemente, una veste lunga fino ai piedi di lana (il chitone). Pure le donne indossano il chitone con l’aggiunta di una cintura. Il perizoma è l’indumento degli atleti, cade in disuso nel VI secolo A.C. per influenza greca ed è sostituito da un chitone cortissimo. Il materiale più largamente usato è il lino. Tra le calzature lo stivaletto, la pantofola, i sandali, poi, successivamente, scarpe con punta rivolta all’insù.

L’interpretazione dell’etrusco come lingua, malgrado l’impegno di centinaia di studiosi in diversi secoli, è una meta ancora lontana. Le incertezze sono numerose soprattutto nel lessico. Se si prescinde dai nomi propri sono veramente poche le parole di cui si conosce il significato.

Notizie tratte da Gli Etruschi. Storia e civiltà, Giovannangelo Camporeale, Utet.