Daniele Sparisci, Corriere Economia 25/6/2012, 25 giugno 2012
AIUTI ALL’AUTO LA (DIS)UNIONE EUROPEA
Si muove l’Europa, cerca soluzioni la Spagna travolta dalla tempesta delle banche, mentre l’Eliseo studia dossier e proposte sulla difficile situazione delle fabbriche francesi. Dopo gli allarmi sulle conseguenze della crisi nel settore dell’auto, è l’ora dell’azione. Almeno al di fuori dei confini italiani.
Appoggio
A Madrid il gotha delle quattro ruote, in occasione dell’assembla dell’Acea — l’associazione dei costruttori europei — ha incontrato il primo ministro Mariano Rajoy e il re Juan Carlos. Non una semplice visita di cortesia: il capo di governo iberico ha manifestato «pieno appoggio» a un’industria che dà lavoro a 2 milioni di famiglie, contando l’indotto e i servizi. E adesso che il mercato è in caduta libera da 23 mesi consecutivi, la prospettiva per la Spagna è di essere superata entro breve dal vicino Marocco. Secondo le previsioni a fine anno si venderanno 750 mila macchine, nel 2008 erano 1 milione e 362 mila. La parola incentivi ha ripreso a circolare, ma mancano i soldi: così si pensa a nuovi sgravi fiscali e a riforme sul lavoro per convincere i costruttori a investire e mantenere attivi gli impianti, di cui la Spagna è piena (è il secondo produttore in Europa). Misure come i 500 milioni di euro che hanno spinto Iveco a potenziare il sito di Madrid. Una boccata d’ossigeno in un paese dove la disoccupazione è a livelli record.
Meno grave, ma altrettanto delicato è il quadro in Francia: il mercato perde il doppio rispetto alla media europea, nei primi cinque mesi del 2012 le immatricolazioni sono calate del 17%. Carlos Ghosn, numero uno di Renault-Nissan prevede ancora «tre-quattro anni di stagnazione davanti». Fra i tanti fronti caldi, c’è quello nel cuore della banlieue parigina, ad Aulnay-sois-Bois: l’impianto del gruppo Psa Peugeot-Citroën, nel quale lavorano 3.300 persone, avrebbe le ore contate. Fino al 2014 continuerà ad assemblare la C3, poi regna l’incertezza.
La chiusura di Aulnay potrebbe essere annunciata a fine luglio, durante la presentazione dei conti economici del secondo trimestre. C’è chi lo considera uno dei primi test politici per il neo-presidente François Hollande: in Francia l’ultima fabbrica automobilistica a chiudere, nel 1992, è stata quella Renault di Billancourt.
Preoccupazioni
Ma oggi lo scenario è ancora più preoccupante, perché oltre ad Aulnay altri siti sono a rischio. E la ricetta classica degli incentivi per l’acquisto — come quelli del 2009 — sarebbe inefficace e troppo onerosa. Meglio puntare su prestiti a tassi agevolati, aiuti alla ricerca e sconti fiscali diluiti negli anni, qualcuno ipotizza pure una tassa sulle auto di grossa cilindrata per favorire le «piccole» francesi. Tutte opzioni al vaglio del nuovo governo socialista. Molto simili alle «raccomandazioni» dell’agenzia di rating Fitch. Secondo la quale i bonus statali distorcono il mercato e abbassano i margini di guadagno, aumentando solo le vendite nel breve periodo per poi farlo crollare non appena si esauriscono. Per gli analisti poi «il margine di manovra del sostegno pubblico è molto più limitato di tre anni fa, a causa del peso dei debiti sovrani».
Come in Italia dove, nonostante il vertiginoso calo delle vendite, piani non se ne vedono. Agevolazioni all’acquisto per 3 anni, normative fiscali in linea con quelle europee per le vetture aziendali, revisione del «Superbollo», lotta agli evasori della tassa di possesso, queste le proposte dell’Unrae, l’associazione dei costruttori esteri. Ma per chi lavora nell’auto in Italia, la «fase due» è ancora un miraggio.