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 2012  giugno 24 Domenica calendario

NON LAVO DUNQUE SONO


Forse non erano favolosi come si dice, gli anni Sessanta, ma il fermento c’era. L’economia cresceva, la tv insegnava l’italiano agli italiani, le donne si mettevano numerose al volante. Il manovale Marcovaldo, di Italo Calvino, aveva le tasche vuote ma portava la famiglia in gita al supermarket. La pillola anticoncezionale non era ancora arrivata, per quella bisogna aspettare gli anni Settanta. La lavatrice sì, ed è stata una rivoluzione.
Fra tutti i comfort della vita moderna, la macchina per il bucato merita un riconoscimento speciale. Maglietta-calzino-asciugamano. Tovagliolo-calzino-jeans. Il cestello gira e oggi nessuno perde tempo a guardare il groviglio di panni che viene lavato e strizzato. Eppure le donne del boom si sono sedute davanti alla prima lavabiancheria con gli occhi sgranati. Quel getto d’acqua spinto a forza tra le fibre dei tessuti, insieme allo sporco, si portava via anche il peso del lavoro domestico più gravoso. Era il miracolo del progresso che si compiva tra le mura di casa. Una tappa decisiva per l’emancipazione.
L’ultima frontiera hi-tech insegue un «sistema di lavaggio avanzato a microgravità», capace di funzionare sulla Stazione spaziale internazionale, come vorrebbe la Nasa. Ma è sulla Terra che della lavatrice c’è davvero bisogno, non nello spazio. In Italia i panni sporchi li laviamo in famiglia e questo elettrodomestico lo teniamo chiuso nel bagno: oggi è a risparmio energetico, a carica dall’alto, così compatto e silenzioso da non solleticare più fantasie erotiche, ma sbagliare un lavaggio è quasi impossibile.
L’America invece è terra di lavanderie a gettone, i locali per il bucato sono posti in cui ci si incontra e ci si innamora, e «Laundromat» è diventato il titolo di molte canzoni.
Lo studioso svedese Hans Rosling considera il bucato automatizzato come una soglia di sviluppo, più avanzata dell’elettricità, meno degli aeroplani. Sotto lo spartiacque della «washing machine» (40 dollari al giorno) vivono 5 miliardi di persone, i restanti 2 miliardi vivono al di sopra. Nel 2050 potrebbero essere rispettivamente 4 e 5 miliardi, con un consumo energetico globale quasi raddoppiato rispetto a quello attuale, perché chi oggi cuoce col fuoco avrà l’elettricità, chi già ce l’aveva salterà oltre la linea della lavatrice, e parte di coloro che già possiedono questo elettrodomestico passerà allo stadio dei viaggi aerei. «Pensa se tutti avessero la lavatrice, anche i cinesi e gli indiani», è una frase ricorrente nei discorsi sui problemi ambientali. Ma guardando le fotografie delle donne chine sui lavatoi, non si può che esclamare: magari! Lo pensava Miriam Mafai, che una volta ha detto: «Non capisco perché il pensiero femminista sia sospettoso nei confronti della tecnoscienza. A liberarci è stata la lavatrice». È d’accordo Vittorio Marchis del Politecnico di Torino, autore di 150 anni di invenzioni italiane (Codice, 2011) e della pièce teatrale Autopsia di una lavatrice. «Nella società post-industriale dimentichiamo l’importanza degli oggetti pesanti, il loro spazio culturale», sostiene lo storico della tecnologia. La lavabiancheria è più importante di Internet, rilancia Ha-Joon Chang della Cambridge University, autore di 23 things they don’t tell you about capitalism (Bloomsbury Press, 2010). L’impatto del web è limitato a una minoranza di fortunati, ma sono gli elettrodomestici che hanno consentito alle donne di uscire di casa, raddoppiando virtualmente la forza lavoro. Eppure tutti conoscono il nome del papà dell’iPhone, tanti sanno indicare anche l’inventore della lampadina, della radio, del parafulmine. Ma chi ha inventato la lavatrice?
Potrebbe essere stato Jacob Christian Schäffern, teologo di Ratisbona, nell’anno 1767. Marchis però preferisce ricordare Henry Sidgier e la sua gabbia cilindrica di legno a manovella, progettata nel 1782 in Gran Bretagna. Al titolo può aspirare anche l’americano Harrison Smith, con il suo tamburo rotante con moto alterno, inventato nel 1859. Da questo momento in poi i progetti depositati all’Ufficio brevetti statunitense si moltiplicano, più o meno ingegnosi, più o meno improbabili.
Ma per decollare la lavatrice deve diventare elettrica. Siamo arrivati al 1908 e ad Alva Fischer, la sua macchina lava bene ma ha un difetto: l’acqua bagna i contatti. Problema risolto nel 1930, inserendo il tamburo all’interno di un contenitore metallico. Il primo modello automatizzato viene venduto in America dalla Bendix Corporation nel 1937, con dieci anni di anticipo sulla General Electric. Il boom commerciale esplode in Europa alla fine degli anni Cinquanta e nel 1967 l’Italia è diventata il maggior produttore di lavatrici del continente. La Candy ne sforna una ogni 15 secondi, la ditta rivale imperversa nel Carosello: «Castor lavami!». Poi il primato passa a Zoppas e infine a Zanussi. Si racconta che la moglie di De Gaulle fece una battaglia contro l’industria di Pordenone perorando la causa delle lavatrici francesi.

Chi negli anni Sessanta era un ragazzino sorride ripensando a Calimero e «Ava come lava». Chi ha letto Calvino ricorda la schiuma iridata che un giorno invade il cielo cittadino, cancellando il fumo delle ciminiere. Le cassette della posta traboccavano di buoni acquisto per detersivi. «Foglietti con disegni verdi rosa celeste arancione promettevano candidi bucati a chi usava Spumador o Lavolux o Saponalba o Limpialin». I figli di Marcovaldo ne facevano incetta, progettavano di vendere i flaconi omaggio, si vedevano già milionari. L’affare però sfuma. Michelino, Filippetto e Pietruccio si disfano del bottino buttando nel fiume una soffice nuvola bianca. Che saponata. E che invenzione letteraria. Ma a pensarci bene la lavatrice un po’ magica lo è veramente: nel cestello infiliamo biancheria e ne tiriamo fuori tempo libero. Tempo per leggere. «Metti il detersivo, chiudi il coperchio e rilassati», ha titolato l’8 marzo di qualche anno fa l’«Osservatore Romano», pubblicando un articolo che ha fatto discutere. «Carica, premi il pulsante e scegli il tuo libro», è il consiglio riveduto e corretto della «Lettura». Vale per tutti i giorni dell’anno, gli uomini sono inclusi.
@annameldolesi