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 2012  giugno 24 Domenica calendario

UN CODICE A BARRE PER I BAMBINI


Fareste impiantare un microchip identificativo a vostro figlio? Secondo Elizabeth Moon, scrittrice di fantascienza texana, sarebbe una buona idea perché faciliterebbe il riconoscimento individuale, senza i costi e i tempi d’attesa dell’esame del Dna. Non è la prima volta che si discute di una simile possibilità e nel 2002 la Food and Drug Administration approvò un sistema identificativo impiantabile. Si chiamava VeriChip, ma nel 2010 il programma è stato abbandonato per paura che la sicurezza e la privacy fossero in pericolo. Alla fine del maggio scorso Moon ha dichiarato alla Bbc: «Se fossi l’imperatrice dell’Universo insisterei nel fornire ciascun individuo di un sistema identificativo permanente, una specie di codice a barre». La condanna è quasi unanime: un mondo del genere sarebbe caratterizzato dalla violazione delle libertà fondamentali e incarnerebbe il compimento della distopia orwelliana, in cui il controllo sui singoli sarebbe totale. Per non parlare del rischio che un hacker metta le mani sulla nostra vita registrata su un chip. Come non pensare alla spietata caccia all’uomo in Minority Report, facilitata dal riconoscimento oculare, o al meccanismo di controllo carcerario immaginato nel Panopticon? Le nostre reazioni emotive sembrano destinate a essere di rifiuto e terrore. Tuttavia qualche riflessione può aiutarci a valutare meglio la proposta di Moon e a metterne in luce i possibili abusi, senza condannarla intrinsecamente. Ogni tecnologia può essere stravolta e usata per scopi sbagliati, così come un coltello può essere usato per uccidere. La novità di un codice a barre umano starebbe nella velocità dell’identificazione e nella difficoltà di dissimulare la nostra identità: documenti di riconoscimento, impronte digitali e altri dati biometrici sono già spie invadenti di noi stessi. A essere spaventoso è il possibile abuso a fini di controllo sociale, soprattutto preventivo e senza una valida ragione: dal settembre 2001 la sicurezza ha spesso giustificato violazioni della privacy, arrivando quasi a capovolgere uno dei cardini nelle procedure penali delle democrazie liberali: si è innocenti fino a prova contraria. Facilitare la tendenza invadente dei controllori, insomma, potrebbe essere un errore fatale, quasi una rinuncia volontaria e suicida alla nostra riservatezza. Nel caso dell’impianto alla nascita mancherebbe anche la possibilità di dare il nostro consenso a questa invasione — sebbene anche i documenti manchino di tale requisito. I difensori del chip invocano il vantaggio di registrare tutte le informazioni mediche — soprattutto per bambini e anziani — e di evitare le lunghe file per i controlli di sicurezza. La tecnologia avanza, ma la domanda cui dobbiamo rispondere è ancora quella posta da Giovenale duemila anni fa: Quis custodiet ipsos custodes? O, se vogliamo stare al passo con i tempi, nella versione a fumetti di Alan Moore: Who watches the watchmen? Chi controlla i controllori? Ci fidiamo talmente poco dei controllori da non voler offrire loro uno strumento più facile e veloce per giocare al Grande Fratello.