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 2012  giugno 25 Lunedì calendario

A Veracruz dove i narcos hanno soppiantato lo Stato - La «ruta 140» che va da Città del Messico a Veracruz s’inerpica fra la nebbia del monte Cofre de Perote, per poi scendere sinuosa a valle verso Xalapa

A Veracruz dove i narcos hanno soppiantato lo Stato - La «ruta 140» che va da Città del Messico a Veracruz s’inerpica fra la nebbia del monte Cofre de Perote, per poi scendere sinuosa a valle verso Xalapa. Ti sconsigliano di percorrerla quando cala la sera, per la pericolosità delle curve di montagna, ma soprattutto per gli assalti che sono ormai all’ordine del giorno. Un segnale anche questo dell’isolamento al quale rischia di essere condannata la «città dei fiori», centro culturale e universitario dalla lunga tradizione che oggi è diventato il nuovo epicentro della violenza in Messico. I narcos dettano legge con una serie infinita di delitti; sequestri, omicidi, estorsioni, tratta di persone, assalti armati. Una scia di morte quotidiana, segnata dalla totale impunità. Lo Stato di Veracruz, di cui Xalapa è la capitale, è un luogo strategico per il passaggio della droga verso gli Stato Uniti. La rotta era controllata dal cartello del Golfo del boss «Chapo» Guzman, che si valeva dei servizi degli Zetas, un vero e proprio esercito paramilitare formato da ex commandos dell’esercito messicano istruiti in tecniche antiguerriglia da esperti statunitensi e israeliani. Il sodalizio è servito a entrambi, fino a quando gli Zetas non hanno deciso di mettersi in proprio, puntando da subito sulla violenza ai massimi livelli, che ha permesso di cooptare nei loro ranghi quei funzionari corrotti legati precedentemente ai cartelli tradizionali. Veracruz, con il porto più importante del Golfo, è stato un laboratorio perfetto e gli effetti si sono fatti sentire. Qui ogni giorno si piangono nuove vittime, le indagini degli inquirenti non portano a nessun risultato, le inchieste muoiono ancor prima di iniziare. Ne sa qualcosa Ester Hernandez Palacios, professoressauniversitaria, che da due anni si batte per avere giustizia per il crimine contro sua figlia Irene, uccisa nel centro della città assieme al marito, figlio di un importante impresario edile della zona. Il suocero stava per costruire l’edificio più alto della città, una torre con uffici e appartamenti di lusso, finanziato in parte con denaro dei narcos. Il progetto si bloccò per vizi strutturali, gli acconti vennero restituiti, ma senza gli interessi esorbitanti che i boss pretendevano. La vendetta è caduta sui figli. «Irene e suo marito Fouad - spiega Ester - mi avevano appena detto che volevano andarsene da Xalapa, pensavano di trasferirsi a Houston per iniziare lì una nuova vita. Li hanno uccisi in centro, alle otto di sera, davanti a decine di testimoni. La polizia non ha mai cercato gli assassini». In questi due anni Ester ha scritto un diario alla figlia, che presto sarà un libro che spera sarà distribuito in tutte le università. Partecipa a un collettivo per la pace che riunisce centinaia di famigliari di vittime. Una volta al mese manifestano nella piazza principale di Xalapa, davanti al palazzo del Governatore, camicie bianche, candele accese e le foto dei loro cari. Ogni caso è diverso, l’impunità è il minimo comune denominatore. Da due mesi Maria Teresa Avila non ha notizie del marito, un commerciante rapito mentre stava tornando a casa alla fine di una giornata di lavoro. Nessuna pista, dicono gli inquirenti, che non sanno spiegare perché la telecamera di sicurezza posta fuori dal negozio proprio quel giorno non funzionasse. Barbara Ybarra ha sperato per tre mesi di poter riabbracciare la sua figlia diciassettenne, rapita mentre andava a scuola. La polizia non l’ha nemmeno cercata, accusando la madre di aver provocato la fuga. «Invece di pensarci dopo - le disse un commissario - dovete trattare meglio i vostri figli, così non scappano di casa». Il cadavere della ragazza è stato trovato in un parco vicino a casa il giorno dopo che il caso è finito in televisione. In piazza i famigliari spiegano che fino a poco tempo fa Xalapa era una delle città più attive del Messico, con una vivacissima vita culturale e molti studenti stranieri che venivano a frequentare i corsi della locale Università. «Da due anni a questa parte tutto è cambiato; dopo le dieci di sera non trovi nessuno in giro, la paura è ovunque». Veracruz detiene anche il triste record di giornalisti uccisi: cinque nell’ultimo mese, nove nell’ultimo anno. Il caso più famoso è quello di Regina Martinez, corrispondente della rivista «Proceso», torturata e ammazzata due giorni dopo la pubblicazione di un articolo in cui si denunciavano le connivenze fra il governo locale e la criminalità organizzata. Tre foto-reporter che lavoravano al porto di Veracruz sono stati squartati vivi e i loro resti sono finiti in borse della spazzatura tirate per strada. Bombe molotov sono state lanciate contro le sedi di giornali locali. I principali quotidiani messicani hanno richiamato i loro corrispondenti, c’è chi ha dovuto chiedere asilo negli Stati Uniti. A volte è lo stesso governatore Javier Duarte a chiamare personalmente i giornalisti per avvisarli che la loro incolumità è in pericolo; un invito chiaro ad andarsene. L’obbiettivo è il silenzio informativo, così come accade in molte altre parti del Messico. La strategia adottata nei sei anni di governo del presidente uscente Felipe Calderon è stata quello dello scontro frontale con i cartelli della droga, ma è evidente che lo Stato è in ginocchio. L’unica istituzione rispettata dalla popolazione è la Marina militare: la polizia federale, quelle statali e lo stesso esercito sono sospettati di collusione con i gruppi criminali. Le statistiche piùottimiste parlano di almeno sessantamila morti ammazzati negli ultimi sei anni, trecento persone uccise ogni giorno. Il candidato del Pri alle presidenziali del primo luglio, Enrique Pena Nieto, il favorito nei sondaggi, ha annunciato che, se sarà lui il presidente, chiamerà l’ex capo della polizia colombiana Oscar Naranjo per combattere i narcos. Ma è chiaro che se non si affronta il nodo della corruzione delle autorità, niente e nessuno potrà risolvere il problema del traffico di droga. E la notte calerà ancora di più su Xalapa e il Messico intero. "UNA CITTÀ DEVASTATA"