Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  giugno 24 Domenica calendario

Il dramma dopo il sisma “Ci spiace, la sua casa deve essere abbattuta” - Il destino di un terremotato è scritto su quattro pagine fitte di numeri e specifiche tecniche

Il dramma dopo il sisma “Ci spiace, la sua casa deve essere abbattuta” - Il destino di un terremotato è scritto su quattro pagine fitte di numeri e specifiche tecniche. È lo spazio che separa chi ha salvato casa da chi non ha più niente. Il padrone - suo malgrado - di questo destino si chiama Giuseppe Manzone e lavora al dipartimento di Ingegneria strutturale del Politecnico di Torino. Ogni giorno, per dodici ore, il professor Manzone fa la spola da un capo all’altro di Concordia sulla Secchia, una manciata di chilometri da Mirandola e Cavezzo, epicentro della seconda grande scossa che ha messo in ginocchio la Bassa modenese. Ispeziona un’abitazione dopo l’altra: controlla cantine, solai, scale, muri e soffitti. C’è un silenzio irreale mentre si guarda attorno cercando crepe e divaricazioni. Quando comincia a compilare il modulo consegnato dalla Protezione Civile è come se stesse tracciando il futuro di queste persone: è lui che stabilisce se la casa ha retto al sisma, se è agibile ma ha bisogno di rattoppi o se non c’è niente da fare. «Se è inagibile, purtroppo significa che va demolita o ha bisogno di importanti lavori di consolidamento. È come se dicessi a queste famiglie che si devono comprare la casa da capo, o quasi». Le sentinelle delle case dei terremotati non hanno strumenti né attrezzi. Però hanno occhi che colgono al volo un muro fuori asse, un solaio non ben consolidato, una crepa che attraversa la parete. Il guaio è che per questa gente afflitta e alla disperata ricerca di una stabilità gli ingegneri non bastano. Servono psicologi. «Anche chi potrebbe tornare in casa resta in tenda», racconta Manzone. Hanno paura. Non si fidano. Nemmeno dei tecnici. «Quando dico che l’edificio è a posto ho spesso l’impressione che non mi credano. A volte, allora, mi siedo al tavolo della cucina e compilo la scheda con calma. Spero che vedendomi stare a lungo dentro casa si convincano che è davvero sicura». Eppure in questo sabato torrido le case da buttare non sono poche. Concordia ha 9 mila abitanti, un centro storico transennato da più di venti giorni e quasi 4 mila sfollati. Ci sono 2709 abitazioni da visionare. Finora ne hanno esaminate poco più di 800, e il verdetto non è stato molto incoraggiante. Soprattutto nelle borgate è tutto da abbattere e ricostruire. È un confronto impari, quasi avvilente. Il Comune è inagibile e si è trasferito nell’asilo nido. Ha 50 dipendenti, ma finora nessuno aveva combattuto il terremoto. «Qui abbiamo dovuto lavorare per giorni senza computer, senza sedie, tavoli, biro, carta, telefoni». Le verifiche saranno ancora lunghe. Ma la pazienza è finita. La signora Patrizia Pizzano abita in una borgata, le è rimasto un giardino con qualche gallina e un pezzetto d’orto. Lei e suo marito avevano deciso di ristrutturare casa. Alla fine dell’anno scorso lui si è suicidato e sei mesi dopo il terremoto ha fatto a pezzi pure la villetta. «Prendo 600 euro al mese di pensione. Io e i miei figli viviamo in un prato. Abbiamo chiesto che ci installassero un wc chimico. Sono passate tre settimane. Abbiamo chiesto che venissero a metterci in sicurezza la casa, ma siccome c’è da intervenire pure su quella del vicino che se ne è andato, non vengono». La burocrazia sta piegando anche la forza di volontà degli emiliani. Daniela Pellandra ha dovuto insistere dieci giorni perché venissero a prelevare dalla tenda in giardino suo marito, malato terminale di cancro, e lo portassero in ospedale. «Il dramma vero sarà quando bisognerà cominciare a rimettere a posto le case e non ci saranno i soldi. Dove andrà tutta questa gente?», si chiede un vigile del fuoco arrivato da Perugia. Il dramma è già adesso, però. I vigili del fuoco dovrebbero puntellare gli edifici a rischio crollo ma non hanno la legna. Hanno fatto richiesta ma non è mai arrivata. È arrivata solo l’autorizzazione a effettuare dieci piccoli interventi. «Dieci. Qui ne servono a centinaia», sospira Carlo Marchini, il sindaco. «Ma ogni spesa ci tocca chiedere al coordinamento provinciale, che si rivolge alla Regione che con calma risponde. Le settimane passano, i lavori non partono e la gente è allo stremo. Mi sto convincendo che lo Stato voglia che questo sia un terremoto a costo zero o quasi». Mentre le istituzioni litigano il professor Manzone, che è un volontario, insieme con la sua squadra - un ingegnere e un’architetta - continua a setacciare le case. I suoi verdetti sono la base da cui far ripartire questa terra. «Ma se non si procede più spediti il nostro lavoro servirà a poco».