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 2012  giugno 24 Domenica calendario

Yacht, indagini e camicie: l’anno orribile del Celeste - Non si può certo dire che l’avviso di garanzia arrivi inatteso ma forse non per l’interessato, Roberto Formigoni, l’ex golden boy democristiano costretto da mesi a reiterare come un disco rotto le sue non dimissioni: «L’ho già detto, anche se fosse vero non le darei…», ha ribadito ieri ringhioso

Yacht, indagini e camicie: l’anno orribile del Celeste - Non si può certo dire che l’avviso di garanzia arrivi inatteso ma forse non per l’interessato, Roberto Formigoni, l’ex golden boy democristiano costretto da mesi a reiterare come un disco rotto le sue non dimissioni: «L’ho già detto, anche se fosse vero non le darei…», ha ribadito ieri ringhioso. Nel frattempo chiede al Corriere la smentita dell’informativa di garanzia, accusando poteri forti e trame oscure contro il suo buongoverno. La smentita non arriverà mai perché «l’attività della Procura di Milano è fin dall’inizio indirizzata al bersaglio grosso, cioè al Celeste e al suo sistema politico e di potere che da 17 anni governano la Regione più ricca e popolosa d’Italia», ammette una fonte a lui vicina. Questo, Formigoni, lo sa bene e da più di un anno se ne sta arroccato all’ultimo piano del Pirellone bis, intenzionato a non mollare, anzi moltiplicando ospitate tv, interviste sui giornali, conferenze stampa su la qualunque e incursioni giovaniliste su riviste gossip. Un movimentismo scaccia guai che ad ogni nuovo capitolo della saga giudiziaria riporta Formigoni alla casella di partenza: dover smentire, doversi discolpare, doversi distinguere da amici vecchi e nuovi. Ogni volta rilancia sempre più isolato, più gradasso, con mise improbabili e giacche da teenager a fare pendant di una testa incanutita troppo in fretta e un viso scavato che tradisce lo stress: 65 anni non si nascondono mica. «Roberto risponde agli attacchi politico-giudiziari con il narcisismo», sentenzia un vecchio amico. Ha scritto persino un e-book per rivendicare il buon governo del modello Lombardia, e chiesto ai dirigenti regionali, imbarazzati, una lettera di solidarietà. Resistere resistere resistere all’ondata giudiziaria è il suo mantra lungo un anno. Ma la nottata non è mai stata così lunga. «Formigoni ha già ricevuto in passato avvisi di garanzia o subito processi», ragionano in Regione. «Ma qui si parla del cuore del suo potere: le commesse sanitarie, il 75% del budget regionale». L’anno orribile comincia nel maggio 2011, con le prime rivelazioni sul crac del San Raffaele, l’ospedalone di don Verzè piombato da 1,5 miliardi di debiti. Dalle indagini saltano fuori gli intrecci del prete manager con il Pirellone e, soprattutto, il ruolo del faccendiere ciellino Piero Daccò, amico stretto del governatore e generoso dispensatore di vacanze deluxe, weekend in yacht e viaggi esotici. Segue lo scorso aprile lo scandalo della fondazione Maugeri di Pavia, che ripropone amplificato lo schema San Raffaele: faccendieri amici del Celeste - oltre a Daccò, Antonio Simone, ex assessore ciellino alla sanità, forse il miglior amico del governatore che avrebbero lucrato milioni di euro facendo intermediazione sulle prestazioni non tariffabili (un piatto da un miliardo l’anno) tra Pirellone che finanzia e strutture sanitarie accreditate ad erogare servizi. Essendo fondi extrabudget, la discrezionalità regna sovrana. Nel frattempo il contesto intorno è da Tangentopoli: un quinto del Consiglio regionale indagato, ex assessori di peso delle sue giunte (da Nicoli Cristiani a Ponzoni) finiti in carcere, gli affari spericolati di altri Memores Domini (il coinquilino Alberto Perego) e gli strascichi dello scandalo bonifiche che coinvolge un altro imprenditore ciellino (Grossi). Fino all’indagine su Carlo Lucchina, siamo a settimana scorsa. È l’uomo che per il Celeste gestisce dossier e cassa sanitaria e ha l’ultima parola su appalti e finanziamenti. Il supermanager che, secondo Simone, sarebbe il tramite tra il governatore e Daccò. Formigoni però in questo anno orribile ha sempre negato qualsiasi scambio preferenziale coi suoi amici, nonostante non sia in grado di giustificare gli scontrini salati pagati a sua insaputa in resort, viaggi aerei e compravendite di case in Sardegna. Ripete che «al limite si tratterebbe di atti privati, non un euro di soldi pubblici è finito nel calderone degli illeciti». Nega persino relazioni opache che emergono da delibere di giunta o visure camerali su imprese vicine alla Compagnia delle Opere, collettori di appalti legati alla sanità lombarda. Negare negare negare. E non fa nulla se sono per primi i suoi a fare terra bruciata intorno: il capo di Cl, don Carron, che scrive all’odiata (da Formigoni) Repubblica per prendere le distanze da certe derive, la signora Carla Vites (moglie di Simone) che, via Corriere, lancia un tremendo atto di accusa sulla mutazione, estetica e di potere, «dell’amico Roberto», fino al cardinal Scola che, a suo modo, dice che lui con quel che fa Formigoni c’entra nulla. Con l’avviso di garanzia all’ex ragazzo di Cl siamo così al salto decisivo. Di certo le sue smargiassate, le minacce di querele, quel suo carattere da primo della classe con colleghi politici, giornali e magistrati, rivendicando acriticamente la bontà del suo operato e la trasparenza sempre e comunque del modello lombardo, certo non lo aiutano. La superbia, il narcisismo, sono da qualche tempo i peggiori alleati dell’uomo che voleva farsi premier. Un piede in Lombardia ma la testa e le ambizioni a Roma, al posto di Berlusconi o al massimo alla Farnesina. In fondo fa le prove da anni, pur dovendo sempre battere in ritirata (il Cavaliere non lo ha mai amato). L’ultima spiaggia sarebbe stata il 2013, la guida del partito, le primarie. Ma la liquefazione del Pdl e adesso l’ondata giudiziaria lo costringono all’arrocco al Pirellone fino al 2015. Anche se, per la prima volta, la scelta non dipenderà più da lui…