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 2012  giugno 24 Domenica calendario

DAL BRASILE IL BIOETILENE MANGIA-CO2

C’era una volta la biodegradabilità: la virtù di certi prodotti, di origine animale o vegetale, che si decomponevano con il tempo, al contrario della comune plastica. Oggi Jorge Soto, responsabile della sostenibilità di Braskem – giovane società chimica brasiliana, quinta al mondo per fatturato – annuncia il biopolietilene non biodegradabile. «È prodotto con la canna da zucchero – spiega –, è riciclabile, ma non si dissolve naturalmente. In questo modo, la CO2 che la pianta aveva "mangiato" dall’atmosfera, viene imprigionata per sempre in un prodotto riusabile all’infinito».
Reinventare processi e prodotti in modo da non sacrificare le risorse planetarie a scapito delle future generazioni – il principio di partenza dello sviluppo sostenibile – è una sfida monumentale all’orizzonte. La cosiddetta chimica verde è fra le più incisive soluzioni possibili. La soluzione del polietilene di Braskem – presentato a Rio de Janeiro a margine del vertice Onu, che si è chiuso venerdì – è intrigante. «Per ogni tonnellata di polietilene – spiega Soto – vengono sequestrate 2,5 tonnellate di CO2», il gas che alimenta l’effetto-serra e quindi la temperatura media planetaria.
Entro breve, il polietilene di Braskem porterà in giro per il mondo uno shampoo di Procter&Gamble. La quale, essendo la prima società al mondo nei prodotti di largo consumo (produce in 80 paesi e vende in 180), con la chimica ha molto a che fare. «L’innovazione di prodotto tramite la chimica – assicura il direttore della sostenibilità Peter White – porterà alla rivoluzione sostenibile».
P&G ha da poco lanciato Ariel Excel Gel, un detersivo che consente il lavaggio a 15 gradi. «Lo abbiamo "costruito" da zero – racconta White –. Se tutte le famiglie lavassero a freddo, un paese avrebbe bisogno del 3% in meno di energia». Proiettato su scala americana, per non dire mondiale, i risparmi per i portafogli (e per il bilancio atmosferico della CO2) sarebbero ingenti. Così come i ricavi di P&G, che nel 2007 si è posta l’obiettivo di fatturare 50 miliardi con i prodotti sostenibili.
Figuratevi i giganti della chimica. «La chimica verde – commenta Neil Hawkins, vicepresidente di Dow Chemical – è buona per il pianeta e buona per far soldi». Il colosso del Michigan, scommette sulla ricerca: «Un miliardo e 700 milioni di dollari, più di tutti i programmi pubblici americani messi insieme». Dow, ha adottato un modello matematico per calcolare la sostenibilità di un prodotto nel suo intero ciclo di vita, che tiene conto di sei fattori: acqua, emissioni-serra, consumo delle risorse, impatto sociale, economicità e interesse aziendale.
Nel 1991 era stato uno scienziato dell’Epa, Paul Anastas – oggi capo del dipartimento Chimica verde all’Università di Yale – a inaugurare questa nuova èra della chimica, con un approccio quasi filosofico. Ventun anni più tardi, la chimica verde è pronta a dare risultati pratici. «Lo shampoo Pantene nella sua nuova confezione di bioplastica – sottolinea White – ridurrà le emissioni del 170%». Sì, avete capito bene, è un effetto negativo: è il biopolietilene di Braskem che sequestra CO2 dall’atmosfera.
Le applicazioni di questa rivoluzione indispensabile, sono infinite. «Per completarla – osserva Soto – dobbiamo trasferire questa cultura anche alle società chimiche più piccole, che non dispongono di budget grandiosi per la ricerca». Ma intanto, molti ci pensano già da soli. Tre giorni fa, la svizzera Clariant ha presentato Advanced Denim. Per produrre un paio di blue-jeans ci vogliono 9mila litri d’acqua, mezzo chilo di sostanze chimiche e rilevanti quantità di energia. Ebbene, il processo della Clariant consuma il 92% in meno di acqua, il 30% in meno di energia e riduce dell’87% il cotone di scarto.
Sono cifre che, una volta sommate, producono un effetto tutt’altro che irrilevante. L’Epa, che 17 anni fa ha lanciato un piano di incentivi per la chimica verde, ha premiato finora 88 aziende. Le quali, da sole, hanno risparmiato 374mila tonnellate di sostanze pericolose, 80 miliardi di litri d’acqua e 3 miliardi di tonnellate di CO2 all’atmosfera.
La biodegradabilità è stata una grande invenzione. Ma c’è ben altro, all’orizzonte.