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 2012  giugno 24 Domenica calendario

L’INTELLIGENZA NATURALE DI ALAN

«Un figlio dell’impero britannico», lo chiama Andrew Hodges nella sua monumentale biografia, opportunamente ristampata in questi giorni (Alan Turing. Storia di un enigma, Bollati Boringhieri, Torino, pagg. 762, € 18,00). Di fatto, tutti i momenti cruciali della breve esistenza di Alan Turing si intrecciarono, in misura spesso più nascosta che palese, con i destini di quell’impero. Per cominciare, era figlio di un funzionario dell’Indian Civil Service in servizio a Madras, nell’India meridionale. Fu un caso se, grazie ad un periodo di licenza concessa al padre, il 23 giugno 1912 Alan nacque a Londra, e non in India. Nel 1937 è ancora un oscuro logico di Cambridge, quando appare un suo lungo articolo, On computable numbers, che all’epoca passò quasi inosservato e oggi fa parte dei classici della logica matematica. Turing vi descrive il comportamento di una macchina astratta, che il logico di Princeton Alonzo Church, uno dei pochissimi a prestarvi attenzione, chiamò per primo la "macchina di Turing".
L’idea di Turing, tanto semplice quanto profonda, è ispirata dall’analogia. «Calcolare è un’attività che normalmente avviene scrivendo certi simboli sulla carta. Possiamo supporre che la carta sia divisa in tanti quadretti, come in un quaderno di scuola». In particolare, dice Turing, «supporrò che il calcolo venga effettuato su una carta unidimensionale, ossia su un nastro diviso in caselle», e inoltre che «il numero dei simboli che possono venire impressi sul nastro sia finito». Si può allora paragonare un uomo che calcola un numero a una macchina capace solo di un numero finito di stati o configurazioni. La macchina è dotata di un "nastro" (l’analogo della carta) che l’attraversa ed è diviso in caselle, ognuna delle quali può contenere un simbolo. In ogni istante la macchina "vede" una sola casella. Seguendo certe "tavole di istruzioni" prefissate, la macchina può cancellare un simbolo in una casella, scrivere un nuovo simbolo in una casella vuota, può spostarsi a destra o a sinistra di una casella, oppure cambiare di configurazione. «La mia tesi – afferma Turing – è che queste operazioni includono tutte quelle che sono impiegate nel calcolo di un numero». La sua macchina astratta, che egli descrive con dovizia di particolari, in quell’articolo ha un ruolo puramente teorico, ha a che fare con raffinate questioni di logica come la precisazione rigorosa del concetto di computabilità. Il passaggio alle macchine reali avviene con lo scoppio della guerra, quando Turing viene mobilitato a Bletchey Park, non lontano da Londra, per collaborare con matematici, ingegneri, esperti di crittografia. L’obiettivo del gruppo è decifrare i messaggi in codice dei tedeschi. Enigma era il nome della macchina che essi usavano per mettere in cifra i messaggi.
Decifrare Enigma fu impresa «al limite del possibile, che aveva impegnato le menti più geniali e le migliori risorse della scienza moderna», afferma Hodges, e il contributo di Turing fu determinante. Alla fine del 1943, i sommergibili tedeschi erano ormai individuabili a grande distanza tanto che «neppure il loro stesso comando conosceva la loro posizione con la chiarezza degli inglesi». Al termine della guerra Turing viene insignito dell’Ordine dell’Impero Britannico, e chiamato a elaborare un progetto di calcolatore – l’Ace (Automatic Computing Engine) – analogo a quello allora progettato da John von Neumann e il suo gruppo a Princeton.
Durante la realizzazione del progetto nella mente di Turing si affacciano nuove domande. È «possibile per ciò che è meccanico manifestare un comportamento intelligente»? Negli Stati Uniti ne ha discusso con Claude Shannon, un pioniere delle ricerche sull’Intelligenza Artificiale. «Possono pensare le macchine?», si chiede Turing nel pionieristico articolo Macchine calcolatrici e intelligenza (1950). La domanda si traduce in un gioco, il "gioco dell’imitazione" tra un uomo, una donna e un terzo interrogante chiuso in una stanza il quale, senza vedere gli interlocutori, attraverso le risposte alle sue domande deve indovinare chi è l’uomo e chi la donna. Lo scopo dell’uomo è di ingannare l’interrogante, quello della donna di aiutarlo. Cosa accade se una macchina sostituisce l’uomo? Variano le probabilità dell’interrogante di smascherare i suoi interlocutori? È il gioco diventato noto come test di Turing.
In quegli anni il problema della natura dell’intelligenza e del funzionamento del cervello affascina Turing. Al tempo stesso, il lavoro svolto a Bletchey Park ne ha fatto uno dei consulenti più preziosi dell’intelligence britannica. Così, all’insaputa dei colleghi dell’università di Manchester, Alan lavora in segreto per l’agenzia governativa. La collaborazione si interrompe bruscamente nel 1952, quando viene arrestato e rinviato a giudizio. Alla polizia, chiamata per denunciare un furto nella propria casa, Alan ha candidamente confessato di avere una relazione omosessuale, un reato perseguibile a termini di legge. Dopo il processo viene rimesso in libertà condizionata per un anno, con l’obbligo di sottoporsi per lo stesso periodo a cure organoterapiche, a iniezioni di estrogeni. Le conseguenze sono devastanti. Sul piano fisico e sociale. La sua omosessualità, diventata di dominio pubblico, ne ha fatto agli occhi dell’autorità una persona ricattabile. Nel clima esasperato della guerra fredda, un "rischio per la sicurezza" britannica, al corrente di troppi e delicati segreti di Stato. Come lo è diventato negli Stati Uniti per le sue idee Robert Oppenheimer, il fisico di Princeton che era stato a capo del progetto Manhattan a Los Alamos. Alan apprende la notizia dai giornali il 2 giugno 1954. Cinque giorni dopo il suo corpo viene trovato dalla governante disteso sul letto, esanime, con accanto una mela sbocconcellata. Intrisa di cianuro. Anche se una sbrigativa inchiesta stabilì che si trattava di suicidio, la madre continuò per tutta la vita a pensare che Alan fosse stato vittima di un incidente nei suoi esperimenti di elettrolisi. Talvolta vi impiegava sali di acido cianidrico. O forse in quel suicidio c’era la mano dei servizi segreti. Per ragioni di sicurezza. L’enigma, che aveva avuto una parte tanto importante nella sua vita, doveva accompagnarlo anche nella morte.