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 2012  giugno 24 Domenica calendario

Zero gradi di separazione – Il caso, sembra di capire, è un lusso che non possiamo più permetterci

Zero gradi di separazione – Il caso, sembra di capire, è un lusso che non possiamo più permetterci. Forse nell’Atene del quinto secolo, a dar retta a Platone, c’era ancora tempo di aspettare che due metà si imbattessero l’una nell’altra senza premeditazione. Di certo non nel ventunesimo secolo. Trovare un’anima gemella, o semplicemente ampliare il proprio giro di amici, è un lavoro troppo serio per lasciarlo all’inefficiente capriccio del destino. Prima vagavamo in incognito nelle città. Flâneur inconsapevoli di aver sfiorato, magari più volte al giorno, il nostro accidentale alter ego. Oggi, volendo, potremo trasformare il nostro cellulare in un radar che ci avverte se nei paraggi si aggira un essere umano potenzialmente interessante. Sui social network, da casa, si osservavano le vite degli altri. E al più si entrava in contatto per iscritto. Con i programmi di social discovery (scoperta sociale), invece, si può passare all’azione anche quando si è in giro, facendo affidamento su una sorta di sesto senso digitale: «Sei amica di un mio amico: posso offrirti un caffè?». Facebook e la sua depressione post-partum borsistico sembrano già il passato. Il futuro avrebbe il nome di Highlight, Glancee, Sonar e Banjo, per citare alcuni dei software che hanno entusiasmato il South by Southwest, fiera tecnologica di culto che da qualche primavera va in scena ad Austin, Texas. A grandi linee il loro funzionamento è simile. Le varie applicazioni, che funzionano su smartphone iPhone o Android, desumono il nostro identikit di base proprio da Facebook, Twitter, Linkedin e siti analoghi. Sempre analizzando quei dati compilano una mappa dei nostri «amici» e conoscenti. E sulla base di queste informazioni l’algoritmo prova a indovinare anche con quali sconosciuti abbiamo cose in comune e potremmo desiderare di interagire. «Mentre i social network sono utili a mantenere le relazioni esistenti» ha spiegato Greg Tseng, cofondatore di Tagged, al blog Venture Beat, «i social discovery servono per scoprirne di nuove ». Moltiplicano le nostre opportunità di socialità, riducendo i rischi di delusione. Perché ci proporranno solo contatti con persone che, per un verso od un altro, hanno già dimostrato una teorica compatibilità. Una volta installato, per dire, Highlight manda una notifica ogni qualvolta rileva un nostro conoscente (dotato del medesimo programma) in un raggio di qualche centinaio di metri da noi. A quel punto potremo visualizzare il suo profilo e, se ci ispira, mandargli un messaggino per continuare live la conversazione. L’unico limite per l’Italia discende dalla legge di Metcalfe, quella per cui «il valore di una rete è uguale al quadrato dei suoi utenti». Che al momento sono pochissimi, quindi poche segnalazioni, dunque utilità scarsa. Ma è solo questione di tempo. In una cronaca assai tagliente un giornalista dell’Atlantic documenta la sua spiacevole esperienza proprio durante il festival texano. Sia lui che la ragazza con cui era a cena avevano i telefonini sul tavolo che vibravano come sismografi impazziti. Ma si trattava soltanto di una tempesta perfetta di segnalazioni di potenziali affinità elettive nelle immediate vicinanze. «Ovunque andassi le mie nuove app provavano a mettermi in contatto con persone che non volevo vedere: ex soci di imprese fallite, sviluppatori che avevo licenziato, l’inevitabile ex fidanzata. Alla fine, almeno nella loro prima versione, queste applicazioni finiscono per risultare fastidiose (ma non pensate al Grande Fratello, piuttosto a una rete di mutua sorveglianza di piccoli fratelli). Il loro incessante sforzo di combinare incontri esaurisce sia la pazienza che le batterie». La critica più filosofica riguarda il tentativo superomistico di cancellare il caso. Di abolire, per via algoritmica, la serendipità, ossia il felice rinvenimento di qualcosa che non si stava neppure cercando. «Vogliamo piuttosto rendere possibili connessioni migliori di quelle totalmente fortuite» ribatte Tseng «ingegnerizzando la serendipità per trovare proprio la persona giusta su un milione da presentarvi». Sembra che si siano messi d’accordo sulla difesa da tenere. Andrea Vaccari, il ventottenne veronese che ha creato Glancee, rivendica l’importanza dei fattori «sorpresa» e «incanto », quindi definisce le sue motivazioni come il voler «creare una serendipità con gli anabolizzanti». Chi non ritiene quest’ultima affermazione un ossimoro è Mark Zuckerberg che, per una cifra segreta ma verosimilmente cospicua, ha acquisito la start-up e traslocato l’intera sua squadra dentro Facebook. Fedele al vecchio motto della Silicon Valley: If you can’t beat them, eat them. L’eccitazione imprenditoriale che questa nuova onda informatica ha scatenato è indiscutibile. Il social discovery è il «nuovo nero», ha scritto un commentatore, mutuando l’espressione dal gergo della moda. Anche Yobongo, startup del settore con un anno e rotti di esistenza, è stata acquisita da una società più grande. I timori restano sul tipo di scenario sociale che la loro diffusione comporterà. Non basta la rassicurazione del cyber-antropologo Amber Case sul fatto che «amplificheranno la nostra umanità, potenziando le coincidenze nelle nostre esistenze», a tacitare gli scettici. Intanto diventerà arduo far finta di non aver visto qualcuno, per evitare di dovergli parlare. E quasi impossibile usare la lontananza fisica come scusa per non aggregarsi a una serata che non si preannuncia imperdibile. A meno, ovviamente, di spegnere la app. Riappropriandosi del gran lusso che può essere una vita in modalità stealth. Per non dire del sospetto ineliminabile quando, raccontandosi per la prima volta a uno sconosciuto, scopriremo di avere un gran numero di persone, gusti ed esperienze simili. Tutto merito, come diceva Voltaire, di «sua sacra maestà il caso, che fa più dei tre quarti del lavoro in questo miserabile universo»? Oppure frutto del calcolo binario e imperscrutabile della sensale elettronica che ci porteremo in tasca? Riccardo Staglianò