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 2012  giugno 24 Domenica calendario

LA GRANDE ILLUSIONE


A fine anni Trenta del Novecento la sua uscita provocò scandalo ovunque, lasciandosi dietro una scia di censure. Fu tagliato e guardato con sospetto in patria, in quella Francia che poco dopo si sarebbe consegnata ai tedeschi con la vergogna di Vichy. Fu odiato e bandito da Mussolini. Fu rubato dai nazisti e portato a Berlino, dove poi fu trafugato dai sovietici e nascosto a Mosca. Fu restituito a Parigi, come gesto di buona volontà, all’epoca della Guerra fredda, scambiato con un titolo della serie 007. Ma solo adesso, a ottantacinque anni dal debutto, La grande illusione — il capolavoro di Jean Renoir, padre di tutti i film a contenuto antimilitarista — sbarca in Italia nella versione “giusta”: riportato al suo splendore autentico dal restauro, e col montaggio fedele al cento per cento all’originale.
Un percorso e un destino travagliati, per una delle pellicole più amate e celebrate della storia del cinema: eversiva e scandalosa non per le frasi a effetto o le sequenze shock, ma per il pacifismo di cui è permeata. Intollerabile, nel Ventesimo secolo dominato dai totalitarismi, e in seguito dallo scontro ideologico tra Est e Ovest. E c’è dell’altro. Perché quel suo continuo passare di mano, quel suo nascondersi per riapparire sempre, quel viavai attraverso la Cortina di ferro, possono essere visti come una sfida. Come un messaggio di speranza che ha letteralmente attraversato l’Europa, e che nemmeno Hitler e Stalin sono riusciti a spegnere. È anche per questo che la visione dell’opera, tornata alla magia iniziale grazie al lavoro di cesello svolto dalla Cineteca di Bologna, suscita interesse: l’anteprima sarà mercoledì 27 al festival Il cinema ritrovato, in corso nel capoluogo emiliano. In attesa di una probabile, futura distribuzione nazionale. La prima e ultima volta nelle nostre sale uscì nel 1947: il via libera della censura porta la firma dell’allora segretario Giulio Andreotti.
Ambientato durante la Prima guerra mondiale, La grande illusione — scritto da Renoir insieme a Charles Spaak, padre di Catherine — ha come protagonista un divo francese come Jean Gabin, affiancato da Pierre Fresnay e da Eric von Stroheim. È la storia di un capitano d’aviazione e di un luogotenente francesi
che vengono fatti prigionieri e portati in una fortezza, dove ritrovano l’aristocratico, rigido e cavalleresco ufficiale tedesco che aveva fatto abbattere il loro apparecchio. Risultato: un affresco fortissimo contro la brutalità dei conflitti, un inno all’umanità e all’amicizia che si dimostrano più forti delle barriere sia sociali che nazionali. Presentata alla Mostra di Venezia del 1937, la pellicola vince il premio “per il miglior complesso artistico”. Ma in quel cupo finale di decennio, segnato dall’avanzata inesorabile di Hitler, la censura è in agguato. Come conferma Gianluca Farinelli, il direttore della Cineteca di Bologna: «Già in Francia, al suo debutto nelle sale — racconta — l’opera esce tagliata: vengono espunti i riferimenti alle malattie veneree dei soldati. E comunque viene criticata per un presunto atteggiamento collaborazionista. In Germania invece vengono censurate le connotazioni positive di uno dei personaggi, l’ebreo Rosenthal. Mussolini non si pone proprio il problema: lo vieta direttamente, come
Tempi moderni di Chaplin».
Poco dopo scoppia la guerra, Parigi viene invasa dai nazisti. E l’unica copia originale e in ottimo stato della pellicola scompare misteriosamente dal laboratorio che la custodiva. «Qui non si è mai saputo cosa sia davvero successo — spiega Farinelli — ma certamente sono i tedeschi a portarla via: e non parliamo di un trasporto facile, tra immagini e sonoro sono una quarantina di casse con dentro le bobine. Che riappaiono — e questo lo sappiamo con sicurezza — a Berlino. Ed è un bene: quel laboratorio parigino viene bombardato, se fosse rimasta lì La grande illusione sarebbe stata distrutta». Intanto quelle casse così preziose, approdate nella capitale tedesca, ai tempi dell’occupazione vengono rubate dai sovietici e portate in un archivio a quaranta chilometri da Mosca. Prova evidente, chiosa Farinelli, «che entrambi i grandi tiranni, Hitler e Stalin, sono grandi cinefili».
Nel 1958, ignaro di questi furti e convinto che l’originale sia stato distrutto dal bombardamento, Renoir fa uscire di nuovo in patria il suo capolavoro; utilizzando però delle copie non proprio perfette. Malgrado questi piccoli difetti, lo stile inarrivabile e il profondo umanesimo che lo pervadono influenzano tanti grandi cineasti: dallo Stanley Kubrick di Orizzonti di gloria (un vero e proprio omaggio) a Kurosawa, ai nostri Fellini a
Sergio Leone. A metà degli anni Sessanta, però, la Cineteca di Tolosa scopre che il negativo è nascosto nella capitale russa. E così propone uno scambio geniale: la restituzione alla Francia in cambio di un James Bond con Sean Connery. Il film torna a casa, ma resta a languire negli archivi. Perché è solo adesso, grazie al lavoro di restauro voluto da Tolosa e da StudioCanal, e svolto dalla Cineteca di Bologna, che
La grande illusione torna davvero allo splendore — e al montaggio — del 1937. In Francia, nel frattempo, è di nuovo uscito nei cinema a Natale 2011, ed è stato visto da trentamila spettatori: un risultato straordinario, per un film d’epoca in bianco e nero. A dimostrazione dell’eterna giovinezza di un’opera unica, sopravvissuta alle tempeste della Storia.

Claudia Morgoglione