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 2012  giugno 24 Domenica calendario

I segreti svelati nel cuore della City – Non appena l’Europa parla di Tobin Tax o di centralizzare la supervisione finanziaria, Londra fa muro

I segreti svelati nel cuore della City – Non appena l’Europa parla di Tobin Tax o di centralizzare la supervisione finanziaria, Londra fa muro. Teme per gli interessi della City. Ma che cos’è la City? È la capitale, dicono, del secondo impero britannico, fondato sul flusso incessante dei capitali e non più sulla flotta. Ma è mai stata analizzata bene questa capitale? La risposta è no. Ben venga allora Nicholas Shaxson, che a questo misterioso santuario del denaro dedica un lungo capitolo del suo Le isole del tesoro, un’ottima indagine sui paradisi fiscali appena tradotta da Feltrinelli. La City è un’area di Londra, estesa per 3,16 chilometri dove risiedono 9 mila persone e lavorano in 350 mila. Qui si svolge la metà delle compravendite azionarie di tutto il mondo, il 45% di transazioni in derivati fuori borsa, il 70% degli scambi di obbligazioni in euro, suprema beffa da parte di chi snobba la moneta unica. Negli anni 50, le banche americane vi accorrevano per aggirare i vincoli rooseveltiani e ora per sfuggire alle riforme di Obama. In riva al Tamigi è consentito tutto. È così stata la filiale di Londra a dare il colpo di grazia all’Aig, la grande compagnia assicurativa Usa che fece crac nel 2008. E sempre dal desk londinese sono venuti i guai per la sedicente virtuosa Jp Morgan. La City è una piazza offshore, capace di drenare 332 miliardi di dollari in un anno da Jersey, Guersney e dall’Isola di Man, le dipendenze-canaglia della Corona. Ha competenze finanziarie, giuridiche e commerciali affinate nei secoli. È anche una piazza riservatissima. Non in forza di leggi svizzere ma grazie al sistema dei trust e al suo essere, in fondo, un club di vecchi compagni di scuola. Capita che siano le banche inglesi a incanalare segretamente i capitali iraniani e sudanesi verso gli Usa. Il Regno Unito consente ai residenti esteri domiciliati nei Paesi d’origine di non versare imposte sui guadagni fatti in giro per il mondo: 54 paperoni di questa razza, con patrimoni per 126 miliardi di sterline, pagarono nel 2006, anno d’oro, solo 14,7 milioni di imposte, due terzi delle quali per merito di tale James Dyson, settore aspirapolveri. Ecco perché Londra è piena di oligarchi russi, finanzieri arabi, industriali indiani e nuovi ricchi africani. Ma il punto più sconvolgente è l’assetto istituzionale, retto sulla City of London Corporation, la più antica autorità municipale del mondo. Risale a prima dell’invasione normanna del 1067. La presiede il Lord Mayor che non risponde né al Mayor, il sindaco della capitale, né al governo né alla Corona in virtù di antiche guarentigie. Il suo rappresentante, custode della deregulation, è l’unico gentile che siede nel tempio della democrazia, la Camera dei Comuni, davanti al premier. La Court of Common Council, il parlamentino della City, viene eletta dalle società, con 23 mila voti, e dai residenti. Tony Blair ha portato a 32 mila i voti delle società, suddivisi in ragione del numero dei dipendenti ma esercitati dai grandi capi. Con il New Labour, il Regno Unito ha consegnato il suo cuore a Goldman Sachs o, domani, alla Bank of China. La culla dello Stato di diritto ha un problema. Il blairismo non è la soluzione. Massimo Mucchetti