Paolo Di Stefano, Corriere della Sera 24/6/2012, 24 giugno 2012
Scrivere con la penna Quel gesto uscito dalle nostre vite – L’ultima volta che hai preso in mano una penna per scrivere? Non un’ora fa, non due ore fa, non ieri, nemmeno l’altro ieri e nemmeno cinque giorni fa
Scrivere con la penna Quel gesto uscito dalle nostre vite – L’ultima volta che hai preso in mano una penna per scrivere? Non un’ora fa, non due ore fa, non ieri, nemmeno l’altro ieri e nemmeno cinque giorni fa. Ma, se ricordo bene...: sei settimane fa. Un mese e mezzo fa!? Proprio così hanno risposto, in media, gli adulti del Regno Unito a un sondaggio pubblicato dal quotidiano Mail online. Si sapeva che la scrittura a mano era in declino, ma non fino a questo punto. Si parla, ovviamente, di adulti, perché per il momento i ragazzi in età scolastica la penna la usano, non certo la stilografica ma la biro, però la usano: almeno finché non disporranno di un portatile in classe o non potranno dettare i loro componimenti su Dragon. Dei duemila intervistati, i due terzi hanno confessato che, se utilizzano la penna, è solo per fare scarabocchi veloci, segnare rapidi promemoria, prendere appunti a uso immediato che però non sarebbero in grado decifrare dopo qualche ora, tali e tante sono le abbreviazioni e i segni in codice. Hai passato anni a svenarti regalando stilografiche ai tuoi nipoti per la Cresima o per i compleanni che contano, sicuro di fargliene un omaggio a futura memoria, una specie di immarcescibile atto di fiducia, di promessa per la vita, perché intuivi che attraverso la scrittura intesa come calligrafia passava tutto, il carattere del ragazzino, le sue ambizioni, la sua cultura. Ma è stato inutile, chissà in che angolo di scrivania o in quale scatolone dimenticato in cantina saranno finite: eppure erano oggetti bellissimi, neri, lucidi, in resina, in lacca di Cina, pennino a vista o coperto, finiture cromate. Parker, Waterman, Aurona, Omas, Pelikan, Montblanc, Cartier delicatamente adagiate sul velluto e fermate da un elastico... Nomi eleganti che, impressi sull’astuccio, facevano il tuo status symbol di generoso donatore e insieme promettevano — al figlio di tuo fratello, di tua sorella o di un amico — maturità, carriera, prestigio, futuro. Nomi che chiedevano, a chi impugnava quelle stilografiche, di dimostrarsi all’altezza del carisma riposto nel marchio. E la prima prova per il ragazzino era la firma, che in genere imitava quella autorevole di papà: per esteso, inclinata e piena di svolazzi improbabili. Usare la penna, esibirla, aveva a che fare con l’orgoglio: oggi, ci informa Mail online, una persona su sette ammette di provare vergogna della propria calligrafia, persino del proprio autografo. Già, la firma. Nemmeno una firma nelle ultime sei settimane? Possibile? Non un accordo da sottoscrivere? Non una carta di credito? Un segno di riconoscimento vergato su un modulo? Tutto digitale? Avanti così e tra un paio d’anni prenderai la penna in mano ogni sei mesi e magari a rovescio. Avremo case senza mozziconi di matita nei vasetti di cucina e senza penne bic accanto al telefono (già, nel frattempo è scomparso anche il telefono!). I tuoi figli disegneranno con il ditino sul touch screen e per sillabare useranno solo la tastiera: non per niente si chiamano nativi digitali. Nella loro pagella la vecchia materia «Disegno e bella scrittura» sarà sostituita dalla voce «Design, mouse e abilità nel cliccare». Ti piacerebbe che tuo figlio non sapesse scrivere a mano? Pensa a un bambino che a scuola impari solo a digitare e non sappia tracciare un segno di matita su un foglio. Lo sai che l’anno scorso un’équipe di neurofisiologi francesi e norvegesi ha dimostrato che la scrittura a mano accende molte più aree cerebrali rispetto al semplice digitare su una tastiera? Perché usando la penna su un foglio «vediamo» e «sentiamo» il formarsi delle lettere sotto i nostro occhi e le nostre dita, dunque sviluppiamo notevoli abilità visive, motorie e costruttive. In fondo poi la grafia è sempre stata considerata un’espressione inconfondibile del carattere, anche se la grafologia non ha mai avuto dignità di scienza esatta, però dovresti sapere che le perizie calligrafiche servono ancora oggi, persino in sede giudiziaria, a riconoscere la paternità dello scrivente: ti sembra poco? E dove finirà il carattere di un bambino quando la sua grafia sarà sostituita da quella del computer? Sì, d’accordo, è vero che anche il computer ha i suoi caratteri, Times Helvetica Arial Bodoni..., ma il temperamento individuale è un’altra cosa. Dunque, prendi il coraggio a due mani, non dico di pretendere dai tuoi nipoti che vadano in cantina a riesumare i tuoi nobilissimi regali d’antan, ma affronta senza paura e senza vergogna il rischio di venire accusato di moralismo, disfattismo, catastrofismo apocalittico e luddismo antitecnologico, e ogni tanto fatti vedere da tuo figlio con in mano una bic. Ci sono cambiamenti a cui bisogna resistere o dobbiamo accogliere tutte le novità a braccia aperte, sottoscrivendo incondizionatamente le magnifiche sorti tecnologiche e progressive senza neanche l’orgoglio di impugnare una penna ma solo con un banalissimo clic? Paolo Di Stefano