Andrea Senesi, Corriere della Sera 24/6/2012, 24 giugno 2012
Formigoni e l’inchiesta: non mi dimetto – «La notizia non è vera, ma se lo fosse le accuse a mio carico sarebbero comunque false»
Formigoni e l’inchiesta: non mi dimetto – «La notizia non è vera, ma se lo fosse le accuse a mio carico sarebbero comunque false». «E in ogni caso anche altri governatori sono inguaiati e sotto inchiesta». Roberto Formigoni, il giorno dopo. Il presidente lombardo non si dimetterà, neanche dopo aver scoperto dal Corriere di essere indagato per corruzione e finanziamento illecito. Rimarrà al suo posto, il «Celeste governatore». L’iscrizione nel registro degli indagati? «È falsa. Mi aspetto una smentita. Una smentita chiara e definitiva». E non importa che poco dopo anche le agenzie batteranno la notizia: Formigoni è indagato con il faccendiere Pierluigi Daccò, in carcere dal 15 novembre. Il suo stupore è figlio di un abbaglio giuridico: «Se c’è in corso un’indagine a carico di una persona, il primo a essere informato è la persona stessa; io non ho ricevuto alcun avviso di garanzia e, conoscendo la correttezza della Procura di Milano, escludo che abbia avviato un’indagine su di me senza informarmi». È nervosissimo, Formigoni. La conferenza stampa, ironia maligna della sorte, era stata convocata fin dal tardo pomeriggio del giorno prima. Le «importanti comunicazioni» dovevano risolversi nel nuovo attacco ai giornali e ai giornalisti «di regime» che lui da tempo ha peraltro provveduto a querelare. E invece, giacca azzurra su polo blu, il presidente non può, come si dice, esimersi. Dall’undicesimo piano di Palazzo Lombardia ripete la «sua» verità, dopo aver tentato di stoppare le domande dei cronisti. «Né io ho ricevuto alcun vantaggio da Daccò né Daccò ha ricevuto alcun vantaggio da me». Il punto è proprio questo. Dimostrare «in maniera inoppugnabile» che ci sia stata «contropartita» ai favori ricevuti da Daccò. È l’undicesimo indagato del Pirellone (anche se un paio di consiglieri si sono nel frattempo dimessi). Il Formigoni quater sembra una maledizione. Il listino con Nicole Minetti, Renzo Bossi tra i banchi della Lega, le presunte firme false al listino bloccato, il potentissimo direttore generale della sanità finito anche lui sotto inchiesta. Le opposizioni sono risalite alle origini e hanno fatto di conto. «Diciassette scandali in diciassette anni», dicono quelli di Sel. La spina però la può staccare solo la Lega. La nuova guardia maroniana lancia segnali equivoci. «Se emergerà una prova di qualche porcheria lo manderemo a casa», tuona Matteo Salvini. Per ora non è aria: Maroni e Formigoni si vedranno solo lunedì prossimo, anche se della questione s’inizierà a parlare dal «federale» di domani. Umberto Bossi sembra intanto assai conciliante. Il vecchio leader, che pure non aveva risparmiato frecciate al veleno al Celeste («Qua ne portano via uno a settimana», sibilò solo qualche mese fa), ora sceglie toni morbidi: «Vediamo la verità, aspettiamo che la magistratura si faccia viva. L’unica cosa che so è che la sanità in Lombardia è perfetta, lo so perché abbiamo l’assessore noi». Anche i big del Pdl si fanno sentire, questa volta. Il segretario Angelino Alfano, intervistato da Tgcom24: «Non credo siano necessarie né opportune le sue dimissioni, perché ha governato sempre bene la Lombardia con grandi risultati. La sua Regione è diventata un modello di riferimento e anche di eccellenza dal punto di vista della gestione di alcuni settori pubblici come istruzione e sanità». Anche Ignazio La Russa «esalta» l’eccellenza lombarda. «Ribadisco ancora una volta la mia sincera solidarietà a Roberto Formigoni, un presidente che è riuscito a trasformare la sua regione in un autentico punto di riferimento a livello nazionale». Dal fronte opposto, l’invito alle dimissioni assume registri quasi accorati: «Adesso serve subito un atto di grande responsabilità verso i lombardi», scandisce Maurizio Martina, segretario regionale del Pd: «Questa situazione non è paragonabile ad altre vicende territoriali; occorre prenderne atto e agire di conseguenza, mettendo innanzitutto al riparo l’istituzione». Il centrosinistra lombardo si è fatto però bocciare solo un paio di settimane fa una mozione di sfiducia contro il governatore. Ma lo scandalo rischia ora di arrivare fino a Rimini. Dice il senatore dell’Idv, Stefano Pedica, che «sospendere l’edizione di quest’anno del Meeting di Cl sarebbe l’unica soluzione per riprendere la legalità e la trasparenza della manifestazione». Andrea Senesi