Federico Rampini, Affari & Finanza 25/6/2012, 25 giugno 2012
TASSA SUI RICCHI BARACK OBAMA SUPERATO A SINISTRA DA JERRY BROWN
Bloccata a Washington, ma approvata a Sacramento. E’ la tassa sui ricchi che vorrebbe Barack Obama, ma che non riesce a far passare finché i repubblicani hanno la maggioranza alla Camera e gli bocciano ogni legge di bilancio. Questa imposta sui redditi più elevati, che inverte una tendenza fiscale “regressiva” in atto da un decennio, è stata approvata invece nella capitale della California. L’assemblea legislativa locale, dominata dai democratici, ha detto sì alla proposta formulata dal governatore Jerry Brown, anche lui democratico. La nuova legge di bilancio della California merita attenzione per diversi motivi. Promette di risolvere una crisi della finanza pubblica locale che non aveva precedenti dai tempi della Grande Depressione: si è arrivati a un deficit corrente di 16 miliardi di dollari. Il modello californiano è anche importante perché spesso questo Stato, oltre ad essere il più ricco degli Usa (sarebbe un membro del G8 se fosse indipendente, ha un Pil superiore a Canada e Italia) funge da “laboratorio” per soluzioni che poi vengono adottate anche altrove. In questo momento lo si dovrebbe definire un laboratorio di sinistra, visto che Brown è un progressista con un passato perfino radicale: molto prima dell’elezione di Obama, fu lui a spezzare una prima barriera razziale perché quando fu candidato alla nomination per la Casa Bianca nel 1992 annunciò che avrebbe scelto il nero Jesse Jackson come vice. Per molte ragioni,
quindi, la terapia varata da Brown per sanare il deficit della California può prefigurare quella che sarebbe un’austerity di sinistra, nell’ipotesi che Obama venga rieletto e abbia un Congresso a maggioranza democratica. La conclusione: non sono tutte rose e fiori. Da una parte, c’è l’aumento del prelievo fiscale sui redditi medio-alti. Scatterà a partire da 250.000 dollari di reddito lordo annuo per un singolo. L’aliquota locale verrà alzata dall’attuale 10,3% al 13,3% quindi con un aumento di tre punti percentuali. Nel sistema americano, questo prelievo si aggiunge a quello federale, che per i più abbienti prevede un’alqiuota marginale massima del 35% (aumenterà al 36,5% se a fine anno scadono gli sgravi di George Bush, com’è probabile). Quindi il prelievo sul reddito di un californiano oltre i 250.000 passa al 48,8% (e supera il 50% a fine anno), livelli che sono non molto distanti dall’Europa, e smentiscono il luogo comune che dipinge l’America come una sorta di paradiso fiscale rispetto ai “socialismi oppressivi” del Vecchio continente. A questo si aggiunge un moderato rincaro della Sales Tax, una sorta di Iva locale sui consumi, che passa dal 7,5 al 7,75%. Gli aumenti di gettito non bastano, però. A questi si accompagnano anche dei tagli di spesa, tutt’altro che indolori. Gli aiuti ai disoccupati verranno a cessare al termine di due anni, abbandonando proprio quei disoccupati di lungo periodo che sono i più deboli. 900.000 bambini di famiglie sotto la soglia della povertà perderanno l’assistenza locale offerta dal programma Healthy Families, e finiranno sotto l’ombrello del Medicaid federale, un programma di aiuti molto più avaro. Poiché gli aumenti di imposte sono sottoposti alla ratifica di un referendum popolare, se non passano Brown ha già inserito nella legge di bilancio un ulteriore taglio di 6 miliardi nei finanziamenti statali per la scuola. Potrebbero essere necessari anche altri tagli, se si rivelano troppo ottimistiche le previsioni di gettito di 1,9 miliardi sul capital gain del collocamento di Facebook in Borsa, previsioni basate sull’ipotesi di un valore di 35 dollari per azione. Non c’è di che stare allegri neppure per la versione californiana dell’austerity.
Federico Rampini