Giovanni Tesio, La Stampa 25/6/2012, 25 giugno 2012
Antologista en titre , Guido Davico Bonino ha un’irresistibile vocazione per le letture trasversali – tematiche – delle nostre patrie lettere, di cui sa scovare anche gli esiti meno evidenti o noti, frugando, estraendo, allineando
Antologista en titre , Guido Davico Bonino ha un’irresistibile vocazione per le letture trasversali – tematiche – delle nostre patrie lettere, di cui sa scovare anche gli esiti meno evidenti o noti, frugando, estraendo, allineando. Ne sono testimoni le «cento poesie satiriche italiane da Cecco Angiolieri a Sergio Corazzini», che con il titolo Il falò delle vanità ha appena pubblicato presso le vercellesi Edizioni Mercurio (pp. 144, € 12). Un librettino quasi da tasca che contiene un alto potenziale di smascheramento, a cui lo stesso curatore non è certo estraneo, se è vero che ne ha fatto buona pratica nella sua recente raccolta poetica, Nient’altro che amore , pubblicata da Manni. Il termine «satira» o l’aggettivo «satirico» si prestano a qualche equivoco, come accade alle etichette che si vogliano applicare con eccessiva pretesa. Ma qui la mano è larga e nel concerto entrano voci di varia natura. Componimenti da levare la pelle, componimenti che svelano ipocrisie, componimenti ad alzo zero, componimenti-capestro, componimenti-pretesto. E alcuni risuonano più come divertimenti un po’ linguaioli che non come testi mirati a sbeffeggiare un vizio, un tic, una moda, un comportamento conformista. Italiano, macaronico e dialetto (Teofilo Folengo, il siciliano Paolo Maura, il veneziano Giorgio Baffo, Francesco Gritti, Domenico Tempio, Carlo Porta, Giuseppe Gioacchino Belli, Renato Fucini) per un’infilata di umori moralistici o bislacchi. Dagli autori più prevedibili (l’Angiolieri, il Lasca, il Berni, il Burchiello…) agli autori più sorprendenti (Filippo Pananti, Giovanni Giraud) o semplicemente più bizzarri, più fumiste (per tutti Ernesto Ragazzoni). Tra i tanti mi terrei però a un unico esempio di non poca attualità. Lo sconosciuto ai più (ma in vita ben noto) cavalier Antonio Baratta (1802-1866) che scrive il suo «epitaffio» al Cavour: «Passeggier, troppo vicino / a quest’urna non ti accosta: / se si sveglia l’inquilino, / paghi subito un’imposta». Al lettore d’oggi ogni più applicabile facoltà di estensione.