Domenico Quirico, La Stampa 25/6/2012, 25 giugno 2012
Mohammed Morsi è un uomo senza spigoli, senza angoli, dal mite volto domestico, vive nell’armonia di un mondo in cui lotte per noi titaniche neppure turbano il silenzio
Mohammed Morsi è un uomo senza spigoli, senza angoli, dal mite volto domestico, vive nell’armonia di un mondo in cui lotte per noi titaniche neppure turbano il silenzio. La sua serenità regna su quei confini del cuore e della ragione dove non penetra nessuno spirito che non sia islamico, la sola ideologia capace di tener testa a tutte le mode. L’Egitto, invece, è un Paese di superstiti. Ciascuno viaggia con un suo incubo nel bagaglio, con una funesta memoria da cancellare. Ma una barba non spaventa nessuno, è quella di un buon zio arrivato dall’America con le tasche piene di caramelle. Devoto, devotissimo, per carità, ma nessuno potrebbe immaginarlo partigiano di un dio inesorabile, inveire contro i miscredenti, zuppificare anatemi, pestiferare jihad. In America è andato davvero, a specializzarsi nella sua laurea in ingegneria. La permanenza in quel paese di crociati o miscredenti, detentori di una malefica potenza, non sembrano davvero averlo contagiato. Ne è uscito purissimo, fortificato, ed è tornato a fare il suo dovere di bravo egiziano a fianco dei Fratelli, attento a non allontanarsi mai dalla linea zigzagante tracciata dai pontefici del partito. Il suo slogan elettorale - «L’Islam è la soluzione» - certo non lo ha escogitato negli anni in cui è stato assistant professor all’università di California. È stato in galera sotto Mubarak; ovviamente, verrebbe voglia di dire. Come se quel passaggio non fosse che una inevitabile casella della sua biografia politicamente correttissima per i tempi che dicono Nuovi. I tempi della rivoluzione (fatta da altri) e del potere. Non ci rimane che cercarlo nelle sue promesse: se ce lo nascondono è forse perché lo contengono. La sua ideologia, a quel che raccontano, sembra un sacco rigonfio, da cui può trarre ogni volta qualcosa per accontentare i dubbi e le paure degli osservatori più diversi, occidentali e folli di dio, miliardari e senzatutto. Adora il libero mercato e questo manda in estasi gli americani ( il semplice fatto che abbia studiato negli Stati Uniti oltreoceano rende qualsiasi biografia accettabile fino a prova contraria). Ma ha già garantito di voler porre un argine alla dipendenza dell’Egitto da Washington, grottesca eredità dell’era Mubarak. Lo tenta l’estensione di «alcuni principi» della sharia nel sistema giuridico egiziano. Ma, per carità!, non vuole una teocrazia che violi i diritti delle altre religioni come i copti. Vuol aiutare i palestinesi nella loro lotta sacrosanta; ma alla Cnn ha assicurato di voler rispettare la pace con Israele «se Israele la rispetterà». Intende lottare contro l’inflazione e al Fondo monetario lo guarderanno con gli occhi dolci. Ma il progetto di aumentare la tassazione del due per cento per aiutare gli egiziani poveri non appare certo contagiata da pruriti rivoluzionari. Morsi è un candidato di riserva, una seconda scelta dopo che il leader dei Fratelli El Shater è stato eliminato dal veto della commissione elettorale e dei militari. Spesso i sostituti sono più determinati, brutali e tenaci dei predestinati. Piano piano, come un altro costruirebbe un prodigioso orologio, cominciano a montare il proprio successo. È un debole che odia la debolezza, la sua e quella del suo Paese. Che ha rifiutato di cedere, rispetto all’Occidente, alla vertigine del vinto, ubriacato dall’odore del suo vincitore, che gli bacia i ginocchi con un vergognoso slancio di amore. Come Sadat e Mubarak. In fondo l’Egitto, ai tempi di Nasser, ha inventato la tattica di non riconoscersi sconfitto anche quando lo era. Morsi assomiglia alla confraternita cui appartiene, opaca settaria sfuggente: movimento di massa e organizzazione segreta clandestina, i cui componenti praticano la dissimulazione e la contraddizione, alcuni vestiti all’occidentale, altri con il caffetano, alcuni rasati altri con la barba assira dei fondamentalisti, c’è chi stringe la mano alle donne e chi volge loro la schiena come fossero il demonio. Discuti con Fratelli che ti sorprendono per modernità, mentre altri sembrano caricature dell’ottusità e del fanatismo. La confraternita che dopo quasi un secolo di battaglie e di repressione ha conquistato il potere mescola militanti che si sforzano di essere islamici e democratici, credono che la sharia sia incompatibile con la modernità, e leggono Fahmi Huwaydi, passati dalla sinistra all’islamismo, con altri che vogliono cambiare radicalmente il presente che odiano, sradicare la mala pianta dei peccatori e degli empi cui attribuiscono la colpa di tutti i mali della società. La maggioranza appartiene probabilmente a un tipo intermedio dove, nel polverone, si acquattano piccoli uomini dai cento sotterfugi e dalle mille vanità e bugie, falsamente rigorosi, segretamente lascivi. Di cui Morsi è il prototipo e il simbolo. Di un soggetto Morsi non ha mai parlato: i militari. Saggia prudenza: è con il loro accordo che è diventato presidente.