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 2012  giugno 25 Lunedì calendario

Non inganni la pesante tutela impostagli dai militari, non porti fuori strada la definizione di «faraone dimezzato» che già molti hanno creduto di potergli attribuire: il fratello musulmano Mohammed Morsi, vincendo le elezioni presidenziali, ha cambiato la storia dell’Egitto

Non inganni la pesante tutela impostagli dai militari, non porti fuori strada la definizione di «faraone dimezzato» che già molti hanno creduto di potergli attribuire: il fratello musulmano Mohammed Morsi, vincendo le elezioni presidenziali, ha cambiato la storia dell’Egitto. Morsi è il primo presidente che non viene dai ranghi dell’esercito o dell’aeronautica. Morsi è il primo esponente islamista del mondo arabo che diventa capo di Stato per via elettorale. Morsi, soprattutto, è il primo egiziano che riceve una maggioritaria legittimazione popolare da quando la primavera di piazza Tahrir ha spazzato via l’era Mubarak. Quanto basta per comprendere perché l’istituzione militare della vittoria di Morsi abbia avuto paura, perché l’abbia annunciata in ritardo quasi esitasse sul da farsi, e perché, nel tentativo di coprirsi le spalle, al responso delle urne abbia applicato un preventivo filtro di garanzia. Ieri al Cairo prevalevano i sorrisi, i militari si congratulavano con il nuovo presidente, Morsi elogiava i militari, tutti insieme festeggiavano il balzo in avanti della transizione democratica. Ma il tempo delle cortesie, ora che la forza e la storia si confrontano e rischiano di scontrarsi, potrebbe durare poco. Prima i generali hanno sciolto il Parlamento a maggioranza islamista. Poi hanno stabilito che ai militari spetteranno il potere legislativo fino alle prossime elezioni e quello di controllo sul bilancio, che saranno loro a nominare la commissione incaricata di redigere la nuova Costituzione, che non potrà mutare la composizione del Consiglio che ha finora governato l’Egitto, e che se dovesse sorgere qualche contrasto, ma sarà meglio che non sorga, a decidere sarà l’amica Corte suprema. Chiarito questo, la parola poteva passare alle urne. Una farsa, se la storia non fosse di solito più potente della forza come proprio piazza Tahrir ha dimostrato. E così oggi è a Mohammed Morsi che dobbiamo guardare, è da lui che dovremo capire se la Fratellanza punterà al compromesso con i militari oppure se farà ricorso alla piazza per invalidarne i diktat, è da questo ingegnere formatosi negli Usa ma in passato propenso all’estremismo che dovremo cogliere segnali di rassicurazione o di allarme in un Mediterraneo ancora scosso, e talvolta insanguinato, dalle ricadute delle «primavere». L’Italia ha da oggi un presidente islamista sull’uscio di casa, nel più popoloso e più influente Paese del mondo arabo. E continua ad avere davanti alla porta, beninteso, anche i suoi controllori in divisa. Sarebbe tempo perso pensare al ’52, al golpe soffice dei militari contro Faruk, e credere che Morsi possa fare la stessa fine. Malgrado i tanti altri problemi che ci affliggono dobbiamo invece trovare la volontà di dialogare con entrambi gli schieramenti e favorire una loro intesa. Dobbiamo dire al presidente Morsi che noi stiamo con chi viene eletto ma che i nostri interessi e i nostri valori prevedono limiti invalicabili (dalla condizione della donna alla politica di pace verso Israele). Dobbiamo dire ai nostri soci europei che questo non è l’ennesimo problema dei «meridionali» della Ue, che fornire aiuti all’Egitto per stabilizzarlo è interesse di tutta l’Europa. Se avremo successo, la storia avanzerà. E i militari, forse, un giorno torneranno nelle caserme.