Dario Fertilio, Corriere della Sera 23/06/2012, 23 giugno 2012
IL PRIMO SIGNORE DEGLI ANELLI - P
rima che tutto incominciasse, prima del duello tra Frodo e Sauron, «l’Oscuro Signore», prima della nascita della Compagnia dell’Anello e della fama di sir John Ronald Reuel Tolkien, prima del mito universale della fantasia eroica e dei film che hanno fatto impazzire milioni di giovani e anziani adolescenti; prima di tutto questo, c’era Lo Hobbit. Quel prologo leggendario a Il Signore degli anelli, impersonato da un certo Bilbo Baggins, pacifico «mezzuomo» destinato a mettere in moto la saga tolkieniana, torna ora in libreria con un diverso editore e una traduzione nuova di zecca. Dalla Adelphi del 1973, dunque, Lo Hobbit trasloca alla Bompiani di oggi (pp. 410, 11) affidandosi, dopo quella storica di Elena Jeronimidis Conte, alla versione italiana firmata da Caterina Ciuferri, corredata dalle illustrazioni simpaticamente vecchio stile di Alan Lee. Con in più la supervisione di Paolo Paron, fondatore della Società tolkieniana italiana, a imprimere il marchio doc sia sulla trama che sul complesso vocabolario fantastico dell’autore.
Alcune cose cambiano, nella nuova versione dello Hobbit, a cominciare dal sottotitolo Un viaggio inaspettato, ritenuto più accattivante dell’originale Un viaggio e ritorno. Non muta invece la sostanza degli avvenimenti, descritti da Tolkien ben vent’anni prima della celebre trilogia del Signore.
Siamo dunque di fronte all’opera di un autore ancora giovane, eppure già innamorato delle stesse fantasie eroiche che più tardi lo avrebbero reso immortale. Affascinato dal loro significato profondamente morale (l’anello del potere tende sempre a corrompere persino la più generosa natura umana) e religioso (il mito esprime la ricerca arcaica di una possibile salvezza, annunciatrice di quella cristiana, e segna l’irrompere del sacro nella vita quotidiana).
Il mondo alternativo di Tolkien, insomma, nello Hobbit è già formato; vi alita il genio visionario del suo inventore, e quasi vi si può intuire, sotto forma di presagio, la futura comparsa dell’hobbit Frodo, del nano Gimli, degli elfi dalla vista di falchi e della bellissima Arwen, dei terribili Cavalieri neri nonché di Aragorn, l’eroe senza macchia. Quanto al mago Gandalf, campione di magia bianca, lo troviamo già presente e saldamente protagonista nello Hobbit: è lui infatti a mettere in moto l’intera vicenda, spingendo il pacifico Bilbo a sfidare pericoli mortali pur di impossessarsi del tesoro custodito da un drago.
Dalla lettura del nuovo Hobbit si ricava un presagio: qualcosa spinge i nostri eroi verso la conquista fatale dell’Anello del Potere, magico talismano intorno al quale poi si scatenerà la battaglia finale del Signore degli Anelli, in una specie di «Armageddon» o giudizio universale, tra le forze del Bene e quelle del Male. Ciò che cambia, nella nuova traduzione firmata da Caterina Ciuferri, sono in parte il ritmo e lo stile, più vicini al modello anglosassone.
Il famoso incipit della favola, ad esempio, originariamente suonava così: «In un buco nel terreno viveva uno hobbit. Non era una cavità brutta, sporca, umida, piena di vermi e di trasudo fetido, e neanche una caverna arida, spoglia, sabbiosa, con dentro niente per sedersi o da mangiare: era una casa hobbit, cioè comodissima». Ecco invece la versione più moderna: «In un buco nella terra viveva uno hobbit. Non era un buco brutto, sudicio e umido, pieno di vermi e intriso di puzza, e nemmeno un buco spoglio, arido e secco, senza niente su cui sedersi né da mangiare: era un buco-hobbit, vale a dire comodo».
Poi, inoltrandosi nei capitoli, gli appassionati del genere troveranno lievi ma significative differenze: niente più «orchetti», per cominciare, ma tetri «orchi»; non più i tre «Uomini Neri» che si pietrificano alla luce del primo sole, ma i veri e antichi «Troll»; non più la «Valle» ma la «Conca»; fra i nomi degli animali compariranno differenze perdute nella versione precedente, come i «corvi imperiali» distinti dai semplici «corvi», dove ogni razza contribuisce a caratterizzare la complessa cosmogonia di Tolkien. Nell’insieme, non una rivoluzione ma un adattamento: la traduttrice ammette di aver tenuto conto dei fedeli lettori di Tolkien, troppo affezionati ai vecchi nomi per accettare sostituzioni, sia pure filologicamente corrette. Del resto era stato l’autore stesso a lasciare l’indicazione precisa ai suoi editor di rispettare certi arcaismi presenti nello Hobbit, come il termine «Gran Burrone» per indicare la sede degli elfi, destinata poi a diventare Rivendell ne Il Signore degli Anelli, cioè il luogo dove si terrà il famoso Consiglio di guerra prima dello scontro finale.
Qualcosa cambia e molto rimane lo stesso, insomma, nella nuova versione dello Hobbit, e ne risultano ravvivati i colori dell’avventura: la descrizione della vita tranquilla nella Contea, su cui Tolkien indugia all’inizio, serve a infittire per contrasto il mistero che incombe, annunciando il pericolo, tratteggiando il profilo del Nemico pronto ad afferrare chiunque abbia il coraggio di varcare i confini, mettendosi sulla strada dell’ignoto.
È questa, sembra ricordarci l’autore, la situazione archetipica di ogni favola: serenità e gioia sono da godere fin che ci sono, ma non durano a lungo; presto scende la notte e viene il tempo di combattere. Solo dopo, a chi avrà saputo dimostrare il proprio valore, sarà di nuovo concesso ridere e godere.
Certo, a una storia simile le pagine in bianco e nero vanno un po’ strette, i suoi protagonisti chiedono d’essere tradotti in immagini da film. Ed ecco la grande notizia lungamente attesa dal fedele popolo dei tolkieniani: l’uscita sullo schermo, programmata per il prossimo dicembre, de Lo Hobbit, con la regia dello stesso Peter Jackson, il regista neozelandese già autore de Il Signore degli Anelli.
La prima parte, verosimilmente, si concluderà con la conquista dell’anello magico da parte di Bilbo; la seconda, prevista per il dicembre del 2013, si congiungerà in un ideale prequel alla celebre trilogia.
Prepariamoci dunque a gustarci davanti allo schermo nuovi magici paesaggi neozelandesi; feroci duelli di nani, orchi, draghi ed eroi; il ritorno del grande Christopher Lee (celebre Dracula di horror lontani); la comparsa di nuove creature angeliche oppure diaboliche, capaci di farci sognare un mondo diverso, forse persino peggiore del nostro, ma nel quale si può egualmente sognare di vivere.
Dario Fertilio