Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  giugno 23 Sabato calendario

LE ORDINANZE PAZZE DELL’ESTATE

È di Trani la prima vittima dell’estate 2012 di ordinanza pazza. Una signora è stata bloccata sulla soglia del Comune perché vestita in modo sconveniente. Questo, almeno, secondo la rigida interpretazione delle regole stabilite dal sindaco. Già, perché la colpa della signora è stata soltanto, dato il caldo, di indossare dei sandali e un abito con delle bretelline. Non un costume da bagno, insomma. Ma in municipio sono stati inflessibili: così non si può entrare. Respinta.
Storie come questa capitano ogni estate, quando inizia la stagione delle vacanze e della frenesia cavillatoria dei sindaci i quali si ingegnano, scartabellano atti, discutono e alla fine danno libero sfogo alla fantasia, deliberando regole e divieti che dovrebbero garantire la sicurezza o, semplicemente, la tranquillità di turisti e residenti. Spesso, però, sarà il caldo, sarà che la fantasia al potere non è cosa da tutti, sarà quel che sarà, finiscono per provocare paradossi e polemiche. Negli anni, poi, si è prodotto un catalogo di regole a dir poco curiose, un po’ folli o, quantomeno, creative. E, se il buon giorno si vede dal mattino, anche il 2012 promette bene.
Già da maggio, per dire, a Teggiano, nel salernitano, chi decide di farsi una partita a biliardino rischia grosso: tra aprile e settembre dopo le ore 22 vige il divieto assoluto. Da ottobre a marzo va ancora peggio: il coprifuoco sul calciobalilla scatta addirittura alle 20, nemmeno si trattasse di una finale di Champions league a rischio hooligans. Non è l’unico caso. Le cronache raccontano di divieti simili in vigore già negli anni scorsi anche altrove, da Cambobello di Licata a Villa d’Ogna, nel bergamasco, paese nel quale, peraltro, i biliardini vengono prodotti. Praticamente, un autogol.
A Capri, invece, è tolleranza zero contro i padroni che non puliscono le deiezioni dei propri cani. E con metodi degni di Csi. «Da inizio luglio partiranno i prelievi per acquisire il dna degli animali che fanno parte della anagrafe canina», annuncia il sindaco, Ciro Lembo. Servirà per identificare il produttore, per così dire, del rifiuto. Il sistema, spiega ancora il sindaco, funziona così: «Schediamo tutti i cani per costruire un database. Quando troviamo delle feci abbandonate in strada, preleviamo un campione e lo inviamo a Napoli per farlo esaminare». Alla fine, incrociando il responso con il contenuto del database si saprà a chi inviare la multa a casa.
Quella delle regole per il decoro a Capri è storia vecchia: basterà ricordare i divieti sull’uso degli zoccoli di legno o dei costumi da bagno in paese. E storia vecchia è anche quella di certi bizzarri divieti che segnalano l’avvio della bella stagione. E, però, da qualche anno gli italiani in vacanza devono fare i conti con un vero e proprio boom di regole, commi, cavilli i quali possono anche far sorridere e che, però, raccontano un paese litigioso ma soprattutto istituzioni che sembrano essersi arrese all’idea di vietare ciò che non riescono più a governare. Ad aprire le porte a questa deriva fu il pacchetto sicurezza dell’allora ministro dell’Interno leghista Roberto Maroni. Era l’agosto del 2008 e con quel decreto di fatto si ampliavano a dismisura i poteri dei sindaci in materia di sicurezza e ordine pubblico, tanto che alla fine anche la Corte Costituzionale ebbe qualcosa da dire. Ma, intanto, l’argine era rotto. E già da quella estate i sindaci si sbizzarrirono.
Pescando a caso dalle cronache dell’epoca si trova di tutto, a partire dal bando dei lavavetri. Per l’uso delle panchine diventò necessario un libretto di istruzioni: c’era chi vietava di poggiarci i piedi, chi di usarle dopo le 23, chi addirittura ne vietava l’uso ai minori di 70 anni. Lo stesso dicasi per i parchi pubblici: a Napoli si vietò il fumo all’aperto, altrove si proibì ai cittadini di frequentarli in più di due alla volta. Nelle città non si poté più mangiare un panino per strada, usare tosaerba a motore, dare da mangiare ai piccioni, addirittura baciarsi.
Anche Roma diede un contributo, con l’ordinanza, poi ritirata tra le polemiche, che vietava di rovistare nei cassonetti. Su giornali e tv furoreggiò il caso dei castelli di sabbia a Eraclea, nel veneziano. Il sindaco spiegò: «L’unico divieto riguarda i giochi molesti o dannosi per gli altri bagnanti, e fra questi anche fare le buche sulla sabbia, ma solo se possono davvero mettere in pericolo qualcuno». Una delle vette assolute si tocca nel 2010 con l’intervista concessa dal sindaco di Castellammare di Stabia, Luigi Bobbio, al Corriere del Mezzogiorno sulle multe per l’uso di abiti succinti, gonne soprattutto. Alla domanda su quale sarebbe stato il metro di giudizio usato dai vigili urbani, il sindaco rispose: «Basta uno sguardo per giudicare se la minigonna è mutandale». Sì: «Mutandale».
Nel 2012, però, arriva anche qualche segnale in controtendenza. A Venezia si lavora su un esempio classico di delibera sui generis, al limite della eterogenesi dei fini e che ha sollevato polemiche infinite. Eh sì, perché secondo una delibera dell’epoca di Massimo Cacciari, le autorizzazioni per eseguire musica dal vivo non sono concesse in base ai decibel ma al genere musicale. Dunque, al bando il «jazz sperimentale quale free jazz che essendo dissonante potrebbe essere sgradevole o di disturbo».
Più facile la vita per i musicisti appassionati di «revival italiana d’autore e cover melodiche anni ’60«. In molti hanno protestato: regole da Minculpop. Quella delibera formalmente è ancora in vita ma non viene applicata. E in Comune lavorano per superarla. Che, però, forse l’aria stia cambiando lo dice soprattutto una piccola storia raccontata a un quotidiano. «No a ordinanze choc. Così la Lega batte la sinistra», era il titolo del 9 maggio scorso. A Rovato, mentre il Carroccio crollava un po’ ovunque, la leghista Roberta Martinelli riusciva a farsi eleggere sindaco. E spiegava: «Inutile ricorrere a ordinanze e proclami che si rivelano contro la legge». Rovato è a due passi da Adro, il paese della scuola con il Sole delle Alpi; Martinelli è un volto nuovo dello stesso partito dell’ex ministro che aprì la stagione dei supersindaci. Forse così finisce un’epoca; forse no. Alla fine dell’estate lo scopriremo.