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 2012  giugno 18 Lunedì calendario

Ci ho pensato tanto, prima di dire questa cosa. Proprio ci ho pensato, ripensato, è giusto, non è giusto, è giusto, non è giusto…»

Ci ho pensato tanto, prima di dire questa cosa. Proprio ci ho pensato, ripensato, è giusto, non è giusto, è giusto, non è giusto…». Il 19 aprile scorso Giovanni Brusca è seduto davanti ai pm Antonio Ingroia e Lia Sava. Aveva chiesto di essere interrogato nell’ambito di un’inchiesta su un tentativo di estorsione che avrebbe realizzato mentre era in carcere. Per questa vicenda rischia la revoca definitiva del programma di protezione, ma a sorpresa il pentito dice di non essere preparato ad affrontare l’interrogatorio che lui stesso aveva chiesto. I pm a quel punto lo interrogano solo sulla trattativa. E lui comincia a parlare di Marcello Dell’Utri. Aggiunge per l’ennesima volta particolari. Accusa il senatore del Pdl, uno dei 12 indagati per gli accordi fra Stato e mafia, di avere avuto un ruolo negli accordi inconfessabili fra pezzi dello Stato e pezzi della mafia, nel periodo delle stragi. Che non avrebbero portato a un «patto, ma a un ricatto, se non faceva così avremmo continuato nelle bombe». Gli chiedono perché non ne avesse parlato prima e lui sostiene di averlo detto, ma a gesti, al cognato, nel corso di una conversazione intercettata dai carabinieri nel 2010. Dalla trascrizione non risulta: e lui insiste, sostenendo che col fratello della moglie, Salvatore Cristiano, «appassionato di criminologia e che legge i giornali, c’è un’intesa tale che lui capiva al volo quello che volevo dire…». Il verbale è di 29 pagine ed è uno dei motivi della frizione che si è creata all’interno del pool coordinato da Ingroia. Se il pm Paolo Guido non ha voluto firmare l’avviso di conclusione delle indagini preliminari, spaccando il gruppo inquirente e suscitando dubbi anche da parte di molti altri pm, è anche perché non si è convinto di poter affrontare (e vincere) un eventuale processo con questi elementi. Con Brusca, con i ricordi a rate di Claudio Martelli, Massimo Ciancimino, del falso pentito Pino Lipari. Guido, che ha fama di magistrato scrupoloso e per nulla sensibile alle sirene delle eventuali interferenze esterne, agitate in questi giorni dalle intercettazioni tra Nicola Mancino e il consigliere del Quirinale Loris D’Ambrosio, ha chiesto ai colleghi per oltre un mese di rivedere, rileggere, spiegare, provare. E alla fine non ha firmato. Come lo stesso procuratore, Francesco Messineo. Brusca parla pure – per la prima volta nei suoi sedici anni di collaborazione – di Pietro Folena, padovano, ex segretario regionale siciliano del Pci-Pds, noto per il suo integralismo antimafia e anche per avere portato il partito al minimo storico a Palermo, alle elezioni comunali del 1990. «Folena era uno di quelli che prendevano soldi da parte di Vito Ciancimino per il partito – dice Brusca – e a me l’hanno riferito Pino Lipari e mio padre», il boss Bernardo Brusca. «E questo perché non l’ha dichiarato, fino ad oggi?», gli chiedono. «No, io l’ho detto sempre, non mi ricordo…». Pm: «L’ha detto sempre?». Brusca: «Il fatto che Vito Ciancimino pagava tutti i segretari di partito e aveva contatti… Non mi ricordo sinceramente se l’ho fatto o meno, il nome di Folena». Brusca pare arrampicarsi sugli specchi anche quando parla di Dell’Utri. Il delfino di Berlusconi, spiega, avrebbe sostituito Ciancimino nel rapporto con la mafia e anche nella trattativa. Ne ha parlato in netto ritardo, con i pm. Però sostiene di averne discusso col cognato appassionato di criminologia, e che «in più ha queste amicizie, questo debole per Forza Italia e per Berlusconi in particolare». Ma nella conversazione intercettata non c’è traccia di questi passaggi, osservano i pm. «Ad un dato punto dovreste trovare una domanda dove lui mi dice: “Ma tu cosa hai detto di Dell’Utri?”. E io, senza scendere nel dettaglio e guardandoci negli occhi, gli sto dicendo… Non so se dal sonoro si può capire. È nello sguardo, nei toni e nel commento tra me e mio cognato. “Non ho detto tutto” non lo troverete mai…”. La questione ruota anche attorno al rapporto che l’ex stalliere di Arcore, Vittorio Mangano, all’inizio degli anni ’90 avrebbe dovuto riallacciare con Dell’Utri e Berlusconi. Anche su questo punto, dall’intercettazione non emerge che Brusca avrebbe taciuto qualcosa con i pm. «In questo passaggio – spiega lui – guardando negli occhi mio cognato, gli faccio così, con le dita, per dire che non l’ho detto, l’ho omesso… Cioè io nella sostanza a mio cognato sto dicendo che io so di più di quello che ho detto sia pubblicamente che a voi magistrati».