Massimo Muchetti, Sette 22/6/2012, 22 giugno 2012
IL CAPITALISMO AFFOSSA IL SOGNO AMERICANO
Il dato fa impressione. Negli Stati Uniti la ricchezza media delle famiglie americane è tornata ai livelli del 1992. Lo scrive la Survey of Consumer Finances, fatta ogni tre anni dalla Federal Reserve. Nel periodo esaminato, il 2007-2010, la ricchezza finanziaria e immobiliare, al netto dei mutui, è scesa da 125 mila a 77 mila dollari, un valore quest’ultimo inferiore a quello di vent’anni fa. In particolare, cala del 35-45% il patrimonio delle classi inferiori e medie. L’unica fascia della popolazione che incrementa, del 16%, la propria posizione è il 10% più affluente. Qualche settimana fa, l’Istat aveva diffuso dati analoghi per l’Italia. Idem in Francia.
Democrazia addio. È probabile che al di là e al di qua dell’Atlantico la situazione non sia certo migliorata in questa prima metà del 2012. E le prospettive non sono rosee. Anche perché, tornando all’America, si scopre che, mentre nel gradino più basso della piramide sociale il reddito migliora di circa il 6% e nel gradino più alto resta stabile, nella vasta classe intermedia il reddito scende del 5-10%, e dunque rende impossibile il recupero patrimoniale.
Questi andamenti dei redditi e dei patrimoni mettono alla frusta le basi sociali della democrazia americana del Novecento: la classe media che può scommettere sul futuro dei figli; la possibilità di scalare l’universo professionale del proprio Paese in virtù del merito e non delle sostanze ereditate. Vent’anni di deregulation – libera circolazione dei capitali, innovazione finanziaria, delocalizzazione delle industrie in Cina e altrove nel Terzo mondo, depotenziamento sindacale – non hanno diffuso il benessere ma l’hanno concentrato come accadeva alla fine dell’Ottocento con i cosiddetti robber barons.
Meritocrazia. Questo punto è forse il più importante. Il capitalismo finanziario trionfante mina la natura meritocratica della società: il sogno americano, potremmo dire. Basti dire che la vetta della piramide sociale aumenta sensibilmente la propria ricchezza anche senza che i redditi salgano. Nei primi tre anni della crisi, durante i quali la Borsa va e viene e i prezzi degli immobili scendono, capita che il patrimonio dei più fortunati accresca il suo valore. Per quale via? In generale, attraverso Wall Street. I salvataggi a spese dei contribuenti, insomma, determinano andamenti anomali del listino che fanno piovere sul bagnato. E chi aveva la miglior base di partenza ha tratto ulteriori vantaggi. Durerà?