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 2012  giugno 22 Venerdì calendario

PIZZA– DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK-Altro che riforma sanitaria. I poteri forti di tutt’America si stanno mobilitando per fermare l’ultima grande rivoluzione di Barack Obama: quella della pizza

PIZZA– DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK-Altro che riforma sanitaria. I poteri forti di tutt’America si stanno mobilitando per fermare l’ultima grande rivoluzione di Barack Obama: quella della pizza. Tutta K Street, la strada dei lobbysti di Washington, è in subbuglio. E l’altro giorno una delegazione è piombata al Congresso minacciando mica una semplice serrata ma una vera e propria rivolta alla vigilia della più difficile campagna per la rielezione. Motivo? L’obbligo di esporre — per le catene con più di venti negozi — le calorie di una “Napolitana” e di una “Pepperoni”. L’obbligo di indicare quanto può fare ingrassare quella golosissima “Cheese Mozzarella”: magari “Double Cheese”. Sì, la guerra delle calorie è l’ultima insidia nascosta proprio in quella riforma che un’attesissima sentenza della Corte Suprema rischia di ribaltare in questi giorni. Sono più di due anni che i funzionari della Food and Drug Administration lavorano alle linee di attuazione della legge. Che non si pone come obiettivo solo la copertura sanitaria dei 30 milioni di americani finora esclusi: ma si preoccupa appunto della loro salute. Gli scienziati naturalmente si dividono anche sul nesso tra calorie e obesità. Ma concordano sul fatto che l’indicazione delle calorie influenzi i consumi: una ricerca dell’università di Stanford ha calcolato che da quando Starbuks indica le cifre accanto a ogni prodotto i clienti consumano un 6 per cento di calorie in meno. Un conto però è che diminuiscano le calorie: i signori della pizza temono che l’obbligo faccia diminuire direttamente i clienti. Pensate se gli italiani avessero mai brevettato il nome: gli americani consumano la bellezza di tre miliardi di pizze all’anno. Due punto uno fette a ordinazione. Un mercato ultramiliardario diviso tra un po’ meno del 60 per cento di pizzerie indipendenti e il restante 40 — ma la fetta si va allargando — in mano alle cosiddette “Big 4”: Pizza Hut, Domino’s Pizza, Papa John’s e Little Caesars. A cui va aggiunta l’altra catena in ascesa: Godfather’s Pizza. Cioè la compagnia fino a ieri ammini-strata da quell’Herman Cain sceso in capo tra i contendenti repubblicani di Obama: prima di essere travolto dagli scandali sessuali. Poi dici che la politica non c’entra. Non è mica un caso che a guidare la rivolta dei pizzaioli americani è Domino’s Pizza: la catena sull’orlo del fallimento che fu miracolata dalla Bain, la società di salvataggi di Mitt Romney. È proprio Lynn Liddle di Domino’s a rappresentare la protesta: «Ci sono 34 milioni di combinazioni per pizza» dice al Washington Post: «Come facciamo a indicare le calorie di tutte?». Il numero stratosferico è calcolato in base alle combinazioni della pizza versione americana. Che naturalmente sono un’aberrazione per noi. Dice a Repubblica Roberto Caporuscio, decano dei pizzaioli italiani negli Usa e titolare a New York della pluripremiata Kesté: «Noi non avremmo nulla in contrario sull’obbligo di caloria: anzi. Una ricerca dell’Università di Pittsburgh ha messo a confronto una nostra Margherita con quella di Pizza Hut. Loro fanno 1600 calorie: noi 800». Il problema non sono solo gli ingredienti base: la farina che arriva da Napoli, i pomodori non trattati. In questo ha ragione la rivoltosa di Domino’s: agli americani la pizza più è carica di golosità — il cosiddetto topping — e più piace. Anzi. Ha confessato alla rivista maschile Esquire l’incontenibile Herman Cain: «La virilità di un uomo si giudica dal numero dei condimenti sulla pizza ». Appunto: quel che conta è sentirsi in calore. Alla faccia delle calorie.