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 2012  giugno 22 Venerdì calendario

PIZZO, COCA E MEGAHOTEL I BOSS DELLA ’NDRANGHETA COMANDANO IN EUROPA


«BUON vespro!», urla il padrino. «Buon vespro», rispondono in coro i sei uomini della “locale”, sistemati attorno alla tavola. Salvatore Femia prende fiato, e poi recita la formula. «La mia pancia è una tomba, il mio petto è una palata con parole di umiltà, è formata la società!». Il summit della ‘ndrangheta può iniziare. Nella stanza sul retro del ristorante di Femia, il «Rikaro», si parla di appalti, si parla di fare affari coi russi. Si parla della «mamma». Le microspie della polizia registrano anche le voci ovattate dei clienti della sala accanto, al numero tre di Hegaustrasse. Sono le otto di sera del 20 dicembre del 2009. E a Singen, paesone di 45 mila persone della Germania al confine con la Svizzer a, 2000 chilometri a nord di «mamma» Reggio Calabria, è una serata gelida. Quanto sappiamo veramente delle infiltrazioni in Europa della mafia più potente d’Italia, che sta raggiungendo quella russa per importanza e giro
d’affari?
GERMANIA, PROVINCIA DI REGGIO CALABRIA
La ‘ndrangheta oggi controlla l’80 per cento del narcotraffico europeo. Secondo la Direzione nazionale antimafia, introita con la droga 27 miliardi di euro all’anno. Ha colonizzato tutti gli stati dell’Unione, seguendo due fili basilari. L’emigrazione storica calabrese e il business. Importa e smercia cocaina ed eroina, investe in immobili e villaggi turistici, acquisisce società e titoli finanziari, organizza estorsioni, traffica in armi. Una multinazionale del crimine inserita dagli esperti del governo statunitense al quarto posto tra le organizzazioni mondiali più pericolose, dopo Al Qaeda, il Pkk e i narcos messicani. E la Germania è la sua seconda patria.
Nella provincia di Costanza, dove si trova Singen, vivono 7 mila emigrati, il 40 per cento dei quali è di origine calabrese. Arrivati in terra tedesca con la grande ondata del 1959, che portò 200 mila italiani nei distretti produttivi del Nord Reno-Vestfalia. Radolfzell, cittadina di 33 mila anime, è un’altra Singen. In superficie,
placida come le acque del lago di Costanza su cui affaccia. Ma qui, nascosti in una palazzina anonima sulla Öschlestrasse, si riunivano alcuni degli ‘ndranghetisti arrestati nell’indagine Crimine 2 della Procura antimafia di Reggio Calabria.
Un’inchiesta che ha raccontato alla Germania una verità ignorata ma sotto gli occhi i tutti. E cioè che la strage di Duisburg del ferragosto 2007, l’ultimo atto della faida di San Luca che lasciò a terra nel sangue sei esponenti della ‘ndrina dei Pelle-Vottari, non era un caso. Non era solo roba di
italienisch.
Un rapporto del Bundesnachritendienst,
i servizi segreti tedeschi, già nel 2006 segnalava che gli ‘ndranghetisti avevano fatto un salto di qualità, acquistando pacchetti azionari di Gazprom e di altre compagnie energetiche. Tre
anni dopo, nel 2009, la polizia federale dichiarava che in Germania c’erano almeno 230 ‘ndrine con 1800 affiliati, dislocati soprattutto in Baviera, Assia, Renania settentrionale. Cinque “locali” sono impiantate a Ravensburg, Francoforte, Engen, Rielasingen e Singen. A Berlino, Duisburg, Erfurt e Monaco investono milioni di euro le famiglie dei Pelle, dei Nirta-Strangio, i Vottari, i Romeo. Tutti di San Luca. A Colonia i Morabito di Africo, a Stoccarda i crotonesi che, si sospetta, hanno strutturato una “locale”. «Controllano il territorio con estorsioni ed intimidazioni — spiega Michele Prestipino, procuratore aggiunto dell’Antimafia di Reggio Calabria — come in Calabria e nella cintura urbana di Milano. Impongono il pizzo, e non solo agli emigranti calabresi. Decidono a chi deve andare il voto degli italiani all’estero ». Ma come nasce una «locale» all’estero? E che rapporto si instaura con le cosche in Italia?
LA MAMMA E’ SEMPRE LA MAMMA
«I governi francesi, tedeschi e spagnoli non vogliono ammettere di essere infettati dalla ‘ndrangheta, perché la mafia porta soldi», scandisce Luigi Bonaventura, seduto al tavolo del salotto nella casa di Termoli affidatagli dal servizio di protezione («sì, scrivetelo che sto a
Termoli, perché lo sanno tutti ormai, lo sa anche chi mi sta cercando per farmi fuori»). Bonaventura non è un pentito come gli altri. Cinque anni fa era il capocosca dei Vrenna-Bonaventura di Crotone, poi la scelta di collaborare. «La ‘ndrangheta è arrivata dovunque, ma la sua testa rimane in provincia di Reggio Calabria, la «mamma» è sempre lì — dice — è potente perché sa adattarsi. Bastano due-tre persone per formare una ‘ndrina. E all’inizio godono di una certa autonomia, possono sperimentare modelli criminali diversi, allearsi con la malavita locale. Ma quando il business acquista volume, non si scappa...». Modelli criminali a geometria variabile, ma sempre dentro il recinto disegnato dai patriarchi dell’organizzazione. E se una partita di coca o un inv estimento immobiliare non necessita dell’approvazione, l’apertura di una unità “locale”, il conferimento di gradi e il regolamento dei rapporti con i clan esteri vengono discussi per forza al «Crimine» della provincia di Reggio Calabria, l’organo simile a un cda aziendale, deputato a coordinare la ‘ndrangheta nel mondo. «In Germania hanno sistemato decine di “locali”, in Svizzera hanno i soldi — continua Bonaventura — in Olanda e Belgio controllano i porti. In Costa Azzurra hanno ville e hotel, in Bulgaria investono nel settore turistico sul Mar Nero, nei Balcani controllano la rotta della droga. Non è difficile capire come si espande la ‘ndrangheta, seguite i soldi».
SOCIETA’ SVIZZERE E IMMOBILI ITALIANI
E il portafoglio gravido di denaro sporco nelle tasche dei boss, quantificato nel 2008 in 44 miliardi di euro da Eurispes, si trova in Svizzera. Nelle banche, dove è nascosto il tesoro della ‘ndrangheta, e nell’alta finanza. «Alcune cosche della costa tirrenica — spiega il procuratore Michele Prestipino — aprono società a Zurigo a cui intestano titoli e proprietà in Italia, per sottrarli al fisco e ai controlli». L’Antimafia italiana ha certificato l’esistenza di due locali, a Zurigo e a Frauenfeld. Nell’operazione Crimine 2 spunta un soggetto, “Ntoni lo
svizzero” alias Antonio Nesci, cugino di un boss di Singen, Bruno Nesci. Gli investigatori lo ascoltano al telefono mentre spiega che a Mossendorf, borgo svizzero di 3 mila anime, può contare su cinque persone.
Nelle valli attorno a Zurigo i capicosca sono per lo più a piede libero. Liberi di gestire aziende e ristoranti a nome proprio. Come i boss della ‘ndrina catanzarese Ferrazzo, presenti nel cantone di Zurigo. In Svizzera passano gli interessi e il denaro delle famiglie Bellocco di Rosarno, dei Gallico e dei Parrello di Palmi. I clan, cioè, che qualche migliaio di chilometri più a sud si sono spartiti negli anni gli appalti dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria.
ALLEATA CON TUTTI, E CON NESSUNO
«La ‘ndrangheta non ha problemi a fare affari con gente di ogni razza e nazione», spiegava qualche anno fa ai magistrati il pentito Saverio Morabito. Sfrutta tutte le realtà criminali estere, ma non stabilisce mai vere alleanze. È in quest’ottica, opportunistica e parassita, che vanno interpretate le reti che ha creato per controllare i grandi porti di Rotterdam, Anversa, Barcellona, Pireo, cioè le vie d’ingresso della droga in Europa. In un recente rapporto riservato della polizia olandese si legge che «tra Amsterdam, Hoofddorp, Diemen e Amstelveen vivono almeno una ventina di boss calabresi e un centinaio di ‘ndranghetisti che trafficano in armi, eroina, cocaina e pasticche. Hanno appartamenti in piazza Minerva ad Amsterdam, agiscono indisturbati perché il governo olandese non è consapevole del loro passato criminale». Sono legati alle famiglie Nirta-Strangio e Romeo di San Luca (Giovanni Strangio, protagonista della strage di Duisburg, venne arrestato il 12 marzo 2009 proprio a Diemen) e alle ‘ndrine di Cirò e Corigliano Calabro. Ebbene, quel rapporto spiega che la ‘ndrangheta ha legami con i cinque criminali più pericolosi d’Olanda. Non solo. Per controllare le merci del porto di Rotterdam, dove passa il 30 per cento della cocaina proveniente dalla Colombia (36 mila chili che arrivano ogni anno sulle navi, nascosti nei container di frutta), si serve di una alleanza strategica con i mafiosi albanesi. E si garantisce informazioni e impunità infiltrando la polizia. Come ha fatto con Barbara Fun, olandese di 39 anni, che grazie ad amicizie nei servizi segreti fino al 2010 ha potuto lavorare nella polizia regionale di Haaglanden nonostante nel 1992 fosse stata
arrestata in Portogallo insieme con due esponenti della cosca Di Giovane-Serraino. Con la mafia russa la ‘ndrangheta dialoga da quando è caduto il muro di Berlino. La “lingua” è sempre quella: armi e coca. Sulla rotta balcanica della droga, che parte dall’Afganistan e passa da Grecia, Romania, Albania e Paesi dell’ex Jugoslavia, ha legami con tutti i gruppi criminali autoctoni. La mafia serbo-montenegrina si è offerta di consegnare eroina e cocaina ai calabresi direttamente a Milano. L’operazione Magna Charta del Ros dei Carabinieri, condotta il 4 giugno scorso, ha svelato la joint venture per il trasporto via mare della droga tra una cosca piemontese affiliata ai Bellocco di Rosarno e l’uomo d’affari Evelin Banev, sospettato di essere uno dei capi della mafia bulgara. «Anche mio zio Sergio Vrenna — racconta a
Repubblicail
pentito Luigi Bonaventura — fa affari con la mafia bulgara. Andate a vedere gli investimenti immobiliari dei calabresi sulle coste turistiche del mar Nero. Tutta roba nostra ». E poi c’è Barcellona.
BARCELLONA, LA “NUOVA” MARSIGLIA
La capitale della Catalogna è il nuovo crocevia europeo delle mafie. «Siamo tutti là, sembra la Marsiglia degli anni 80», vanno dicendo da qualche anno gli ‘ndranghetisti.
A Barcellona si sono ritrovati i calabresi della cosca Piromalli di Gioia Tauro, e la ‘ndrina Parrello e Gallico di Palmi. Si incontrano con gli emissari dei narcos colombiani e messicani, hanno rapporti stabili e ben oliati. Qui, nei ristoranti attorno alla Ramblas, si decidono i prezzi delle grandi partite di droga in arrivo dal Sudamerica. L’ultimo a finire in carcere a dicembre del 2011 è stato Carmelo Gallico, 48 anni, detto «U Picu». Si nascondeva in un’abitazione nel quartiere universitario di Barcellona. Il terreno spagnolo è stato concimato e reso fertile soprattutto da un soggetto: Santo Maesano, alias “Hoffa”, alias “il professore”, capo delle famiglie calabresi Maesano-Paviglianiti. Lo racconta Francesco Forgione nel suo libro
Mafia Export.
Trasferitosi in Spagna alla fine degli anni Novanta, Maesano era uno dei più
grandi narcotrafficanti del mondo. Dal centro penitenziario Valdemoro di Madrid chiamava i suoi referenti in Colombia e in Venezuela, comprava armi, riceveva il suo vice Vincenzo Romeo. Il carcere Valdemoro era più una casa di riposo che una vera prigione.
In Spagna, dunque, non esiste il regime speciale del 41 bis. In Svizzera i boss girano senza nascondersi. In Germania le mogli degli ‘ndranghetisti arrestati ricevono il sussidio di disoccupazione, 365 euro al mese. «E sono esentati dal pagare l’affitto», racconta Vito Giudicepietro, sindacalista del patronato Inca- Cgil di Singen. Com’è possibile? Con quali mezzi si sta contrastando la ‘ndrangheta all’estero?
IN EUROPA LA ’NDRANGHETA NON ESISTE
Tecnicamente la mafia non esiste nei codici giuridici degli stati europei. Il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso c’è solo in Italia. All’estero appartenere a una cosca, far parte di una ‘ndrina riconosciuta, non è di per sé un reato. Se non ci sono delitti specifici, i magistrati non possono aggredire i patrimoni con i sequestri preventivi, né emettere custodie cautelari. «Siamo ciechi», ha sintetizzato pochi giorni fa il commissario della polizia francese Jean Francois Gayraud davanti alla commissione antimafia
europea.
«Quegli ordinamenti
giuridici orbi — dice Prestipino — sono l’ostacolo più grande. In Europa si fa fatica a comprendere la pericolosità del vincolo associativo e la forza di intimidazione dei clan». Qualcosa, eppure, si muove. La nostra Direzione nazionale antimafia viene presa a modello dalle istituzioni estere. E da Bruxelles il direttore dell’Olaf (Ufficio per la lotta antifrode) Giovanni Kessler, dopo aver segnalato un aumento del 10 per cento negli ultimi due anni delle indagini su reati economici e finanziari della criminalità organizzata, sposa una nuova linea. «Serve un soggetto europeo unico che abbia poteri investigativi e di accusa, serve il procuratore europeo».