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 2012  giugno 22 Venerdì calendario

L’Iran mette in pagella il voto sul velo - Basta una ciocca di capelli fuo­ri posto per «minacciare i valori fondamentali della Repubblica islamica»

L’Iran mette in pagella il voto sul velo - Basta una ciocca di capelli fuo­ri posto per «minacciare i valori fondamentali della Repubblica islamica». «Sangue deve essere versato per risolvere la questione e sradicare il problema dalla socie­tà » ha tuonato circa un anno fa, du­rante la preghiera del venerdì, l’ayatollah Ahmad Khatami. «Le donne che vanno in giro senza ve­lo e indossano abiti aderenti sono più pericolose degli animali dia­bolici », gli ha fatto eco l’ayatollah della città di Mashaad, Alam al-Hodeh, mentre un ufficiale della polizia iraniana attribuiva al mo­do «improprio» di indossare l’hijab la causa di una serie di stu­pri registrati nel centro del Paese. Un chiodo fisso, un’ossessione tormenta il clero ultraconservato­re che domina sull’Iran imponen­do restrizioni e divieti come se i tra­guardi della storia e i cambiamen­ti del costume fossero un futuro da scongiurare e non un presente da imitare o semplicemente da la­sciar scorrere. Così lo spaurac­chio diventano le donne occiden­tali e il loro modo di mostrarsi in pubblico, «praticamente nude». L’ultima scure contro questo mo­dello «diabolico» la lancia il mini­stero dell’Educazione, che ha in­tende introdurre un voto a scuola sul velo. Un modo per promuove­re «il corretto abbigliamento isla­mico delle studentesse » e sensibi­lizzare i genitori perché verifichi­no che le bimbe siano coperte ade­guatamente, cioè lascino visibili solamente volto, mani e piedi. Per il resto, il solito drappo che na­sconde fisionomia, vezzi, perso­nalità e carattere di chi lo indossa. Tanto più premiato, quanto più anonimo si mostrerà al mondo. Tanto più lodato quanto più si al­lontanerà dai peccaminosi model­li negativi diffusi dai media stra­nieri, specie attraverso i film con attrici senza velo, riferisce l’agen­zia Fars, imboccata dal Diparti­mento della cultura. È l’ultima frontiera del medioe­vale «dress code», il codice per l’abbigliamento,che solo nella ca­pitale Teheran, ogni anno, impie­ga settantamila poliziotti col com­pito specifico di «combattere l’in­vasione della cultura occidenta­le ». Per le donne il divieto di mo­strare capelli - spesso trasgredito dalle più giovani per noncuranza, per ribellione o per pura vanità - e di lasciare nude gambe, caviglie e braccia. Col rischio, quindi, di ve­nire fermate anche per un cappot­to troppo corto. Unica libertà: l’uso del colore. Per gli uomini niente pantaloncini e persino il di­vieto di collane o «tagli di capelli troppo glamour» (i capelli lunghi sono al bando anche quelli). Per contrastare le derive, la polizia morale può entrare in azione in ogni momento e dalla primavera, quando le temperature si alzano e le trasgressioni rischiano di au­mentare, si registra ogni anno un particolare accanimento. Obietti­vo più ghiotto sono quasi sempre le donne e soprattutto le giovani in un Paese in cui il 70% della popo­lazione è composto da under 35. Ma non solo: lo scorso novembre 70 stilisti sono stati richiamati e 400 negozi chiusi per la vendita di «abiti impropri». Un intensificar­si di controlli che è anche una carti­na al tornasole dello stato dei rap­porti tra il presidente Mahmoud Ahmadinejad e gli ayatollah che lo hanno spesso accusato di ap­proccio «lassista e negligente» su questi temi nel tentativo di affer­mare la loro supremazia sul gover­no. Una guerra interna tra poteri in cui Ahmadinejad fa del «dress code» una questione «culturale» («il velo previene il vizio e diffon­de il bene») mentre gli ayatollah sventolano i loro diktat appellan­dosi alla sicurezza (le donne che indossano impropriamente il ve­lo spingono gli uomini ad abusare di loro e sono all’origine della«cor­ruzione morale delle famiglie). Una partita fatta di interessi politi­ci, di faide interne, di proclami me­dioevali e di integralismo religio­so in cui a soccombere sono i desi­deri più semplici e i vezzi­ innocui o legittimamente maliziosi - delle tormentate donne dell’Iran.