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 2012  giugno 21 Giovedì calendario

L’ultima arma del Faraone: nascondere la sua morte - La vendetta di Hosni Mubarak, come quella di ogni Faraone che si rispetti, trava­lica la sua vita, prolunga il suo potere, mi­naccia i suoi nemici

L’ultima arma del Faraone: nascondere la sua morte - La vendetta di Hosni Mubarak, come quella di ogni Faraone che si rispetti, trava­lica la sua vita, prolunga il suo potere, mi­naccia i suoi nemici. Durante il suo regno l’84enne Mubarak aveva già imposto il se­greto di stato sulla propria cartella clinica. Chi lo violava, chi azzardava una diagnosi, chi discettava sulle sue magagne senili ri­schiava la galera. Ora, con un piede nella fossa e la testa nell’oblio, il Faraone conti­nua a dominare il paese, a imporre con la propria presenza ingombrante una severa ipoteca sul futuro. Finché lui c’è,tutto continua a far i conti con la sua malattia e con il suo funerale. I generali non possono farlo crepare in gale­ra perché l’offesa alienerebbe loro i favori degli ultimi e non pochi «aficionados». Ed allora ecco il surreale balletto di voci sulla morte imminente. Voci giustificate, in par­te, dalla cartella clinica, in parte amplifica­te per consentirne il trasferimento in una clinica controllata dall’esercito. Ma la len­ta dipartita è una palla al piede anche per i Fratelli Musulmani. Finché quel Faraone non entra nel sarcofago, finché la prospet­tiva di un funerale domina il paese, anche le piazze restano prigioniere di quel surrea­le limbo tra passato e futuro. Finché lui re­spira nulla si muove. Non i sostenitori dei Fratelli Musulmani, non i rivoluzionari di Piazza Tahrir, non i militari. Attorno al suo letto di morte tutto si coagula nel timore che l’emozione delle esequie cancelli le de­cisioni della vigilia. Ma l’anatema che più a lungo peserà sul paese è il monolite in cui era incastonato il suo potere. Un potere lungo 70 anni, un potere figlio della rivolu­zione del colonnello Nasser e della pace con Israele firmata da Anwar Sadat. Un po­tere garantito da un esercito che non è solo il difensore della nazione, ma l’istituzione centrale del paese, il perno attorno a cui ruotano burocrazia ed attività produttive. Un’istituzione capace di controllare un mi­lione tra ufficiali, reclute e riservisti e di au­toalimentarsi grazie a un’industria milita­re capace di produrre gallette e lavatrici, acqua minerale e carri armati. Gli aiuti sta­tunitensi per circa un miliardo di euro an­nui garantiti a Mubarak non sono serviti so­lo a difendere la pace con Israele, ma an­che a trasformare le forze armate nell’uni­co ganglio vitale del paese. E grazie ai fondi tracimati dai bilanci secreti dell’esercito prospera una borghesia formata da ex uffi­ciali e dai loro familiari. Da quella borghe­sia, figlia del Faraone, escono i burocrati e i magistrati che controllano il paese. Di quel monolite impenetrabile fanno parte le cliniche militari e i medici in uniforme che gestiscono la dipartita del Faraone. Sa­ranno loro a decidere quando la sua vita potrà finire e il paese uscire dal limbo. Ma anche allora il futuro resterà nel segno di Mubarak. Per governare e per cambiare bi­sognerà comunque fare i conti con l’ulti­mo monolite del Faraone. E quella sarà la sua ultima, inalienabile eredità.