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 2012  giugno 21 Giovedì calendario

Obama e il «Cencelli della moda» Così Michelle lottizza i suoi abiti - Sono ormai tre anni e più che Michelle Obama tesse la sua tela

Obama e il «Cencelli della moda» Così Michelle lottizza i suoi abiti - Sono ormai tre anni e più che Michelle Obama tesse la sua tela. Quella che cambierà for­se per sempre il rapporto tra first lady e mondo della moda. Come ha scritto in un recente articolo il Washington Post se prima le mo­gli dei presidenti erano solite sce­gliere uno o due stilisti a cui affida­re la gestione del proprio guarda­roba, ora con Michelle non è più così. «La tigre», come la chiama af­fettuosamente Obama, da quan­do è in politica ha indossato già una cinquantina di abiti prove­nienti dalla maison dei più dispa­rati stilisti e spesso mescolando ­fatto più unico che raro per una first lady - grandi nomi del design americano come Diane Furste­n­berg a brand di più largo consumo come J. Crew. Può sembrare la scelta casuale di una prima donna che ama mostrarsi sportiva e alla mano, ma non lo è. Michelle e la sua metodica attenzione a non de­ludere nessuno dei suoi stilisti è del tutto simile all’artificiosa mac­china del consenso dall’ormai (purtroppo) famoso onorevole Cencelli, il teorico del manuale de­mocristiano in uso per spartire tra le varie correnti politiche le poltro­ne del potere. I vantaggi per Obama sono stati immediati. Oggi infatti tra gli ad­detti dell’alta moda Michelle è più popolare che mai, una leva che la scaltra first lady ha usato a suo van­tagg­io per garantirsi l’appoggio fi­nanziario degli stilisti per la cam­pagna Obama2012. Esempio prin­cipe è quello della rinomata desi­gner Barbara Tfank che preparò il vestito di Michelle per la visita del 2011 alla Regina d’Inghilterra e ap­pare oggi tra i donatori della cam­pagna. Altro caso che ha fatto di­scutere è quello della stilista Tracy Reese la cui linea di abbiglia­mento ha registrato un vero e pro­prio salto di qualità dopo che nel 2009 Michelle apparve indossan­do il suo abito color lampone sulla copertina della rivista People . An­che lei oggi è da annoverare tra le donatrici di Obama. Ma i casi della Tfack e della Ree­se non sono isolati. Secondo la giornalista Kathryne Boyle rispet­to allo stesso periodo del 2008, quest’anno il numero di designer che ha deciso di donare a Obama è quasi triplicato. Una tendenza antitetica a quella registrata da molti altri segmenti della società la cui risposta più comune è un’acuta delusione dopo le nume­rose promesse (non mantenute) fatte dall’allora senatore dell’Illi­nois. Altra grande entusiasta di Mi­chelle è la potente editrice di Vo­gue America , Anna Wintour, che già nel 2008 si era buttata al suo fianco lanciando una linea di vesti­ti, borse e foulard contrassegnati dal logo di Obama2008 volti a rac­cogliere fondi in suo favore. Fu un successo: in meno di tre mesi ven­ne raccolto un milione di dollari. A questa tornata elettorale la miti­ca direttrice si è messa all’opera con anticipo. Già da febbraio ha lanciato la nuova linea Run-away­to- win forte di 25 pezzi firmati da stilisti (tutti americani) del cali­bro di Jason Wu, Vera Wang e Ra­chel Roy. Quanto l’iniziative ab­bia raccolto fino ad ora non è dato sapere, ma sarà con ogni probabi­lità una cifra importante visto che per la Casa Bianca questa volta si combatte a suon di milioni di dol­lari. Niente ovviamente viene fatto gratis, nemmeno dai più passiona­li sostenitori delle idee liberal. Da­vid Yermack, un docente della New York University, ha calcolato che nei giorni delle 189 apparizio­ni pubbliche fatte dalla first lady americana tra novembre 2008 e di­cembre 2009 i prezzi delle azioni della compagnia di cui portava il vestito subivano impennate di prezzo per un valore che raggiun­geva spesso i 14 milioni di dollari. I repubblicani già cercano di sfrut­tare questo fenomeno a loro favo­re d­isapprovando il lusso ostenta­to dagli Obama in presenza di una difficile congiuntura economica e di un livello di disoccupazione fermo all’8,2 per cento, ma al di là delle critiche strumentali la first la­dy con grande maestria ha messo in moto un meccanismo da cui i democrat come gli stilisti escono vincitori alla faccia dei conserva­tori.