ROBERTO GIOVANNINI, La Stampa 22/6/2012, 22 giugno 2012
Sos, l’aria ha fatto il pieno di anidride carbonica - È successo. Per la prima volta negli ultimi 800 mila anni, e sicuramente per la prima volta da quando si fanno puntuali misurazioni scientifiche, nell’atmosfera della Terra sono state misurate più di 400 parti per milione (ppm) di anidride carbonica
Sos, l’aria ha fatto il pieno di anidride carbonica - È successo. Per la prima volta negli ultimi 800 mila anni, e sicuramente per la prima volta da quando si fanno puntuali misurazioni scientifiche, nell’atmosfera della Terra sono state misurate più di 400 parti per milione (ppm) di anidride carbonica. Il CO2 è infatti il gas più diffuso tra quelli che generano l’effetto serra che produce il riscaldamento globale. Secondo molti scienziati (anche se non tutti sono d’accordo) per stare tranquilli sarebbe stato il caso di fermarsi a 350 ppm. Prima dell’era industriale eravamo a 274, a 280 nel 1880, ma dopo oltre un secolo trascorso a bruciare carbone e petrolio (anni in cui la popolazione si è moltiplicata per sette, e i consumi e la ricchezza molto di più) nel 2011 il valore medio si trovava a quota 394. Insomma, questo non è l’unico «termometro» per misurare il riscaldamento globale, ma certo è uno dei più semplici e, insieme, allarmanti. Chissà se gli scienziati dell’agenzia meteorologica USA Nooa della base di Barrow, in Alaska, hanno apprezzato il fatto di essere i primi a individuare una concentrazione tanto elevata di CO2 nell’aria. Quel che è certo è che nelle settimane successive la soglia delle 400 ppm è stata raggiunta 2 in altri cinque siti, dal Canada all’Islanda alla Mongolia. «I siti settentrionali della nostra rete di monitoraggio ci dicono quello che accadrà al pianeta», spiega Pieter Tans, uno scienziato atmosferico del Noaa Earth System Research Laboratory (Esrl) di Boulder, in Colorado. «Probabilmente nel 2016 questo valore rappresenterà la concentrazione media globale», dice Tans. Il 2012 segnerà in media risultati migliori: con l’avanzare dell’estate entrano in azione le foreste del pianeta, assorbendo CO2 e riducendo i valori di questo gas serra, che insieme a metano, protossido di azoto e alle sostanze chimiche chiamate clorofluorocarburi, è il responsabile del riscaldamento globale. Che è in atto, come dimostrano i dati degli scienziati: dal 1750 la temperatura è cresciuta di 0,8 gradi, di questo passo andremo a +3,5 entro il 2100, con annessi rischi di aumenti dei fenomeni di siccità, inondazioni, cicloni, crisi alimentari, migrazioni, rischi per le coste. Pochi giorni fa l’Agenzia internazionale per l’Energia (Aie) ha fatto sapere che le emissioni mondiali di anidride carbonica nel 2011 sono aumentate del 3,2% rispetto all’anno prima, nonostante la recessione che investe l’Occidente. Finché non si troverà un modo per eliminare la CO2, l’unica cosa da fare è affidarsi a foreste ed oceani, in grado di assorbirla dall’atmosfera. E soprattutto ridurre le attività umane che producono combustione. Tutti, scienziati e politici, sanno cosa si dovrebbe fare. Ma il carrozzone della diplomazia ambientale, qui a Rio, non è riuscito a far di meglio che produrre un documento fatto di parole. Nel testo finale di Rio +20 - che forse verrà accompagnato da una «dichiarazione finale» più incisiva - le parole «noi faremo» appaiono cinque volte, «si deve» tre. Troviamo invece 50 volte «incoraggiare» e 99 volte «sostenere». E siccome gli ambientalisti avevano criticato la presenza di troppi vaghi «consideriamo», i diplomatici si sono inventati un geniale «ci impegniamo a considerare».