MICHELE BRAMBILLA, La Stampa 21/6/2012, 21 giugno 2012
“A un mese dal sisma ci sentia mogiàdimenticati” - Erano le quattro, tre minuti e 52 secondi di un mese fa quando la pianura padana scoprì all’improvviso di essere quello che non credeva di essere: una zona sismica
“A un mese dal sisma ci sentia mogiàdimenticati” - Erano le quattro, tre minuti e 52 secondi di un mese fa quando la pianura padana scoprì all’improvviso di essere quello che non credeva di essere: una zona sismica. Appena un mese fa, il 20 maggio. Le troupe televisive sono già sparite da Finale Emilia, San Felice sul Panaro, Mirandola, Cavezzo, Medolla, Novi di Modena: e pensare che c’era perfino Al Jazeera. Pure i giornali si sono un po’ dimenticati: sulle prime pagine di ieri non c’era una riga sul terremoto. «Mi avevano proposto un collegamento in diretta dalla piazza del paese con la Nazionale per la partita di lunedì», dice Fernando Ferioli, sindaco di Finale Emilia, «ma non ci sono andato. Lo spettacolo non mi interessa. Se parliamo di cose serie, ad esempio di defiscalizzazione per aiutare le nostre imprese a ripartire, benissimo. Se dobbiamo fare miss Italia, no». Finale Emilia è stato l’epicentro della prima scossa. La sua Torre dei Modenesi, quella con l’orologio spezzato in due, è diventata il simbolo del terremoto: ma solo per qualche ora, perché poi un’altra scossa l’ha buttata giù del tutto. È crollato anche il municipio con la torre campanaria, e così le chiese: dieci su dieci. Una donna di 38 anni per lo spavento ha perso il bambino che portava in grembo, e dopo qualche giorno è morta anche lei. L’ottanta per cento delle aziende sono ferme: le guardi da fuori e ti sembrano intatte, ma dentro è successo il finimondo. I forni per le ceramiche - roba da chissà quante tonnellate - si sono spostati e alzati da terra; la fabbrica dell’Averna a Finale ha perso settecentomila bottiglie di liquore. «Il mio paese ha 16.200 abitanti», dice il sindaco, «ma sono pronto a scommettere che presto diventeranno meno di 15.000. Se ne andranno in tanti perché mancherà il lavoro». Racconta che la notte del 20 maggio era in casa con il suo bimbo di tre anni, «che per fortuna non si è svegliato»: sembrava un bombardamento, una scossa dopo l’altra, lui ha mandato un sms alla suocera ed è riuscito a portarle il bambino, poi è corso in piazza «ed era la fine del mondo», Finale Emilia che all’improvviso, in mezzo alla notte, era più trafficata di Roma, tutti in macchina. Ma l’Emilia è una terra che sa portare la croce senza esibirla. Chi viaggia verso Finale, a lungo non si accorge di tanto dolore. La Bassa diffonde il suo solito senso di pace. Chi esce a Modena nord e segue i cartelli per Finale nelle strade dei campi, vede scorrere ai fianchi i rassicuranti villini con i loro giardinetti, le trattorie di paese, i vigneti di Sorbara dove si fa il Lambrusco. A San Michele, frazione di Bomporto, tutto è ancora intatto, solo la vecchia chiesa pare pendere da un lato. Il primo segno del disastro lo vedi a una ventina di chilometri da Finale, in una località che si chiama Camposanto: il centro del paese è chiuso, lo devi bypassare con una deviazione, ma alla fine del giro un cartello ti riporta alla normalità: «Vendita cocomeri e meloni». In località Cadecoppi un altro cartello ha invece già il sapore dell’sos: è di un ristorante e fa capire che hanno bisogno di lavorare, «Questa sera siamo aperti». È dopo la località Cabianca («Cá biénca») che il paesaggio cambia davvero: «Polo industriale Finale Emilia», dice un cartello. I capannoni sono tutti su. Ma si capisce che sono inanimati. Anche chi potrebbe avere l’agibilità, per ora non riapre. Chi si fida? Già incombeva la crisi, ora c’è pure l’incubo di nuove scosse: e le categorie di studiosi incaricate di analizzare i due fenomeni, l’economia e i terremoti, non brillano ahimè per preveggenza. Nei suoi viali d’ingresso Finale sembra un paese normale: si vede qua e là qualche cascina sbriciolata, ma le case appaiono perfette. Poi però cominci a vedere le tende. I campi allestiti dalla Protezione Civile e dalla Croce Rossa sono cinque, e lì dentro la vita non è facile. Sono in otto per ogni tenda. Intimità, zero. Morale, a non aver niente da fare tutto il giorno, sotto zero. E adesso è arrivato pure il caldo. Antichi dissapori riemergono: l’altra sera c’è stata una lite fra marocchini e ghanesi. Le scosse che continuano, poi, non aiutano a stemperare il nervosismo: lunedì ce n’è stata una di 3,2, era mezzanotte e non è stato facile riprendere sonno. Quanti sono gli sfollati qui a Finale? Ufficialmente quattromila, in realtà quasi tutti i sedicimila abitanti, perché anche chi non ha la casa inagibile ha paura e dorme in macchina, oppure si è organizzato in tenda per conto proprio, oppure ancora se ne è andato lontano, fuori dal «cratere», da parenti o amici. Il centro storico è completamente chiuso: «zona rossa». Ma anche il quartiere dei supermercati è messo male: ed è inagibile pure l’ospedale. Eppure c’è chi sa trovare del bello: «Vedo la nostra gente forte e coraggiosa, vedo una straordinaria solidarietà», dice don Luca, un giovane prete. Scorge segnali che solo la fede può scorgere: «Il nostro patrono, San Zenone, ci protegge: la sua statua sul palazzo del Comune, che è crollato, è rimasta intatta. Così come quella della Madonna delle Grazie: anche lei non si è mossa nonostante fosse all’interno del Duomo, che è gravemente danneggiato». Don Luca ha meno fiducia in un altro genere di statue: «La nostra gente ripartirà subito se la burocrazia non si mette di mezzo. Oggi il terremoto più tremendo è quello lì: la burocrazia». «Io sto sburocratizzando tutto», dice il sindaco Ferioli, «ma adesso abbiamo bisogno di aiuti concreti. Sa quanti soldi ci sono arrivati fino ad ora? Zero. E stiamo pagando tutto noi, dalle messe in sicurezza ai cinquemila pasti al giorno. Però così le casse del Comune tra poco saranno vuote». Si prospetta una scelta difficile: «In teoria, dal primo ottobre dovrei chiedere l’Imu ai miei cittadini. Ma secondo lei posso far pagare le tasse sugli immobili a gente che sta fuori casa, o a ditte costrette a rimanere chiuse? Guardi, la situazione è brutta, e se non si muovono qui presto ci sarà una mezza rivolta». Ecco perché in Emilia hanno paura che di questo terremoto ci si sia già un po’ dimenticati.