Filippo Facci, Libero 21/6/2012, 21 giugno 2012
IL GIORNALISTA
È morto Sandro Viola, inviato di Repubblica quando gli inviati raccontavano il mondo. Era stato tirato in ballo, a fine maggio, perché dagli archivi di Repubblica risultava scomparso un suo orribile articolo del 9 gennaio 1992: Giovanni Falcone veniva bollato come un «guitto televisivo» che scriveva «melensaggini». Forse - presumiamo ora - quell’articolo l’avevano tolto solo perché Viola era agli sgoccioli: quel che è probabile è che fu un articolo comandato, uno di quei pezzacci che i giornalisti - anche i migliori - talvolta scrivono perché lo richiede la contingenza politica o un caporedattore isterico. È la contraddizione, via via ingigantitasi, che ha ucciso tanti giornalisti sempre più divisi tra necessità e virtù: perché Viola, per il resto, era un grandissimo inviato. Tra i soloni dei grandi giornali fu assolutamente l’unico che scrisse un reportage secondo il quale «dietro le bandiere di Forza Italia si muove un esercito con connotazioni marcatamente popolari» (Repubblica, 23 febbraio 1994) e «non solo nani e ballerine, non solo yuppies, non solo calciatori e funzionari Fininvest... Brava gente, italiani che hanno lavorato, prodotto, risparmiato, consentendo al paese di sopravvivere ». Questo mentre l’intellighenzia rideva e attribuiva a Berlusconi il 6 per cento. Sandro Viola, invece, alzò il sedere e si fece un giro nel Nordest. Fece il suo lavoro.