Sissi Bellomo, Il Sole 24 Ore 22/6/2012, 22 giugno 2012
BRENT SOTTO 90 DOLLARI PER LA PRIMA VOLTA DA DICEMBRE 2010
L’estrema debolezza dei fondamentali del mercato petrolifero comincia finalmente a riflettersi anche all’Intercontinental Exchange (Ice), dove vengono scambiati i futures sul Brent: non solo le quotazioni del barile continuano a scendere, ma per la prima volta dallo scoppio della guerra civile in Libia, nel febbraio 2011, il mercato è entrato in una condizione di contango. Il greggio per consegna in agosto, in pratica, costa meno di quello per settembre: una situazione in teoria assolutamente normale, considerata la sovrabbondanza delle forniture, ma che aveva tardato a manifestarsi, benché sul mercato fisico vi fossero da tempo segnali evidenti di un’eccesso di offerta. Nel bacino Atlantico e nel Mediterraneo, in particolare, già da parecchie settimane si osservavano forti pressioni al ribasso sui differenziali di molti greggi sweet light, simili al Brent, e i trader segnalavano che i carichi faticavano a trovare acquirenti.
La nuova struttura del mercato sta già spingendo gli operatori a considerare le opportunità di stoccaggio, che il contango favorisce, anche se per ora si tratta solo di qualche decina di cents. La prima posizione dei futures sul Brent è crollata ieri a 89,23 $/barile (-3,7%), il minimo dal 1° dicembre 2010, mentre quella successiva valeva 89,61 $. Il timore di un ulteriore peggioramento del quadro macroeconomico ha intanto spinto in forte ribasso anche il Wti, che per la prima volta dallo scorso ottobre è finito sotto 80 $ (a 78,20 $/bbl, -4%).
Del sostanziale fallimento dei negoziati con l’Iran e dell’ormai vicinissima entrata in vigore delle nuove sanzioni nessuno si preoccupa, con tale abbondanza di greggio. Anche perché c’è il sentore che le forniture possano addirittura aumentare, se l’Arabia Saudita non si deciderà a ridurre la produzione, come vorrebbero altri Paesi dell’Opec. Da un lato il Giappone ha provveduto ad assicurare "in proprio" i carichi sulle rotte dall’Iran (si veda il Sole 24 Ore del 21 giugno), dall’altro la Cina sembra aver ripreso un normale ritmo di acquisti da Teheran: in maggio l’import di greggio iraniano è tornato a 524mila barili al giorno, più o meno sui livelli del 2011 e circa il 40% in più rispetto ad aprile. Nei primi cinque mesi dell’anno, le importazioni di Pechino risultano tuttora inferiori di un quarto rispetto allo stesso periodo del 2011. Ma le ultime statistiche ufficiali rischiano di destare imbarazzo a Washington: il Governo Usa entro fine mese deve decidere se accordare anche alla Cina un’esenzione dalle sanzioni, in virtù del suo sforzo di riduzione dell’import di greggio dall’Iran e il segretario di Stato Hillary Clinton si era appena sbilanciata, dichiarando che la Repubblica popolare «sta lentamente, ma sicuramente agendo in questa direzione».
Uno dei maggiori acquirenti di greggio saudita rischia intanto di restare a lungo fuori gioco, liberando forniture per oltre 300mila barili al giorno. Gli impianti nuovi di zecca che avevano raddoppiato la capacità della maxi-raffineria Motiva di Port Arthur (Texas) resteranno fermi per mesi, forse addirittura un anno: «Ci sono problemi di corrosione», ha ammesso Shell, che ne è proprietaria in joint venture con Saudi Aramco, incaricata di rifornirla interamente – almeno in un primo periodo – con Arabian Heavy. L’inconveniente potrebbe offrire a Riad l’occasione per tagliare l’output senza attirarsi troppe critiche nel mondo occidentale.