Patricia Kolesnicove Mercedes Peres Bergliaffa, Revista Anfibia, Argentina, Internazionale 28/6/2012, 28 giugno 2012
PER UN PUGNO DI DOLLARI
La iera d’arte di Buenos Aires è l’appuntamento più importante per artisti e galleristi. Ma si parla più di denaro che di opere–
Giovedì 17 maggio, plaza de Mayo. L’umidità opprime perfino gli alberi. Buenos Aires è senza metropolitana per uno sciopero. Il trafico è in tilt, code che si snodano per interi isolati, taxi che superano contromano, autobus colmi all’inverosimile. È mezzogiorno e un corteo di statali avanza per avenida de Mayo. Contemporaneamente negli ampi spazi e nella luce incantevole della Rural, il polo ieristico di Buenos Aires, un cameriere segue gli invitati speciali con una bottiglia di champagne: benvenuti ad ArteBa, il grande appuntamento del mercato dell’arte argentino. Per quattro giorni le gallerie più importanti s’incontrano qui, per esporre opere, ma soprattutto per vendere.
ArteBa occupa il posto della Biennale che Buenos Aires non ha. La iera apre al pubblico domani, il giovedì è il giorno dei collezionisti, il giorno degli afari. Per questo c’è lo champagne.
Mobilità sociale Quello dell’arte è un campo in cui ancora esiste la mobilità sociale. A colpi di pennello anche ragazzi di umili origini possono farsi strada. Come dei consulenti inanziari gli esperti mostrano le opere ai collezionisti: oggi che non c’è più un posto sicuro in cui tenere i soldi, con l’Europa che rischia di inire schiacciata dalla crisi e il debito statunitense in mano alla Cina, una irma che garantisce un rendimento stabile è un buon investimento. Un artista racconta che cinque suoi quadri sono stati comprati a scatola chiusa: a quanto pare la sua arte è moneta forte. Un’altra artista arriva al ristorante contenta ma sconcertata. Ha venduto un’opera, ma non le hanno voluto dire chi l’ha comprata. Già la mattina presto di giovedì si aggirano per la iera loschi iguri: “Sono agenti della guardia di finanza in borghese”, si mormora.
Ancora non è entrato il pubblico ma i numeri già volano: un Maccio è stato venduto per 190mila dollari – qui in pesos si compra solo l’insalata – nella galleria Castagnino Roldán. Le voci si rincorrono senza controllo, quasi mai sono confermate. Il giorno dell’apertura per gli addetti ai lavori, due critici si aggirano per gli stand, stimando a occhio il valore delle opere. Il venditore sorride, elegante ed enigmatico. Ancora un po’ di champagne? Marcelo Pacheco, curatore del Malba, il museo di arte latinoamericana di Buenos Aires, fa da guida per una veloce visita: “Quest’anno la mostra è più contemporanea e meno storica”, dice. Accompagna il gruppo ino al King Kong di marijuana realizzato da Fernando Brisuela e acquistato dal Malba. Pacheco cerca di dare qualche appiglio ai suoi ospiti: King Kong, il narcotraffico, la brutalità, la forza. Vale 1.800 dollari. Di nuovo le stime: il gruppo si allontana chiedendosi se fumarsi l’opera è un buon afare. Subito dopo arriva un grande annuncio. Pacheco ferma il gruppo di fronte a un quadro di Alfredo Hlito: è una donazione.
La prima ricevuta dal Malba, un museo privato fondato dall’imprenditore Eduardo Costantini. A diferenza dei musei pubblici argentini, al Malba si paga un ingresso di 25 pesos (4 euro). La donatrice è Silvia Braier, direttrice di un laboratorio di analisi cliniche. Ha speso 25mila dollari.
Qualcuno maligna che in realtà Braier, per quella cifra, ha comprato due opere di Hlito e una l’ha tenuta per la sua collezione.
Il giro prosegue, Pacheco illustra le opere e ne dà una stima: le teste di coniglio di Elba Bairon, settemila dollari; la reinterpretazione di un’opera di Prilidiano Pueyrredón realizzata da Alberto Passolini, diecimila; il completo Ramiro Agulla, quattromila.
Poi Pacheco conversa con il gallerista Ignacio Liprandi su un’opera di Tomás Espina. Occupa una parete intera ed è polvere da sparo su carta. Il prezzo non lo dicono, meglio far correre le voci. Ma un Espina, dice alla ine Liprandi, sta tra i sette e i 15mila dollari, a seconda del formato.
Largo ai giovani Domenica sera: la quiete dopo la tempesta.
Dopo la ressa del sabato il ritmo è rilassato e c’è ancora qualcuno disposto a sborsare i cinquanta pesos del biglietto d’ingresso. La sera la iera appartiene ai giovani. Una studentessa di fashion design, una pubblicitaria, dei ragazzi colombiani che studiano in Argentina. Un medico che ha visto tutta la iera, un quadro per volta. Un meccanico con la idanzata. Quando gli si chiede che (diavolo) ci fa qui, risponde: “Mi riconosco.
Anche noi meccanici, con le auto, facciamo cose simili”.
Quest’anno va molto la performance. I tre inalisti del premio Petrobras – 20mila pesos per produrre l’opera e 50mila al vincitore – hanno proposto qualcosa che poteva essere considerata una performance. La prima, Pop up cartoon, era una specie di teatrino.
La seconda, del gruppo La multisectorial invisible, era una specie di radio, anche se nello spazio c’era anche gente che pitturava e distribuiva biscotti. La terza opera, che ha vinto il premio, è indeinibile: Splatter morfogenético/Arlt Maschine. È uno spazio con uno schermo, materiali sparsi nella stanza, cose scritte sui muri e persone che ogni tanto fanno qualcosa. Se fosse stato per il pubblico avrebbe vinto la radio.
Domenica sera nello spazio di Splatter non c’è quasi nessuno, mentre una ventina di persone ciondola in quello della radio. Del resto nello spazio di Splatter fa freddo e non c’è posto per sedersi. In quello della radio ci sono addirittura i biscotti. Un’opera coinvolge il pubblico. L’altra vince il premio ma nessuno sa di che parla: “È roba per gente dell’arte”, dice qualcuno.
Anche il Barrio Joven, la sezione di Arte- Ba che incoraggia scambi ed esperimenti tra artisti più giovani, è disertato dal pubblico.
Per esempio c’è il cileno Nicolas Miranda che a Santiago realizza delle opere provocatorie: “Nella metropolitana ci sono dei diorami con scene storiche molto riconoscibili.
In mezzo a queste scene che tutti conoscono, inserisco elementi estranei ma altrettanto famosi, come il cane di Jeff Koons. Ma qui all’ArteBa ho fatto un’altra cosa”.
L’opera è una vetrina che si chiama All at once nella quale sono esposte miniature di opere famose. Ci sono, tra gli altri, la mucca e il teschio di Damien Hirst, un letto di Guillermo Kuitca, un ometto di Pablo Suárez. Tutti insieme, per 2.700 dollari.
Si potrebbe dire che è un’opera ammiccante, ma l’artista la deinisce con una parola tratta dal menu ideato dal messicano Cuauhtémoc Medina, ex curatore della Tate gallery: operazione, “l’esecuzione di un’idea”, dice.
Mentre gli altoparlanti invitano il pubblico ad andarsene, per il corridoio si aggira un uomo incappucciato con una busta dello zuccherificio Ledesma e un vassoio con dello zucchero macchiato di sangue. A chi gli chiede di che si tratta, l’uomo comincia a raccontare la storia di più di 400 lavoratori della Ledesma sequestrati nel luglio del 1976. Trenta di loro sono ancora desaparecidos.
Parla delle responsabilità del direttore della fabbrica, Carlos Pedro Blaquier, forse il maggiore collezionista d’arte del paese. Ecco una vera performance.